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cato salendo il monte di Purgatorio per contendere al Cielo.

Il suo poema si potrebbe dunque chiamare "la visione delle visioni;, poichè esso le abbraccia tutte, con un legame misterioso, di cui la sola psiche meravigliosa del Poeta, veramente immortale, avrebbe potuto rivelarci il segreto. Certo, nel momento in cui Dante, oltre il cinquantesimo anno della sua vita, dopo essere passato per dumi, vepri e sterpi, nel suo lungo cammino ideale; dopo di aver molto faticato per levarsi con la mente al disopra delle passioni umane, dovea, nella sua magrezza meditabonda, avere sembianze di un vero asceta buddhico, esente da tutte le passioni.

Dalle radici del Picco d'Adamo, i penitenti che vi arrivano da ogni parte, Indù, Musulmani e Cristiani, hanno buoni e saldi propositi; ma essi non sono ancora intieramente scevri da quegli affetti che agitano l'animo; solo, a misura che essi salgono, e che la terra viene loro restringendosi sotto i piedi, i penitenti di varia nazione e di vario culto, mirando in alto, appuntano tutti la loro vista verso il cielo, ad un solo segno luminoso, ch'è Dio. Sulla vetta del monte è la pace perfetta; al di sopra del monte sarà poi la luce, la gloria vera, l'unità e la beatitudine perfetta; e, bevuta l'acqua dell'oblio e l'acqua del Mânasa e di Eunoè, il yogin indù si può ricongiungere con Brahman, l'asceta buddhico, con la Vidya o Sapienza, il pellegrino cristiano, per la nuova luce di Cristo della Vergine, con Dio. Ma la perfetta purificazione avviene soltanto per il penitente indiano, dopo ch'egli s'è lavato in un tirtha lustrale, come l'onda battesimale deve mondare l'uomo da ogni peccato. Perciò, anche Dante viene condotto da Matelda per cenno di Beatrice alla fonte di Eunoè, prima di esser preso dalla sua donna e rapito in cielo :

Ma vedi Eunoè che là deriva;
Menalo ad essa, e, come tu se' usa 1
La tramortita sua virtù ravviva.

Con lo stagno, dove i penitenti che salgono sul Picco d'Adamo si lavano e si mondano, l'Eunoè di Dante il rivo della Buona intelligenza, della Buona Mente, ha una meravigliosa corrispondenza; ma non meno stupefacente è la sua piena consonanza col lago Mânasa ossia il Lago dell'intelligenza, il Lago della Mente, che gli Indiani del Nord collocano quale sommo lavacro per la salute eterna, sopra un'alta montagna dove si recano ancora rari pellegrini, presso la cima dell'arduo e pericoloso Kailasa, sull'Himalaya, nel confine tra il Nepal ed il piccolo Tibet, dove Kasmiriani e Nepalesi collocano il loro paradiso, o giardino di felicità, a 14,500 metri sopra il mare. La poesia indiana lo celebra, senza fine.

Noi abbiamo inteso, nel Tesoretto e nel Tesoro di Brunetto Latini, come dal Paradiso Terrestre si dipartissero quattro fumi, il Gange, il Nilo, il Tigri e l'Eufrate.

Una leggenda indiana raccolta dal Váyu-Purâna narra che l'Oceano cadde un giorno sulla cima del monte paradisiaco Meru, e essendovisi aggirato alquanto, si divise in quattro fiumi, i quali corsero in quattro direzioni diverse formando quattro laghi, Arunoda, Sitoda, Mahabhadra e Mânasa.

Dal lago Manasa, ossia dal Lago della Mente, sarebbe pure uscito il Gange purificatore. Ktesia, Plinio e Quinto Curzio, ebbero di questo lago sacro alcuna vaga notizia; per ciò Plinio, che Brunetto e Dante

1 Richiamo a quanto già dissi più innanzi sopra la donna che, nella Vita Nuova, mette Dante poeta sopra la vera via di piacere, con la dolcezza di un nuovo stile, alla sua Beatrice.

il Gange esce

giunto in una

1

leggevano, poteva già scrivere che fragorosamente dalla sua sorgente, e pianura, vi fa dimora sopra un certo lago. " Questo lago, insieme col vicino lago detto di Ravana, fu visitato dal padre Andrada nel secolo decimosettimo, dal padre Desideri e dal padre Freyer nel secolo decimottavo, dal Moorcroft e dall' Hearsay nel secolo nostro; e, se bene questi viaggiatori non abbiano potuto confermare la notizia che il Gange vi nasce o vi entra, notarono bene che esso si trova in vicinanza del monte paradisiaco Kailasa. Spostandosi poi la leggenda mitica indiana dal nord al sud, insieme col progresso degli Arii verso il Mezzogiorno, il Monte Kailasa, nella sua qualità mitica di monte paradisiaco, fu trasferito più tardi dall' Himâlaya al Vindhya, nell'India centrale, e da questo, sul monte più alto del mare meridionale, sul picco d'Adamo, nell'isola di Lañkâ o Seilan.

Onde si spiega come il Vayupurana collochi nella regione del Mezzogiorno il lago Mânasa; come ad un lago vicino al nord dell' India siasi dato il nome di lago di Râvana e di Lañkâ, e finalmente come nell'Uttaracanda, Râvana stesso, signore di Lânkâ, venga a far penitenza sul monte Meru e visiti frequentemente il monte Kailasa. Queste ipostasi del mito sono molto importanti per la storia e per la geografia dell' India; ma noi dobbiamo tenerne qui conto specialmente per il nostro studio dantesco, ed, in particolar modo, per ispiegarci come il lago purificatore Mânasa, trasferito dal nord nello stagno lustrale del Picco d'Adamo, abbia generato l'Eunoè del Paradiso terrestre di Dante e l'Humata di Arda Virâf.

1 Nel Râmâyana si fa nascere la riviera Sarayu dal lago Mânasa, per confondersi quindi fragorosamente col Gange.

Il luogo, dove si stende il Mânasa, o lago Mentale, è deserto; i soli abitatori della vetta, detti per ciò Mânasâusaki, che il genio di Kalidâsa ha fatto eloquenti nel dramma Vikramorvaçi, sono i cigni e le anitre.

Per arrivare in cima a questo altissimo lago di purificazione, si devono durare le più aspre fatiche, e sopportare la fame ed ogni maniera di stenti.

I pochi pellegrini che arrivano fino alla cima, vi compiono un rito simile a quello del culto degli antichi Romani per i loro patres: essi gettano, dunque, in onore dei loro pitaras, parenti ed amici defunti, un pugno delle loro ceneri che portarono seco in un sacchetto, credendo, per tal modo, d'assicurare loro la beatitudine. celeste e di propiziarsene le ombre, i Manes. Lungo le balze scoscese di que' monti, si trovano, nelle grotte o in capanne, anacoreti, yogin, penitenti brahminici, e monaci buddhisti, intenti a penitenze severe e a profonde meditazioni. Come i pellegrini che ascendono il Picco d'Adamo, gli anacoreti del monte che sale al lago Mânasa, possono discendere al basso, e risalire quindi alle loro dimore, solamente col mezzo di scale portatili, vere scale del paradiso, che recano seco, o per gradini, tagliati grossolanamente nelle aspre rupi, che ricordano i gradini del Purgatorio di Arda Virâf e di Dante.

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Nel Ramayana, il lago Manasa viene posto in cima. del paradisiaco monte Kâilâsa, Sulla cima, è detto, del monte Kailâsa, giace un lago, che si chiama Mânasa (mentale), perchè fu creato da Brahma col potere del suo Manas, (la Mente, la Intelligenza).

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Nel Mahabharata (XIII, 5351) vien detto che il târtha o lago sacro Mânasa è profondo, limpido, puro, dell'acqua buona e sincera, costante; e che perciò conviene bagnarsi in esso per acquistare la bontà e la sincerità; e ancora che il bagno di quelli che contemplano la vera essenza, il sommo intelletto, la verità assoluta, è il bagno

che si fa nel lago Mânasa, con la mente accesa, con l'accesa scienza di Branma. 1

Tutto ciò è veramente sublime; e, quando si pensi che vi è un luogo della terra, dove, nella maggiore vicinanza del cielo, presso un lago sacro, che supera forse l'altezza del nostro Monte Rosa, vi sono ancora penitenti di nostra nobile stirpe, de' quali il pensiero, sollevato dalla terra, è tutto assorto nella contemplazione spirituale e nella meditazione profonda dell'Essere Supremo, io dico che è anche commovente.

E me Italiano, commuove pure grandemente il pensiero, che sulle alture dell'Hîmâlaya, dove è sorto, religiosamente, il più alto villaggio della terra, a Gangotrî, dove nasce il sacro fiume Gange purificatore e benefattore di ottanta milioni di devoti Indiani, fiume che si crede derivare, per sorgente remota, dal sacro lago della Mente, dal Mânasa, presso il Kailasa dove gli Indiani del Nord collocano il loro Paradiso, a Gangotrî, ripeto, ad oltre quattro mila metri sul mare, all'altezza dunque del nostro Monte Rosa, i Brahmini dell'India dicono tuttora le loro preghiere in onore del Dio paradisiaco Çiva e del Gange, per un caso singolare e quasi miracoloso, sopra un libro pubblicato e

2

1 Perchè non venga ad alcun critico la cattiva tentazione di dire ch'io sogno, reco qui le due strofe testuali del Mahâbhârata:

Agadhe vimale çuddhe satyatoye dhritihràde

Snâtavyam mânasetîrthe satyamálambya çâsvatam
Manasa c'a pradiptena brahmag' nânag'alena c'a
Snâti yo mânase tîrthe tatsnânam tattvadarçinâm.

2 Non sogno e non invento nulla. Ferdinando de Lannoye nell'anno 1855, dopo un viaggio nell' India, dedicava il suo volume L'Inde contemporaine, a Gaspare Gorresio “ Au savant interprète italien de Valmiki. „, Tentato dalle bellezze del Râmâyana, se bene siasi dovuto dire a lui, comc fu detto a me in Hardvar, che i pellegrini i quali si recano a Gangotri, alle sorgenti del Gange, si chiamano anivartamana, (o sia, quelli che non tornano), a mo

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