Sayfadaki görseller
PDF
ePub

renze, e di non molestare il podere di Camerata, con l'occasione (o sia col pretesto) della dote della signora Bella, già madre di Dante ed avola dei detti Jacopo e signor Pietro e moglie del fu detto Alagherio, e neppure, per la dote " della signora Gemma vedova e già moglie del fu Dante sopradetto, e figlia del fu signor Manetto De Donati. Detto Francesco fu erede di Jacopo del fu Lotto dei Corbizzi. Dato a Firenze nel popolo di Santa Cecilia, nelle case de' medici, speziali e merciai il 16 maggio dell'anno del Signore, 1332, essendo testimoni Giovanni di Ser Reddito del popolo di San Lorenzo, Lapuccio Tinucci, Ser Spigliato Dini notaio del popolo di Santa Margherita. „

་་

Nell'aridità desolante di questa prosa notarile, quanta somma di contrasti e di dolori di Dante si possono celare ed argomentare! Se si contentava di vivere borghesemente tranquillo, come suo fratello Francesco, alieno da ogni pubblico affare e solo intento ai suoi negozii privati, Dante poteva forse mantenere tutti i suoi beni, ingrandirli, vivere agiato, sereno, senza cure. Noi non sappiamo se quel Francesco che imprestava danaro a Dante prima del suo infortunio, gli sia poi stato ugualmente liberale e generoso durante l'esiglio. Vi è qualche motivo per dubitarne; forse i Fiorentini, nemici a Dante, perseguitarono pure un po' anche lui come tutti gli Allighieri; e, per questo motivo forse, Francesco, disgustato e tediato, lasciò la casa paterna, per ritrarsi a vivere in un podere di San Piero a Ripoli. Ma è certo ch'egli ebbe gravi contese, per motivo d'interessi, coi figli di Dante, le quali ebbero fine soltanto dopo il compromesso dell'anno 1332; e che, durante l'esiglio del fratello, egli ebbe molta cura di salvare la roba sua dal pericolo che correva quella del grande bandito; ma a questa stessa cura si deve poi se le case e le terre rimaste indivise tra i due fratelli, e perciò fondo comune di patrimonio avito, non corsero la stessa sorte della so

stanza inscritta al solo nome di Dante che andò in potere degli Adimari, onde i figli, morto il padre e cessato il bando, poterono ancora, pagati i debiti paterni, ricuperare una parte del loro avere, custodito e difeso dalla loro madre Gemma e dal fratellastro det poets. 1

A noi basti, fra tanto, avere rilevato come Dante ebbe, tra gli altri travagli, anche quelli de' suoi minuti affari privati, i quali mettendogli la pesante catena dei debiti ai piedi, lo resero quindi, per tutto il resto della vita, schiavo del bisogno, e, nel pensiero della numerosa famiglia, gli accrebbero angustia e tormento. Quando, pertanto, egli potè, col suo pensiero sovrano, inalzarsi sopra tutte le realtà meschine, che tendevano a farne un uomo misero, noi abbiamo, nel suo esempio, un grande ammaestramento, ed un grande conforto per non lasciarci sopraffare ed avvilire dalle necessità della vita, che paiono spesso urgenti ed imperiose, ma non sono mai tali che gli spiriti eletti non possano, levando il pensiero più alto, se non distruggerle, farle almeno tollerabili, nella visione di un mondo più sereno e più luminoso.

1 Quale contegno tenessero i mallevadori dei debiti contratti in Firenze da Dante, ignoriamo. Dal vedere tra i mallevadori uno Scolaio degli Abati, quando si pensi al mal governo che Dante fa della testa di Bocca degli Abati nel suo Inferno, e un Adimari, si potrebbe, tuttavia, sospettare che essi siansi inostrati assai molesti sollecitatori.

LEZIONE UNDECIMA

1 nemici di Dante.

Si fece un merito ad Alessandro Manzoni di non avere, nella sua lunga vita, suscitato incontro a sè alcuna fiera inimicizia, mentre che egli potè contare sopra uno stuolo eletto d'amici veramente devoti, che non solo lo circondarono d'affetto, ma gli crearono quasi un'aureola ed una fortezza, per la quale non era quasi permesso avvicinare il grande lombardo, senza respirare prima quell'aura di simpatia che lo avvolgeva.

Dante non ebbe tale fortuna. La sua vita raminga ed agitata, e il suo temperamento stesso gli impedirono di crearsi un solo ambiente simpatico, nel quale tutta la sua grandezza fosse compresa e venerata.

Le sue proprie passioni e quelle degli altri fecero talora strazio della sua esistenza, che dovette essere molto disuguale, e impedire, in certo modo, la formazione immediata dell'idolo, necessaria ad ogni culto umano. Il tempo solo gli ha creato un ambiente universale degno del suo vasto genio, e, in questo solo ambiente di secoli e di paesi civili, egli ha potuto veramente grandeggiare in tutta la sua luminosità.

Ed ora, a distanza, le sue stesse passioni ci attirano a lui, e ci commuovono. S'egli fosse stato un uomo esente di passioni: s'egli le avesse vinte subitamente

tutte, per santificarsi, forse lo venereremmo, come un santo, tra gli altri santi; mentre che, invece, tra gli uomini della nostra gente, egli ci appare unico e meraviglioso, perchè, avendo amato ed odiato fortemente, al sommo della vita, finì, per recare, sublimato, a Dio, il fiore del suo sentimento più puro, del suo pensiero più luminoso, e, col magistero dell'arte, che ha quasi del sovranaturale, tanto è superiore ad ogni nostra possa. esprimerlo con un linguaggio che ci appare divino.

Degli amici e nemici che Dante incontrò nel suo esiglio non sappiamo molto; quanto gli fossero amici i Malaspina, gli Scaligeri, i da Polenta, che lo accolsero, come ospite, non sappiamo bene, essendo pure assai difficile distinguere, in una stessa persona grande, la qualità di mecenate e di padrone benevolo da quella di amico vero e schietto; così, dove Dante castiga con le pene infernali e col disprezzo persone da lui conosciute nel tempo del suo esiglio, ignoriamo quasi sempre i motivi personali che lo indussero a severità, mentre che si può, nel maggior numero de' casi, affermare che que' Fiorentini, de' quali egli fece più aspro governo nel suo Inferno, furono veri e odiati nemici personali, de' quali Dante, iracondo e vendicativo, ha voluto far vendetta tremenda.

Il Poeta stesso ci ha fatto intendere più volte quello ch'egli intende per nemico, il quale gli appare un odiatore ed un offensore. La stessa carità illuminante, dal poeta personificata in Lucia, gli appare “nimica di ciascun crudele. *9

Non si può amar molto le cose buone, senza avere incontro a sé gli avversari del bene, che a Dante appaiono intieramente meritevoli di odio. Dio stesso, che è somma carità, deve avere i suoi nemici; e quelli che non sanno essere nè grandi amici, nè grandi nemies, sono, secondo il pensiero di Dante,

A Dio spiacenti ed ai nemici sui.

Quindi Pluto che Dante considera, come Dio della ricchezza, spirito intieramente malefico, viene rappre sentato, come gran nemico, autore, insieme con la superbia e la lussuria, della maggiore infelicità umana. Secondo il sentimento dantesco, che non è certamente evangelico, è buona cosa ai nemici recar danno; onde, anco nel canto de' barattieri, dove si fa tormentar molto dai diavoli il sardo Frate Gomita, barattier non picciol ma sovrano, vicario e fattore di Nino Visconti. donno o giudice di Gallura, caro a Dante, si trova pur modo di lodarlo d'essere stato acerbo ai nemici del suo signore:..

[ocr errors]

ebbe i nemici di suo Donno in mano.

E fè lor si che ciascun se ne loda.

A San Domenico, nel Paradiso. lodato da San Bonaventura, francescano, vien fatto merito di esser stato

l'amoroso drudo

Della fede cristiana, il santo atleta,
Benigno a' suoi, ed a' nemici crudo.

Già il Poeta aveva licenziata una canzone amorosa con questa strofa:

Canzon, vattene dritto a quella donna,

Che m'ha ferito il core, e che m'invola
Quello, ond' io ho più gola;

E dalle per lo cor d'una saetta;

Chè bell'onor s'acquista in far vendetta.

Questo verso, quantunque inserto in una canzone d'amore, è molto significativo e c'illumina pienamente sopra i sentimenti di Dante, quando egli odia. In questo spirito vendicativo egli segue assai più le ferocie implacabili del Dio biblico che la pietà infinita del Dio cristiano; perciò egli chiama gli stessi diavoli le vendette di Dio.

« ÖncekiDevam »