Die peso a i Venti l'alto Fabbro eterno, Aggravò le tue piume, onde all' intorno L'arti, onde alletti, e piaci : Volgi or se puoi, del petto mio le chiavi: Usa vezzi sagaci : Usa infin te carezze, atti soavi. Scempio de' miei verd' anni, Or se' tu senza forza, io senz' affanni.. V Che se all' antico giogo Vuoi pur, ch' io torni, ed arrolar ti piace Su su raccendi la già spenta face, E di riporla entro il mio sen t'ingegna. Di speranze mortalis Ordire i lacci, onde ogni cor s' annodi :: Tue promesse non sono, e se in più modi Mostra per tua discolpa, Che del fato è bensì, non tua la colpa. Delle vicende alterne Ferna il flusso, e riflusso, e fa, che invano Durar quaggiù le cose, e che l'uman E quando immote. l' onde E stabili le arene E quando fiume, che al suo fonte rieda E tenebre serene E senza luce il Sol farai, ch'io veda, E. contra 'l proprio senso Pen+ Pensi di te quel, ch' io di te non penso Ma invan, cruda, mi chiami. Son già fuor del tuo regno, e tu potere Disponi altrove, e 'l traditor Piacere. Lascia Fors? io non sono E'l gran rifiuto mio, da te fuggendo Fuor del tuo crudo Impero Di che temer poss' io, se nulla io spero? Canzon, se vuoi, ch'io uccida Quest' empia; sì, l'ucciderò; ma inante. Donna Real di se nemica, e amante; Ca i propri affetti a guerreggiar si mise, LAnguia Cristina, e qual se discolora Torbida Eclissi al gran Pianeta il volto Langue Natura, e'l chiaro giorno è tolto, E par quasi del Mondo il Mondo fuora, Tal per costei, cui ' Universo onora,Languia tra nubi di mestizia involto Quanto ha di bello in se Virtù raccolto, E quanto il Mar circonda, e 'l Sole indora, Io 'l.vidi e piansi, e air volea; se questa Libera e scarsa del mortal suo pondo Da noi si parte, al suo partir chi resta? Spento il primo splendor, qual fia' secondo? Volea ciò dir; ma da si rea tempesta Scampo Cristina, e tornò bello il Mondo .. Alla Alla Sacra Real Maestà di CRISTINA Regina di Svezia. CANZONE 17. I Di Provincie mille Donna, e Reina un tempo, alma Cittade, E l'ampia terra, che tra Battro, e Gade Se in te fiso, qual' Uom per doglia insano, Di tanti Regni ; ond' io le luci abbasso Chi vuol veder, qual serbe Fede il Tempo quaggiù, sol te rimiri Ruine tue la maestate ammiri, II. Poco altro già l' erranti Stelle vedean, che i tuoi Reami, e poco Spuntin da i sette Colli: Forti Eserciti allor ti armaro, Che il Vatican s'adora, T'arma il rispetto; e appena ed ora. Bellezza in te rigermogliar si vede. Qual giovane vermema Nata pur or dal vecchio Tronco al piede. III. Di tante membra scemo Qualor miro il tuo Capo, io di te stessa E vide, e pianse; al tuo abbattuto Seggio Sol da te stessa: o Roma, Ove la gloria, ove 'l valor fe nido: Grazia verrà mai tale, Onde all'onor primiero apra tu gli occhi, Secol fia, che tal sorte unqua ti tocchi ? Così di tue sciagure Doleami allor, che il dolce tempo, e lieto Ma il gran reflusso instabile inquieto Sorse indi e poco imperiosa Stella ; Antica Roma, a par di te son bella. Come è pur suo Costume, A te rivolga la serena fronte ; El nuovo Artico lume Nell' Italico Ciel mai non tramonte. Dico, che a te non pria Di se feo l'alto incomparabil dono La gran Cristina, e in sua Magion ti elesse E le tue Mura, e le tue Mura istesse, Par Parve, che a Lei nel memorabil giorno Fermasser l'aure, de i lor voli a scorno Il sopito Valor le luci aprisse, L'acque più pure all' arse labbra offrisse. Trionfo mai simile Non vide il Tebro; e tu me 'l giuri, ed io L'augusta Donna alteramente umile E in van fremer l' Invidia; e tra i più fidi All' alta Vincitrice Tutte inchinarsi le 'bell' Arti Ancelle, Per lo Cielo portar l'aure più snelle. Dier voto allora, e voce Ebbero in te le più bell' Arti, e nuova Onde cotanto per virtù di Lei, Chiara, e sì grande sei; Che d'alta fama, e loda Chiunque il pregio, viaggiando, merca, Sol |