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strare alcuna compiacenza degli onori ricevuti. Nessuno forse, tra i poeti di grande fama, si mostrò, in vero, più incurante della sua persona che l'Allighieri; nessuno si diede minor briga perchè lo ammirassimo in quelle qualità che agli uomini sogliono essere comuni. Certo egli dovette sentire ciò che il suo genio avea di straordinario e che non si dovea perciò confondere con le qualità, per le quali la gente vana e di scarso valore vuole e suole essere distinta. Perciò, se i suoi atteggiamenti morali ci si rivelano frequenti a traverso il poema, di rado accade ch'egli si lasci sorprendere in alcuno degli atti ordinarie volgari della vita quotidiana, e non mail si pompeggia.

Ora noi possiamo facilmente ritrovarlo intatto nella sua figura morale, quando ricusa la corona d'alloro che il suo signore da Polenta voleva fargli conseguire in Bologna, come un privilegio quasi aulico, gemendo egli, in vece, e lamentandosi, con estremo sospiro d'af fetto verso l'ingrato suo nido, ch'egli non l'ambiva altrove e che non poteva e non voleva riceverla altrimenti che in Firenze, al fonte sacro dove aveva ricevuto il battesimo.

Cosi, dopo aver compiuto il suo pellegrinaggio a traverso il mondo reale e il suo pellegrinaggio ideale nel mondo fantastico, vinto dalla tenerezza de primi ricordi, Dante ritorna soavemente fanciullo, e sente, in tutta la sua delicatezza, la dolcezza di certi richiami, alla prima innocenza, al primo candore, alla prima musica della sua infanzia.

Quell'affettuoso grido i Fiorentini non intesero allora e non raccolsero; per essi, egli era soltanto l'uomo di parte e il cittadino espulso; per alcuni anche il barattiere condannato in contumacia, di cui aveano distrutte le case e saccheggiato il podere, il ribelle che avea prese le armi, com Farinata, contro la sua città natale, alla quale avea rivolto parole troppo amare e

crudeli. Perchè risorgesse la sua fama non basto nep pure che il padre di Francesco Petrarca fosse compagno d'esiglio a Dante, e potesse al figlio destinato a molta gloria, parlare con ammirazione del grande cittadino e del grande poeta da lui ben conosciuto; ma forse Petracco e Dante, esuli da Firenze, furono in Arezzo, nel tempo della sventura, nella stessa condizione in cui Alessandro Manzoni ei rappresenta i polli di Renzo, e poterono quindi beccarsi a vicenda; il che spiegherebbe forse in parte quella tiepidezza con cui, anche eccitato e riscaldato dall'ardore ammirativo di Giovanni Boccaccio, il cantore di Laura accolse a malincuore, nella sua tarda età, il culto di Dante che si propagava. Forse egli si rlcordava troppo i racconti minuti del padre suo, che davano al compagno d'esiglio di Ser Petracco proporzioni comuni, rinfacciandogli probabilmente qualche errore tattico e politico o qualche umana debolezza. Questi giudizii che si raccolgono dalla parola dei coetanei lasciano di solito tracce indelebili nella storia degli uomini saliti in fama, dei quali si ricordano per lo più le sole inezie; ed io vorrei pure persuadermi che, in vece dell'invidia, troppo basso sentimento, nell'animo di Francesco Petrarca, quantunque molto assetato di gloria, potessero alquanto i ricordi troppo minuti e individuali e frammentarii del padre suo. Provate, in vero, dopo che egli percorse, nella vita, un largo e luminoso cammino, a interrogare i superstiti condiscepoli, per avere più ampia notizia di un loro compagno divenuto illustre; i benevoli si studieranno forse di mostrarvi che fin dai primi passi essi avevano già pronosticato il suo genio e i buoni successi; gli altri, non nasconderanno ai racimolatori di notizie biografiche, che, nella opinione dell'antica scolaresca, l'amico illustre passava per un idiota o per un monello. All'infuori di Brunetto Latini, di Guido Cavalcanti, di Cino da Pistoia, e di Giotto, nessuno forse de' suoi coetanei ebbe il vero pre

sagio del genio meraviglioso di Dante; nessuno senti ciò che pulsava di più divino in quel gran cuore assetato d'amore, in quella gran mente avida di luce immortale.

Un proverbio latino dice che nessun grande è buon profeta nella sua patria; converrebbe pure aggiungere che, nessun grande è buon profeta nell'età sua. I nostri contemporanei vedono dell'uomo ora una faccia, ora l'altra, in iscorcio, sbadatamente, fuggevolmente; si fermano spesso al minuto rumore del giorno, al riso sguaiato della folla oziosa ed ignorante che coglie ciò che vi ha di più grottesco nelle figure che passano e la leggenda popolare ci insegna pure che Dante passò tra il volgo dell'età sua più spesso deriso che onorato; quasi ombra cinese che si dissolve innanzi agli occhi meravigliati di gente istupidita, la quale non sa poi se deve ridere come innanzi ad una farsa, o inginocchiarsi come innanzi ad un miracolo. Quando Dante, errabondo per le terre d'Italia, agitandosi per le sorti della sua patria, cercava, nella cima de' suoi pensieri, le vie del cielo, forse nessuno de' suoi contemporanei sorprese il suo divino segreto, e molti avranno più facilmente ricordato i suoi possibili difetti palesi che le sue virtù nascoste. Il terribile canto veramente infernale che bolla d'eterna infamia Filippo Argenti, rende ancora più misera la sorte di quel dannato, ma dimostra pure come Dante dovesse essere veemente ed anche eccessivo nell'ira, come sentisse profondo il rancore, come fosse tardo nel perdono e implacabile nella vendetta; ora, se nell'urtarsi con molti de' suoi contemporanei, gli accadde spesso d'irritarsi e di fare quel viso arcigno, ch'ei non nascose all'Argenti, è anche possibile che molti dell'età sua lo giudicassero da quel viso soltanto, senza rendersi conto della fiera tempesta dell'animo generoso che ne aveva corrugato la fronte austera, e messo un fremito d'ira sulle sue labbra sdegnose.

Dispensa 3.

Ma quel genio che ora lampeggiò, nell'età sua, come una animata e splendida meteora, ora vi passò come un'ombra, dopo avere spirato al Trecento una gran parte dell'anima sua, dovea pure sovrastar al primo e al secondo nostro artistico e letterario Rinascimento, come nel secolo presente, al nostro Risorgimento civile. L'Italia è sempre risorta nel nome, e con la fama, di Dante. Colui che Vincenzo Borghini chiamava " veramente prima luce della gloria fiorentina,,, del quale Michelangelo Buonarroti che più d'ogni altro italiano, negli ardimenti del Giudizio Finale, s'avvicinò al colosso, 'cantava:

Simil uom nè maggior non nacque mai,

quel Dante, in somma, che il Sanzio accolse pure fra i teologi nella meravigliosa Disputa del Sacramento e di cui Torquato Tasso diceva di sentire, anche a traverso le sue umane e contigenti debolezze, " la divinità,,, dopo che a Benedetto Varchi il divino poeta aveva già fatto l'effetto d'uomo che " sapesse tutte le cose e tutte le dicesse,,, doveva pure divenire il massimo evocatore ed inspiratore dell'Italia libera ed una.

Nello scorso anno scolastico, con l'usata diligenza ed eleganza, un egregio docente1 che ora sta pure per esercitarvi nelle prove di stile, in questa aula medesima, a molti di voi ha già tracciato a traverso le poesie giovanili e la Vita Nuova alcune vicende più delicate della gioventù di Dante, bene iniziandovi, nel tempo stesso, all'intelligenza del divino poema; nè io vi rifarò qui l'opera sua gentile.

Procederò, in vece, con altro disegno, sulle orme di Dante, chiedendo al poeta stesso consiglio per la lunga via, dai primi passi al suo anelito estremo; ed a me pare che quando avremo fermata bene l'immagine del poeta.

1 Il prof. Giulio Salvadori.

nella sua vita piena di travaglio, quella Divina Commeäia che al Gozzi pareva potersi chiamare Danteide dovrebbe riuscirci nella sua parte essenziale, non solo più limpida ed evidente, ma anche più insegnativa, o, come oggi si suole dire, più suggestiva. Per quanti commenti siansi fatti o si facciano ancora dell'opera dantesca, nessuno potrà negare che le figure del divino poema che più ci attraggono, anzi forse le sole, oltre il poeta stesso, sono quelle nelle quali sentiamo più forte vibrare alcuno de' suoi grandi affetti.

In quest'anno dunque di Giubileo e di pellegrinaggi, a ricordo del Priorato di Dante e del Viaggio mirabile ch'egli pone nell'anno trecento, intraprenderemo, noi pure, sulle orme dantesche, un nuovo pellegrinaggio, seguendo il Maestro, come ombre devote.

Camminare con Dante, vuol dire sicuramente mirare e salire in alto. E l'anno trecento in cui egli ebbe la sublime visione fu davvero Anno Santo, poichè, oltre all' inspirare il poema più vasto uscito da mente umana, chiudeva un secolo di gloria italiana, il secolo in cui videro la luce il sole serafico d'Assisi; Marco Polo che riaperse all' Europa le vie dell' Estremo Oriente; Flavio Gioia che pose nelle mani ai naviganti una nuova bussola guidatrice; Arnolfo, l'architetto che formò il disegno di un tempio ideale come Santa Maria del Fiore; Giotto, dipintore ed architetto, che vi pose accanto quel gioiello di Campanile che a Michelangelo parve degno di ornare il Paradiso.

Come la luce del secolo che preparò in Roma l'avvenimento dell'Impero, illuminò poi tutto il secolo detto di Augusto; come la luce del Rinascimento che s'accese più viva nello scorcio del quattrocento fece gloriosa la prima metà del cinquecento, il secolo così detto di Leon decimo; come la scintilla voltaica, sul fine del secolo passato, valse ad inondare di luce tutto il secolo decimonono, così il Trecento fu specialmente glorioso per

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