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Certo, se ci volgiamo a considerare la condizione delle lettere e degli studi in Italia, se ne commove l'animo nostro di pietà, non meno che di vergogna. Imperocchè si scorge in molti ignoranza superba, e turpe fastidio di quelle leggi, che fissano norme al bello vedonsi gli uni errare fuori del buon cammino sull'orme de' forestieri: gli altri pigliare per poetica inspirazione il cieco furore di fantasia delirante: questi spregiare la sapienza de' padri nostri : quelli violare in tal guisa il nativo idioma, che dalle loro inesperte mani trattato, esso pare altro in tutto da quello che fu in antico. E se in mezzo al disordine, alla battaglia, alla confusione de' giudicii, de' pensieri, delle sentenze qualche nobile ingegno risplende ancora, quasi stella pallida e solitaria tra le nubi di fosco cielo, la sua grandezza più chiaramente fa manifesta la viltà, e la bassezza nostra.

Il decadimento delle lettere e delle arti, non solo è grande sventura ad una nazione, perchè la priva della parte più pura della sua gloria, ma sì ancora per essere certo indizio della corruttela degli animi, e delle menti. Onde ne puoi inferire, che come gli uomini in essa più non portano amore al bello, nè più conoscono il modo di ritrarlo con le parole, co' suoni, con i colori, così non sentono il pregio della virtù, nè sanno, secondo i suoi documenti, compire i diversi uffici del vivere domestico, e del civile. Dal che ne siegue, che dove siano i giovani ricondotti al culto della ideale bellezza, saranno essi ricondotti eziandio alla obbedienza de' precetti morali, dai più nei nostri infelici tempi disconosciuti, o dimenticati. Imperocchè l'intelletto non si solleva alla contemplazione del bello, se prima in se

non accolse il lume del vero. E chi non sa essere con questo e con quello il bene congiunto, siccome con la sua radice la pianta, come l'effetto con la cagione?

Allorchè la romana repubblica perdette la libertà le rimase per qualche tempo a conforto della servitù ignominiosa lo splendore delle lettere, e delle arti. Onde se nei rostri più non si udiva la voce degli oratori rimproverare lo sparso sangue, e le offese leggi ai potenti, i sette colli echeggiavano al canto dolcissimo delle Muse di Virgilio, e di Orazio, mentre Cicerone dell' onesto, e del vero filosofava, e Livio narrava ai posteri le chiare imprese di Roma. Qual nome, qual decoro, qual gloria rimarrà a noi Italiani, ove non cerchiamo di riporre nel grado antico la nostra letteratura! E ci avverrà di levarla dal fango, dov'è caduta, quando non prendiamo in esempio i classici nostri, imitandoli non con ossequio servile, ma col libero modo di chi volendo e potendo da se creare nuovi concetti, e immagini nuove, non dimentica avere l'arte fissi principii, e il bello infinito nella sua essenza dovere obbedire a certe leggi nelle sue forme?

A ciò pensando m'è sorto nell'animo il desiderio di scrivere alcune Lezioni intorno alla nostra Letteratura, cominciando dai primi tempi della gagliarda sua giovinezza, e fino a quelli continuando, in cui, se non mancolle il vigore, mancolle il gusto squisito, e il retto giudicio. Scriverò queste col medesimo intendimento, con cui ho dettato gli altri miei libri. E poichè nel primo di essi trattai della educazione in ordine al bene, nei susseguenti della educazione in ordine al vero, in questi mi propongo trattare del bello, non in maniera spe

culativa, ma in modo pratico, derivando le dottrine, e le regole dagli esempi. E per la congiunzione sovraccennata, che è tra il vero, il buono, ed il bello, io spero che la mia presente fatica sia per essere di qualche utilità ai nostri costumi. Conciossiachè quando l'uomo ammirando il bello se ne innamora, e poi lo ritrae con l'arte, come avrà in odio il disordine de' concetti, la stranezza delle immagini, il soverchio dell' ornamento, e la viltà dello stile, così avrà pure in orrore il vizio, vedendo in lui bruttezza morale; e vorrà con misura condurre la vita sua, siccome regge pur con misura il corso de' suoi pensieri.

Non è tanto in potere degli uomini, quanto della fortuna, o a meglio dir della Provvidenza, dare all' Italia nuove forme, ed ordini nuovi di politico reggimento. Nè io credo, che quelle, e questi, poniamo ancora che in se avessero bontà vera, possano fermare la sua grandezza su stabile fondamento, finchè dagli animi nostri non sia sterpato l'amor del lusso, dell' ozio, dei piaceri, dell'oro, e in tutti non sorga operoso e vivo quello della virtù. Agli scrittori, e a chiunque per carità della patria, e per debito di cristiano assume l'educazione de'giovani si appartiene di rifare l'Italia intellettuale, a ciò adoperando i modi, che usavano i nostri antichi, e quelli in alcune parti ampliando, secondo vuole la natura speciale di questi tempi, in cui essendosi meravigliosamente allargato il campo alle scienze sperimentali, deve l'ingegno seguire le nuove idee, arricchirsi delle nuove dottrine, e alle une e alle altre ritrovar conveniente forma, senza alterare nè la sua propria natura, nè quella della italiana favella.

Certo se io guardassi alla povertà degli studi miei, e alla debolezza della mia mente, non dovrei tentare la prova, ch'ora pur tento, mentre mi sforzo di ricondurre gl' Italiani alla riverenza de' nostri grandi scrittori. Ma poichè non già la speranza, nè il desiderio di acquistar lode, ma l'amore, e la pietà m' indussero in altri tempi a scrivere, e a far palesi i pensieri miei, anche ora seguitando il consiglio della pietà e dell' amore ardisco alzar la mia voce, per dire con affetto di madre, e con cuor di amica ai giovani per Italia crescenti: Voi siete errati: voi tenete, e non sempre per vostra colpa, una mala via. Perchè cercate fra gli stranieri le norme e gli esemplari del bello? Non abbiamo noi forse ricchezze proprie? Perchè avete del continuo alle mani libri ripieni d'immagini lusinghiere, eccitatrici d'immoderate passioni, persuasive maestre di voluttà? Non è a voi forse permesso di contemplare nelle lettere veramente italiane la dignità e la schiettezza delle Muse greche e delle latine? Le torbide fantasie venute dal settentrione non son per le menti vostre il pazzo tumultuare di affetti eccessivi, o falsi, non è fatto pel vostro cuore. Voi siete Italiani; cioè disposti dalla natura ad amare la verità nell' arte, nella filosofia, nella vita: e la verità rispetto all'arte non si ritrova se non nei libri de' nostri classici; non già disadorna e nuda, quale è sovente in effetto; ma dalle grazie abbellita di fantasia vereconda, ma illuminata dallo splendore della bellezza ideale. Perchè poi osate guastare con modi improprii, con vocaboli forestieri, con metafore troppo ardite, o troppo lontane dalle idee, che dovrebbero illuminare, la più armoniosa fra quante lingue moderne abbiano fa

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coltà di dare voce all' affetto, e vita al pensiero? Tornate alla riverenza di quelli che furon grandi, perchè essendo sapienti vissero buoni, e avendo cara la gloria più di lei amarono la virtù. Prendete a sdegno i troppo facili studi. Chè niuno ebbe vanto di dotto senza fatica; e però in erudire il vostro intelletto nelle nobili discipline impiegate il tempo, che ora perdete nelle vanità, e ne' piaceri. Considerando la storia della nostra letteratura vedrete, come il savio e fermo volere abbia vinto gli uomini e la fortuna, e come in tutte le condizioni dei tempi i buoni ingegni siano potuti venire in fama; non essendo in altrui potere di fare schiava la mente, o d'insterilire la fantasia.

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