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Quand' io mi vo' ridurre a la ragione
E raffrenar lo grande intendimento,
Nè non pur seguitar lo van talento
Che tutte cose mena a perdizione;
Trovo l'animo mio d'oppenïone

Che meglio posso a me donare abento
E riconoscer via di salvamento,
Che quand' i' penso aver cuor di leone.
Chè la ragion lo dritto core appaga,
Tollendoli la cura delle cose

Che non son nè non posson esser sue.
Ma lo vano pensier che s'usa piùe,
Le n'appresenta tuttor amorose,

E la più vil ne mostra che sia vaga.

Ma non è qui luogo di fare un più largo e minuto riscontro delle molte somiglianze ideali e passionali che si possono ritrovare tra la poesia amorosa di Guido e quella di Dante. Questo studio, già, del resto, assai bene iniziato dal Salvadori, può, in altro luogo, essere proseguito e approfondito; a noi basti avere oggi indicate le ragioni poetiche e morali che poterono fare di Dante e di Guido due così grandi amici.

Fra loro, sta il giovine poeta Lapo Gianni; ma di lui sappiamo ben poco. Solo si rileva dal Serventese che Dante compose e ricorda nella Vita Nuova, e da un famoso sonetto dantesco, come Lapo amasse una donna, a quel modo pressapoco, cioè, con quella gentilezza, con cui Guido la sua Giovanna, Dante la sua Beatrice.

Lapo Gianni de' Ricevuti, nato di popolo, nella cura di San Tommaso, dovea esser giovane e studiava allora per diventare notaio; e l'arte di notaio egli dovette esercitare soltanto a incominciare dal 1298, a giudicarne da un suo protocollo notarile, che si conserva nell'archivio di Stato di Firenze e che, incominciando da quell'anno, va fino all'anno 1338. Nella nuova corte amorosa, che Guido e Dante apersero in Firenze, e nella quale parvero allora degne d'entrare ben sessanta donne

gentili, la trentesima che accese l'estro poetico di Lapo Gianni, dovette parere più degna delle altre di venire accolta nella ristretta compagnia amorosa, vagheggiata da Dante col famoso sonetto: Guido vorrei, che tu e Lapo ed io. Ogni amatore eletto secondava poi l'altro nel suo amore, servendo spesso, da Galeotto, il sonetto o la canzone d'amore, che si scambiavano tra loro i poeti, e che le vaghe donne gentili ricevevano spesso per mano amica.

Ma di Lapo, Dante non ci lasciò altro ricordo; e forse fu pure breve il tempo in cui durò e rimase ben viva la loro dolce amicizia.

Cosi non sappiamo bene fino a qual segno Casella e Giotto, e per quale intrinsichezza, siano stati cari a Dante; ma di essi ragioneremo meglio, in un prossimo trattenimento, dove seguiremo le orme di Dante ar

tista.

LEZIONE DECIMAQUARTA

Dante e gli artisti Ritratti di Dante.

Vedremo, forse, in altra serie di lezioni, quale concetto si fosse Dante formato dell'arte, e come questo concetto traducesse in opera meravigliosa. Per ora, dobbiamo tenerci contenti ad osservare, come, per naturale e viva simpatia, Dante abbia sentito il bisogno di avvicinare, fin dalla prima età, i migliori artefici e artisti di Firenze; come di alcuno di essi sia divenuto amico; e, infine, come non solo siasi appagato di ammirarne le opere, e di trarne poi magnifica inspirazione per quelle sue magnificenze di pittura, di scultura e di musica diffuse nel divino poema, ma, nel suo giovin tempo, egli abbia pure, per suo particolare diletto, coltivata alcuna delle arti belle, come il disegno e l'arte dei suoni.

Più volte Dante ci ha fatto conoscere ch'egli era buon intenditore di musica. Così, nell'udire le salmodie delle nostre chiese latine, intui mirabilmente quello che i dotti critici della musica appena oggi sembrano avere discoperto, cioè che, d'una in altra digradazione, le prime note armoniche della Sinagoga si sono andate alterando e perdendo, viziando il canto e facendolo quasi disarmonico. "I versi del Psaltero scrive Dante nel primo libro del Convito sono senza dolcezza di musica e d'armonia; chè essi furono tramutati d'ebreo

Dispensa 45.

in greco, e di greco in latino, e, nella prima trasmutazione, tutta quella dolcezza venne meno.

Abbiamo veduto nella Vita Nuova come Dante, per consiglio di un'amica gentile, facesse rivestire i suoi versi amorosi, di note musicali, a ciò che arrivando più soavemente, per gli orecchi accarezzati, al cuore di Beatrice, la disponessero meglio alla tenerezza, alla pietà ed al perdono, — la musica, per mezzo dell'armonia, producendo gli accordi. Ora, se bene Dante avesse cura di fare, egli stesso, musicale, ossia armonico, il proprio verso, tuttavia, a crescergli musicalità, ricorreva egli talora all'aiuto de' musici, ai quali, come scrive in altra parte del Convito "si pertiene lo numero. " Alla musica, Dante attribuiva effetti straordinarii, come si può rilevare da un altro passo del secondo libro del Convito, ove sono, mirabilmente, significate le virtù proprie della musica; Dante dice dunque che la musica è tutta relativa "siccome si vede nelle parole armoniz. zate e nelli canti, de' quali tanto più dolce armonia resulta, quanto più la relazione è bella, la quale in essa scienza massimamente è bella, perchè massimamente in essa s'intende. Ancora la musica trae a sè gli spiriti umani, che sono quasi principalmente vapori del cuore, sicchè quasi cessano da ogni operazione, si è l'anima intera quando l'ode, e la virtù di tutti quasi corre allo spirito sensibile che riceve il suono.

E come e quanto Dante stesso fosse preso all' incanto della musica, attesta il dolcissimo canto di Casella nel Purgatorio. Il Boccaccio ed il Bruni ci fanno sapere che Dante si dilettò di musica, di suoni, di canti; egli divenne perciò facilmente amico, non solo de' migliori cantori e musici ch'erano in Firenze, tra i quali doveva primeggiare il suo probabile maestro di canto e di liuto, Casella, ma anche d'un fabbricante di liuti e d'altri strumenti musicali, quel Belaqua (Bevilacqua), bell'umore, che ch'egli incontrò poi nell' Antipurgatorio,

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