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Prima de' trent'anni, Dante non poteva, non ancora ascritto ad alcun' arte, adire alcun pubblico ufficio importante nel suo Comune; ma, non sarebbe verosimile che, fin dal 1295, egli sedesse subito nel Consiglio del Podestà, se, negli anni precedenti, non avesse già preso alcuna pratica degli affari, e, servendo il Comune in alcuno di quegli ufficii, i quali, pur non essendo supremi, doveano mettere in alcuna evidenza le attitudini del cittadino alla vita pubblica, non avesse già dato alcuna prova del suo valore. Si può anche pensare che, innanzi di morire, quello stesso Brunetto Latini, che avviò, come sappiamo, Dante alla via della gloria, quel vecchio segretario del Comune, adoperasse, o raccomandasse, il giovine discepolo alla Signoria, per alcuni ufficii delicati.

Cosi, fra tanto, ci spieghiamo meglio come il principe Carlo Martello, figlio di Carlo d'Angiò, venuto nel 1294 a Firenze, non solo sia stato avvicinato da Dante, allora intieramente guelfo, al pari del suo maestro, ma anche l'abbia trattato da amico; e come, morto immaturamente il giovine principe angioino l'anno seguente, dopo altri cinque anni, Dante se lo fingesse volentieri discorrente seco lui quasi famigliarmente, tra i Beati gloriosi del Paradiso.

Ma, forse, più che di affari politici, l'elegante principe Carlo Martello, dilettandosi, a quanto pare, di poesia, avrà in Firenze ragionato con Dante di arte poetica. Dante aveva allora, con Guido Cavalcanti, già fama di ottimo poeta lirico; ed era quindi assai naturale che un principe colto di quella corte d'Angiò, dove lo stesso Roberto, forse troppo maltrattato da Dante, acquistò pure fama sollecita di re da sermone, e, dopo molti anni, anche nome glorioso di re saggio; dove gli studii venivano molto onorati, accogliesse il poeta fiorentino nella sua quasi dimestichezza, e si deliziasse nell'udire alcune delle sue belle canzoni; onde, memore di tanta cortesia, Dante non solo lo esalti poi nel Paradiso, ma, per amore del primo principe amico, vituperi pure un poco Roberto, minor fratello di Carlo Martello, primogenito di Carlo d'Angiò, che avea tolto, a Caroberto, legittimo successore, la signoria e il trono di Napoli; come egli esalterà, poco dopo, il liberale Cangrande della Scala, dicendo. male di un suo fratello ingeneroso:

Indi si fece l'un più presso a noi

E solo incominciò: Tutti sem presti
Al tuo piacer, perchè di noi ti gioi.
Noi ci volgiam co' principi celesti

D'un giro e d'un girare e d'una sete
A' quali tu, nel mondo, già dicesti:
Voi che, intendendo, il terzo ciel movete,
E sem si pien d'amor che, per piacerti,
Non fia men dolce un poco di quïete.
Poscia che gli occhi miei si furo offerti
Alla mia donna riverenti, ed essa
Fatti gli avea di sè contenti e certi,

1

1 Graziosissimo e delicatissimo qui il richiamo di Dante a Beatrice, se si legga attentamente e si mediti il secondo libro del Convito, ove Dante illustra, a sommo onore di Beatrice, la canzone ricordata da Carlo Martello.

Rivolsesi alla luce che promessa

Tanto s'avea, e: "Di', chi se' tu? - fue
La voce mia di grande affetto impressa.
Oh quanta e quale ved' io lei far piùe,
Per allegrezza nuova che s'accrebbe,
Quand' io parlai, all'allegrezze sue!

Carlo Martello riconosce quindi egli pure Dante` alla voce, come Dante, alla voce, avea, nel Purgatorio, riconosciuto Casella, Belaqua, Oderisi.

Allora il Principe angioino prosegue:

Così fatta, mi disse, il mondo m'ebbe
Giù, poco tempo; e, se più fosse stato,
Molto saria di mal che non sarebbe.
La mia letizia mi ti tien celato,

Chè mi raggia d'intorno e mi nasconde,
Quasi animal di sua seta fasciato.
Assai m'amasti, ed avesti bene onde,
Chè, s'io fossi giù stato, io ti mostrava
Di mio amor più oltre che le fronde.
Quella sinistra riva che si lava

Di Rodano, poich'è misto con Sorga,
Per suo signore a tempo m'aspettava.

Carlo Martello era dunque predestinato ad alta e larga signoria; ma egli ambiva specialmente, come amico della poesia, aver dominio nella poetica Provenza; se non che la morte gli tolse l'impero di cui non solo egli non potè godere, ma nè pure il proprio figlio Caroberto, spodestato dallo zio Roberto. Ora è singolare che questo stesso Roberto tanto inviso a Dante, per amore forse di Carlo Martello, che valse pure ad alienargli l'animo dell'usurpatore,' il cantore di Sorga e di Valchiusa corteggi poi tanto, da dedicargli il suo maggior

1 Questo si può rilevare dall'allusione a Polifemo, che si trova nella seconda egloga latina di Dante, come vedremo nella lezione decimasettima.

Dispensa 48.

poema; e, per le sue premure, ne ricava infine quella fronda d'alloro, che il Petrarca agognava tanto ed ottenne rumorosamente in Campidoglio. Come Dante avea fatto gloriosamente risentire, in bocca di Casella, una delle sue canzoni giovanili tra i crepuscoli divini del suo Purgatorio, cosi egli ne fa risuonare e ripetere un'altra nella luce serena del Paradiso, per bocca di Carlo Martello; e questa canzone sarà pure la prima che egli interpreterà nel Convito, come la seconda, già intonata da Casella, ch'egli ci dichiara pure nel Convito, fu quella che incominciava:

Amor che nella mente mi ragiona.

Noi possiamo dunque ritenere questa duplice citazione nelle vie del cielo e questa sollecitudine con cui Dante imprende a dichiararle nel Convito, come un avviso che, non solo il poeta ha preferito queste due canzoni tra tutte, ma come esse, dolcemente musicate, fossero anche divenute popolari, nel tempo stesso di Dante, di maniera che, non solo alcun fabbro sulla terra, anche storpiandole, le cantasse, ma le ricordassero e ripetessero, come poesia sublime, le ombre di Casella e di Carlo Martello, avviate alla salute e alla suprema beatitudine.

Ma, se Dante poeta dovette specialmente attirare ed avvincere, in Firenze, nella sua venuta dell'anno 1294, il principe Carlo Martello, io ripeto che egli potè pure avere più facile occasione d'avvicinarlo, se non per opera di Brunetto Latini, forse già morto alcuni mesi innanzi, almeno in grazia di alcun ufficio pubblico che gli permettesse d'ossequiar tosto il giovine principe e di fare parte di quella corte, durante il suo breve soggiorno in Firenze. Detto della morte del re Alfonso d'Aragona, della successione a quella corona, e della contea d'Angiò, concessa dal re Carlo d'Angiò, insieme ad una propria figlia, a Carlo di Valois, fratello del Re di

Francia perchè rinunciasse al regno aragonese, e però, del viaggio di Carlo di Angiò in Francia, Giovanni Villani soggiunge: "Lui tornando, coll'accordo fatto, e coi suoi figliuoli, i quali avea diliberati di prigione, passò per la città di Firenze, nella quale era già venuto da Napoli, per farglisi incontro Carlo Martello, suo figliuolo, re d'Ungheria, e, con sua compagnia, ducento cavalieri a sproni d'oro, Franceschi e Provenzali e del Regno, tutti giovani, vestiti col re d'una partita di scarlatto verdebruno e tutti con selle e d'una assisa a pala freno, rilevate d'argento e d'oro, con l'arme a quartieri a gigli d'oro, e accerchiata di rosso e d'argento, cioè l'arme di Ungheria, che parea la più nobile e ricca compagnia che mai avesse un giovane re con seco. E in Firenze stette più di venti di, attendendo il Re Carlo suo padre e i fratelli, e da' Fiorentini gli fu fatto grande onore, ed egli mostrò grande amore a' Fiorentini, ond' ebbe molto la grazia di tutti. È cosa verosimile che, se, come usava, i Fiorentini mandarono una cavalcata d'onore incontro a Carlo Martello e al suo corteo, di quella scorta facesse pure parte il giovine Dante non ancora trentenne; distinto poi, nella elegante compagnia, come poeta già illustre, da Carlo Martello, è probabile che il principe abbia desiderato di vedere Dante più spesso che ogni altro fiorentino venuto a fargli onore.

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Negli anni 1294 e 1295 Firenze avea veduto grandi cose; e, tra le altre, gli ordinamenti di giustizia di Giano della Bella, che dovettero fare una grande impressione nella mente di Dante, di modo ch'egli avesse a ricordarsene, come priore, per subire, alla sua volta, la stessa sorte del bando, toccata a Giano, e la costru zione deliberata, in modo grandioso, della chiesa di Santa Maria del Fiore, la quale dovea essere tempio religioso e civile ad un tempo, come espressione dell'armonia di tutti i cittadini. Venne sospettata l'autenticità del meraviglioso decreto con cui il Comune di

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