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l'opera di alcuni motori divini, de' quali Dio volle privilegiata, il secolo innanzi, la nostra terra.

Quale eredità lasceremo ora noi al secolo che nasce? Da quali vivificatori prenderanno consiglio ed esempio i nostri figli? Se con piccolo cuore, se con piccola mente, se con languori e sbadigli entreremo nel secolo nuovo, se porremo in basso il nostro amore, il nostro idolo, il nostro culto, se la vanità che par persona, se la gioventù frolla ed isterica, che trascina l'arte per gli spedali e per gli angiporti, ci appariranno sole degne di ammirazione, noi daremo vita a generazioni imbelli ed inette per ogni nobile creazione. Ora, non per avvizzirsi appena nato, spuntò sopra il suolo italico il fiore della libertà, bagnato col sangue dei nostri martiri, ma perchè spieghi la pompa di tutti i suoi colori, perchè spanda tutti i suoi profumi, perchè sorrida ad una vita più bella, più gagliarda e più sana nella nostra patria.

Molta virtù giace ancora ascosa, in questo nostro vasto e capace genio latino, e, in modo più largamente privilegiato, in questo nostro magnifico genio italiano; essa ha uopo soltanto che alcuno venga a ridestarla e la richiami all'opera sua creativa. Ora io non so, invero, additarvi, o giovani, alcun risvegliatore ed illuminatore più potente di Dante Alighieri; perciò vi invito caidamente, perchè, in quest'anno, muoviate riverenti, con me, dietro i suoi passi augusti; perchè ascoltiate ogni sua voce più dolce e più grave; perchè, educati dalla sua gran mente, che vagheggiò ed espresse con l'arte sua sovrana, bellezze supreme, impariate voi pure, com'egli già apprese da Ser Brunetto: come l'uom s'eterna.

LEZIONE PRIMA

Gli antenati e la nobiltà di Dante.

A molti spiriti leggieri la ricerca dell'antenato sembra cosa degna di riso; e può darsi che sia, quando essa muova dal solo compiacimento di una vanità araldica, che distingua un casato da un altro, per qualche 'maggior fronzolo o fregio stemmato che gli serva di riparo e coperta al danno e vuoto tenebroso che i nuovi discendenti, privi d'ogni virtù e forse viziati, hanno fatto nella loro famiglia. Ma è strano che si rida ancora di una cosa tanto naturale quanto è il desiderio di voler sapere qualche cosa di più della nostra storia più prossima, in un tempo in cu, non pure le scienze storiche, ma tutta la biologia si vuole, dopo i grandi insegnamenti di Darwin, fondare sopra la legge di eredità, o legge così detta atavistica, a tal segno da cercare anche i motivi d'ogni nostra degenerazione presente in qualche vizio organico di alcun nostro antenato, e rendere, in tal modo, complici ignari i nostri maggiori d'ogni nostra più malvagia azione.

Ora, se è una vera follia l'attribuire il merito o il demerito di quello che noi individualmente siamo, alla sola tradizione, quando ogni individuo, per le proprie energie vitali, per la propria volontà, per l'educazione che ha ricevuta o che si è data nella propria famiglia,

e nella società in cui vive, come per la varia vicenda della vita, può, senza alcun dubbio, trasformare in gran parte la propria natura, la nuova trasformazione non è mai tanta che debba cancellare ogni traccia di tradizione dinastica.

Poichè, per quanto il nome di dinastie sogliasi dare soltanto a quelle famiglie che, avendo regnato nel mondo, portarono corona, vi sono poi molti modi nel mondo di signoreggiare. Ciò che veramente importa è, anche in piccolo, breve ed umile dominio, signoreggiar bene. Non la vastità del dominio ha mai fatto la grandezza d'un sovrano, ma la sua sola virtù e magnanimità; ora la virtù e magnanimità può essere di qualunque stato; e la virtù e magnanimità continuata in una famiglia, può farne talora una dinastia gloriosa. Quando un vecchio capoccia di famiglia contadinesca, vi dice: io ed i miei siamo da trecento anni a lavorare questo podere, anche se egli non può aver conservato notizia singolare di tutti i suoi antenati, anche se la vita monotona de'figli somiglia quasi sempre a quella dei padri, e non si potè quindi segnalare per nessun avvenimento straordinario, quella famiglia che, per trecento anni, seppe meritare e conservare la fiducia di tanti padroni, dei quali il passaggio della terra in mani diverse ha mutato il nome, può ben dire d'avere avuta la sua parte di signoria, e di nobiltà, di cui può compiacersi.

Quando in una città, o in un villaggio, un notaio rispettabile vi dice: da tempi immemorabili, nella famiglia nostra, di padre in figlio, siamo sempre stati notai, potendo egli compiacersi d'avere, per tradizione d'onestà, guadagnata e sostenuta la fiducia d'un intiero popolo di clienti, se egli si ritiene nobile, per il mantenimento costante di una così bella eredità domestica, non ha davvero alcun motivo d'arrossirne innanzi ai critici superficiali,, i quali vedono nella nobiltà una sola fiera di vanità volgari.

Quando, ancora, una famiglia di banchieri, non importa di qual razza o nazione, può menar vanto che la sua banca è antica; quando un albergo, una fabbrica, un negozio vantano oltre un secolo di vita onorata, essi attestano una consuetudine nell'adempimento d'impegni e doveri, per i quali s'acquistarono un giorno la stima pubblica e meritarono di conservarla. La ricerca dell'antenato, in tali casi, non è dunque cosa del tutto vana; ed è possibile che, in così fatta ricerca, si trovino, per via, esempii lodevoli che ingrandiscano l'animo ed i propositi di chi la intraprende.

Ed io ho voluto far precedere questo breve avvertimento, perchè vi meraviglierete forse meno nell'udire che Dante si compiacesse alcun poco di esser nato nobile, d'antica famiglia e non desiderasse in alcun modo venir confuso con la gente nuova, dai subiti guadagni che ingombrava, da alcun tempo, la sua città, gente audace, ma priva di storia e di scrupoli, spesso villana, la quale scendeva da Campi, da Signa, da Certaldo e da Figline, a confondere la pura e fida cittadinanza fiorentina. Degli uomini nuovi non tutti, ben inteso, erano spregevoli e gente vile; anzi alcuni erano già stati signori nel contado; possiamo poi consolarci con Dante, che alcuno pure venisse in Firenze da Certaldo, perchè di un Boccacci, popolano certaldese, che teneva ufficio nel banco de' Bardi, presso i quali andò un giorno sposa Beatrice Portinari, era figlio quel mirabile novelliere, che alla gloria del Decamerone volle aggiungere quella di primo biografo e primo pubblico lettore amoroso del Divino Poeta. Non tutta la gente nuova era dunque trista. e perniciosa a Firenze; ma Dante ebbe soltanto in disdegno quella che vi soverchiava, alterando con lo sfarzo e col vizio, il buon costume antico.

È probabile, del resto, che Dante stesso esagerasse un po', con l'immaginoso ingegno, quando egli s'accinse a rappresentare a sè ed alla nostra mente le virtù e il

semplice costume degli avi. Forse la realtà storica non avrebbe corrisposto in ogni parte, e cosi universalmente, alla rappresentazione che ne voleva fare Caccia guida al suo pronipote; nella nostra grande pietà figliale, si rivestono spesso di un'aureola le immagini degli antenati. Come delle nostre persone più care, quando sono trapassate, non ricordiamo più alcan difetto, ma, per virtù di profondo rammarico e gentilezza e poesia di ricordo affettuoso, le trasfiguriamo in modo da non vederle più altrimenti che pure e quasi santificate, così, per quella forte idealità che ci sprofonda ugualmente nelle memorie del passato e nelle speranze dell'avvenire, Dante ci pone, in vivo contrasto, l'austera semplicità, e rozza ma gentile onestà degli antichi Fiorentini con la cupida alterezza e sregolata pompa dei nuovi spadroneggiatori del Comune. Questi davvero non erano tali che Dino Compagni potesse chiamarli nobili di sangue; ma tale condizione non era, al tempo di Dante, neppure richiesta dal Comune fiorentino per aver parte nel governo della città; e si poteva, anzi, meglio al tempo del Compagni, diventare grandi di Stato, senza nobiltà di sangue, e come dice il Cronista" per altri accidenti. „, Tuttavia, a Dante piaceva forse sentirsi talora nobile anche di sangue, almeno fino al suo gran Cacciaguida, come non dispiaceva, dopo due secoli e mezzo, a Michelangelo Buonarroti, il quale raccomandava al nipote di torsi in moglie donzella di sangue nobile, non avendo più paura che alcuno avesse a pensare che, per tale parentado, ei s'avesse a nobilitare; "questo, ei diceva, con un po' di fierezza non priva di boria, non è cosa valida, perchè si sa che noi siam cittadini fiorentini. 27

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Cosi Dante, pur dovendosi ricordare dell'ammonimento del suo insegnatore di cose immortali, Brunetto Latini, che dispregiava i nobili " antichissimi, i quali non potessero della loro nobiltà mostrar altro all'infuori delle lustre (" ad essere, diceva, di cattivo cuore e di

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