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Nello stesso anno 1300, in cui Dante ebbe una visione, sopra la quale fondò quindi quel poema cui posero mano cielo e terra, Frate Angelo, monaco francescano, da Cingoli, traduceva dal greco in latino, in un'isola del mare Egeo, la Scala del Paradiso di San Giovanni Climaco solitario del Monte Sinai, che visse nel sesto secolo dell'êra volgare.

Nel prologo della sua versione, Frate Angelo narra com'egli, ignaro di greco, per grazia dello Spirito Santo, nella notte di Natale, recitando l'Ufficio con altri monaci, ebbe il dono divino di poter subito miracolosamente intendere la lingua greca; ond'egli s'accinse, nell'anno 1300, a tradurre di greco in latino l'opera sapiente, nella quale San Giovanni Climaco, insegnava, come un penitente Buddhista, all'uomo, il distacco dalle cose del mondo, perchè si desse intieramente alla vita spirituale; ma, nel tempo stesso, metteva in guardia l'asceta contro le seduzioni demoniache, che vengono ad accendere la fantasia per mezzo dei sogni, in modo che i privilegiati con visioni straordinarie, possono credersi essi stessi profeti.

1 Ecco quanto sta scritto nel trattato di San Giovanni Cli

maco:

"Il sogno si è movimento di mente, non mutato il corpo; fantasia si è delusione degli occhi nella mente dormente; fan

Nello stesso anno 1300, da un libro di maestro Arnaldo da Villanova, celebre medico ed alchimista, e intitolato De Cimbalis Ecclesiae, Frate Gentile da Foligno estraeva una profezia distesa in sei pagine, sotto il titolo: De mundo in centum annis.

L'anno 1300, l'anno del Giubileo, dovette ritenersi grandemente propizio alle visioni soprannaturali, alle grandi rivelazioni di Dio; e, perciò, anche Dante, sognatore frequente, ed avente una fede quasi superstiziosa nella virtù dei sogni, volle riferire a quell'anno sacro la sua grande visione.

Dante aveva certamente letto, nel De Senectute di Cicerone, a lui famigliare, le parole attribuite da Senofonte a Ciro: "Dormientium animi maxime declarant divinitatem suam; multa enim, cum remissi et liberi sunt, futura prospicient. Perciò nel secondo libro del Convito, per suo conto, afferma: "Ancora vedemo continua esperienza della nostra immortalità, delle divinazioni de' nostri sogni, le quali essere non potrebbono, se in noi alcuna parte immortale non fosse, per venire a conchiudere come, per tal fede, egli sia ormai sicuro di ritrovare in cielo la sua Beatrice: "ed io così

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tasia si è eccesso o levamento di mente nel corpo vegliante; fantasia si è contemplazione non stante. La ragione di questo trattare dei sogni in questo capitolo è quasi manifesta, però che quando lasciando noi medesimi con tutte le cose mondane e li parenti e la patria, siamo fatti peregrini per la carità divina, allora le demonia si sforzano di conturbarci per li sogni dimostrandoci come li nostri parenti e domestici sono uccisi e morti. o tenuti in molta amaritudine ed angoscia per noi; però chi a' sogni crede, è siccome l'omo che corre dopo l'ombra sua e pensala prendere. Le demonia della vanagloria nelli sogni dimostrano profezie, però che essendo molto astuti, comprendon le cose che debbono venire, e si le fanno venire in sogno, acciò che, vedendole venire in effetto, ci ammiriamo e leviamo il nostro cuore in altura di superbia, pensando noi essere appressati alla grazia de' profeti. „

credo, cosi affermo, e così certo sono, ad altra vita migliore, dopo questa passare, là dove quella gloriosa donna vive, della quale fu l'anima mia innamorata.

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Diversamente da San Giovanni Climaco, Jacopo Passavanti pensava che talora, non già i demonii, ma gli angeli ci mandano i sogni; perciò, nello Specchio della Vera Penitenza, scriveva che la cagione dei sogni è talora spirituale e divina, " questa è alcuna volta da Dio, il quale per ministerio dei Santi Angeli rivela certi misteri occulti e cose alte sopra gli umani sentimenti alle persone cui egli elegge a fare e manifestare alcune cose, secondo l'ordine della sua provvidenza.

Dante credeva fermamente agli avvisi divini che gli venivano talora in sogno; perciò, nel terzo libro del Convito, parlando del suo amore per la donna gentile, egli ci dice ancora che " non solamente vegliando, ma dormendo, lume di costui nella mia testa era guidato. „

E la materia dei sogni gli era tanto famigliare per propria esperienza che gli accadde pure alcuna volta di sognare che sognava; al che allude nel trentesimo dell'Inferno:

Quando 'l Maestro mi disse: Or pur mira
Che per poco è che teco non mi risso.
Quand' io 'l senti' a me parlar con ira,
Volsimi verso lui con tal vergogna
Che ancor, per la memoria mi si gira,
E quale è quei che suo dannaggio sogna,
Che, sognando, desidera sognare,

Si che quel ch'è, come non fosse, agogna;
Tal mi fec'io, non potendo parlare;

Chè disiava scusarmi e scusava

Me tuttavia, e mi non credea fare.

Quale mirabile disposizione naturale ad un forte immaginare!

Dispensa 63.

Il sonno è spesso presagio; il che ci esprime Dante stesso con quelle parole del ventesimo settimo del Purgatorio:

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Ma, secondo il pensiero, il sentimento, il ricordo di Dante, i sogni più veridici ci visitano nel mattino, come egli osserva nel ventesimo sesto dell' Inferno:

Ma se presso il mattin del ver si sogna,

e come ci rappresenta essergli pure avvenuto quando sogno della femmina balba, secondo il ricordo che ce ne ha lasciato nel dicianovesimo canto del Purgatorio:

Nell'ora che non può il calor diurno
Intiepidar più il freddo della luna
Vinto da terra o talor da Saturno,
Quando i geomanti lor maggior fortuna
Veggiono in Oriente innanzi all'alba
Surger per via che poco le sta bruna,
Mi venne in sogno una femmina balba...

Nel XXVII canto della stessa cantica, Lia cogliente fiori gli presagisce l'imminente arrivo di Matelda che coglierà fior da fiore:

Nell'ora, credo, che dall' Orïente

Prima raggiò nel monte Citerea,

Che di fuoco d'amor par sempre ardente,

Giovane e bella in sogno mi parea

Donna veder andar per una landa

Cogliendo fiori...

Così, nel nono del Purgatorio, Dante sogna, al primo romper del giorno, Lucia, l'aquila e il monte Ida, che

gli prenunziano la imminente salita al monte del Purgatorio:

Nell'ora che comincia i tristi lai

La rondinella presso alla mattina,

Forse a memoria de' suoi primi guai;

E che la mente nostra, pellegrina

Più dalla carne, e men da' pensier presa,
Alle sue visïon quasi è divina.

Non tutti i suoi sogni Dante ci ha potuto ridire; talora i più belli, come l'ultimo del Paradiso, gli sono sfuggiti; ma la sua coscienza di possedere una mente divinatrice, la frequenza de' sogni, la loro vivezza, la loro significanza, la compiacenza che il Poeta dimostra, a più riprese, nel farci conoscere le rivelazioni ch' egli ebbe, per mezzo de' sogni, la sua potente spiritualità, in somma, la sua immensa sensibilità, la sua fede profonda nell'intervento divino che viene spesso ad inspirarlo, come egli crede che certe opere di magia, di necromanzia si compiano per virtù diaboliche, tutto questo lusso, insomma, d'immaginazione che spiega Dante nell'illustrarci la dottrina de' Sogni, sono ragione sufficiente a spiegarci come egli abbia scelto per il suo poema la forma della visione, non solo perchè nelle leggende e ne' trattati del medio evo ascetico essa era già comune e popolare, ma anche perchè egli stesso cedeva superstiziosamente all'illusione del sogno, e se ne lasciava rapire.

Pur ritenendo dunque che la parte materiale del poema dantesco gli sia stata, nella massima parte, somministrata dalle credenze e tradizioni del suo tempo, come la parte dottrinale e dommatica della scienza scolastica, la quale muovendo da Aristotile, faceva capo. ad Alberto Magno, ad Ugo da San Vittore, a San Bernardo e a San Tommaso, rinnovandosi ancora con intendimenti morali e civili più pratici nel Tesoro di

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