Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Tale, balbuzïendo, ancor digiuna
Che poi divora, con la lingua sciolta,
Qualunque cibo per qualunque luna.
E tal, balbuzïendo, ama ed ascolta

La madre sua, che, con loquela intera,
Disia poi di vederla sepolta!

Qui abbiamo veramente la possibilità di raffigurar Dante negli intimi recessi della sua famiglia, in atto di osservare, e di notare nella sua memoria scene infantili che lo hanno più vivamente colpito e dilettato.

In un libro tamulico, la Morale di Tiruvalluvar, sta scritto che la più bella delle lingue è composta delle prime parole che il fanciullo balbuziente rivolge al padre ed alla madre. Dante la posto molta attenzione anche a questa loquela, e ne senti forse maggiormente la save dolcezza, nelle già remote sue reminiscenze della prima infanzia e de' primi anni di matrimonio, quando. dopo il suo quarantesimo anno, scriveva le cantiche del Purgatorio e del Paradiso. Perciò egli si richiama, con particolare intenerimento, alla prima favella de fanciulli alla lingua fanciullesca, povera di parole per esprimersi, e che Dante chiama perciò, nel XXXII dell' Inferno soltanto la lingua che chiami babbo e mamma, o pure come nell'XI del Purgatorio, che chiami pappo il cibo, e dindi i soldi, lingua povera, ma, per quello che vuol dire, molto espressiva ed eloquente, e che all'orecchio del giovine padre dovette un giorno essere di suono dolcissimo.

Alla brevità della favella dei bambini allude pure Dante, nell'ultimo del Paradiso, quasi a significare l'indefinibile con parole umane:

Omai sarà più corta mia favella

Pure a quel ch'io ricordo, che d'infante
Che bagni ancor la lingua alla mammella.

L'ammirazione rende muto, e fa balbettare come un fanciullo, o tacere. Perciò Dante, innanzi alla luce

di Dio, dopo averci detto che adoprerà d'ora in là minori parole per esprimere le meraviglie che gli apparvero, di quelle delle quali disponga un bambino che balbetta ancora, finisce col tacere, perchè

All'alta fantasia qui mancò possa.

Quest'ultimo richiamo paradisiaco alla favella della prima infanzia, questo ritorno alla prima innocenza, alla prima semplicità, alla prima ingenuità, è di una tenerezza inesprimibile, e prova come, senza pure averci mai detto nulla de' suoi figli, Dante abbia dovuto accogliere nel l'animo suo, in modo profondo e vivace, i primi moti dell'amor paterno, accomunando così il sentimento proprio a quello di tutti i padri amorosi. S'egli avesse rappresentato, nominandola, o Gemma Donati, od alcuno de' suoi sette od otto figli, chè tanti glie ne diedero i varii biografi, de' quali vedremo, in seguito, sarebbe caduto in evidenti volgarità, pure appagando maggiormente il nostro vivo desiderio di saper qualche cosa di più della sua vita domestica. Ma, egli, della numerosa figliuolanza che ebbe, ne brevi anni dal suo matrimonio fecondissimo con Gemma Donati, che lo accomunava a tanti altri capi di famiglia. volle soltanto che rimanesse una memoria poetica per l'affetto paterno e materno, dominante nella sua casa, finchè l'esiglio non lo cacciò fuori del suo caldo nido; e di tutti i suoi bambini intese una sola lingua infantile. di cui lo commosse il ricordo per tutta la vita.

Se bene Dante abbia poi scritto nel primo libro del Conrito che le cure di famiglia sono impedimento agli studi se bene l'esiglio l'abbia diviso dalla moglie, e. per molti anni, anche dai figli, certo egli dovette sentir pure, in modo insolito, la dolcezza degli affetti di famiglia, e osservare profondamente, in Gemma Donati, gli atti pietosi della madre e i moti diversi de' fanciulli.

In quanti modi egli ci volle, per esempio, espresso· il timore del fanciullo, cercante rifugio presso la madre! La propria vergogna al cospetto di Beatrice, nel XXX del Purgatorio, gli fa ricordare la vergogna dei fanciulli.

Gli occhi mi cadder giù nel chiaro fonte:
Ma, veggendomi in esso, io trassi all'erba,
Tanta vergogna mi gravò la fronte.
Così la madre al figlio par superba,
Com'ella parve a me...

Se non che, come Dante stesso scrive nel Convito,. la vergogna de' fanciulli è un buon segno; e questa vergogna fanciullesca, egli espresse in modo così vivace che ci pare di vedere innanzi a noi i figli stessi di Dante, sgridati dal padre o dalla madre; o Dante stesso. fanciullo rampognato:

Quale i fanciulli vergognando muti,

Con gli occhi a terra stannosi ascoltando,

E sè riconoscendo e ripentuti;

Tal mi stav' io...

Egli avea pur notato come i fanciulli non stiano. mai fermi; perciò, nel decimoquinto del Purgatorio, dice del raggio tremulo del sole:

Che sempre, a guisa di fanciullo, scherza;

ed avvertito come il fanciullo passi presto dal pianto. al riso, paragonando, nel sedicesimo dello stesso canto, l'anima trasmutabile dell'uomo a fanciullo:

Che piangendo e ridendo pargoleggia.

Chi sa se i suoi propri figli sgridati dal padre, e impauriti, non avranno, alcuna volta, cercato rifugio presso

la madre; quindi, nel XXII del Purgatorio, alla materna. sna guida celeste, egli ricorre come figlio alla madre:

Oppresso di stupore, alla mia guida.
Mi volsi, come parvol che ricorre
Sempre colà dove più si confida;
E quella come madre che soccorre
Subito al figlio pallido e anelo

Con la sua voce, che 'l suol ben disporre,

Mi disse...

E vorremmo pur ritrovare qualche lineamento di Gemma, osservato da Dante, in quel terzetto del primo canto del Paradiso, che si riferisce alla sua propria materna guida spirituale del Cielo:

Ond' Ella, appresso d'un pio sospiro,

Gli occhi drizzò ver me con quel sembiante
Che madre fa sopra figliuol deliro.

E questo un vero ritratto di madre severamente e dolcemente amorosa.

E Dante rammenta, in più moli, l'amorosità della madre; ma in modo più efficace, nel XXIII dell'Inferno:

Lo duca mio di subito mi prese,

Come la madre ch'al romore è desta,

E vede presso sè le fiamme accese,
Che prende 'l figlio e fugge e non s'arresta,
Avendo più di lui che di sè cura,

Tanto che solo una camicia vesta.

Non sarebbe anche questo un ricordo di una scena analoga veduta e vissuta? e quella madre, quasi eroina, non potrebbe essere la nostra povera Gemma non nominata mai, ma pur certamente, come la Marzia del suo Catone, non dimenticata dall'esule poeta?

È cosa consolante il crederlo, tanto più che sembra avvalorata da troppi numerosi indizii della pietà figliale di Dante; chè, se non troviamo un solo accenno alla

Dispensa 10.

propria madre Bella, il non averla forse conosciuta dispensava il poeta dal ricordarla, e se non vediamo nominata e figurata nel suo proprio nome la sposa di Dante e la madre de suoi figli, in un poema, scritto a gloria di Beatrice, questi silenzi non possono indurci a credere che Dante non avesse fatto esperimento di quei delicati ed intimi affetti domestici, che egli esprime con tanta verità e delicatezza nel santuario della propria casa.

Come il Manzoni non nominò dunque in alcuno de' suoi capolavori Enrichetta Blondel, la mite sposa che lo rese padre di molti figli, ma ce ne lasciò tuttavia indovinare il profilo in alcuni affetti di Ermengarda, della sposa del Carmagnola e di Lucia, così possiamo redere che la figura di madre, quale vien fuori soavissima da varie parti del poema dantesco, è la figura velata di Gemma Donati.

« ÖncekiDevam »