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Che lusingando il tuo gentil riposo

Fean corona, e concento alla bell' Urna, Ov' era il pregio d'ogni pregio ascoso Ma non si tosto ella finestra eburna

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S'affacciò la terz' Alba, e col piè d'oro Calpestò la fuggente ombra notturna. Che i tuoi begli occhi a far di se tesoro Si riapriro, e sulla fronte augusta Ristampò l'Alma il suo primier lavoro; E del bel velo dolcemente onusta

Fe' poi quindi tragitto a quella Vita, Che di Morte l'assenzio unqua non gusta, Parlate, o Cieli, e tu, che al Ciel salita, I sensi del mio cuor penetri, e intendi, A i dolcissimi accenti apri l'uscita. Tu con lingua di luce a spiegar prendi Del gran Trionio tuo l'alta memoria, E tua facondia il mio difetto ammendi. Tu la gran pompa, e l' ineffabil gloria

Del Ciel mi narra, e 'l trionfale ingresso, Di cui quel giorno ancor si pregia, e gloria: Narra i plausi festosi, e'l dolce amplesso Del Figlio, e quanto all'apparir tuo crebbe Del trino Lume in te l'alto reflesso. E quanta di beltà s'accrebbe

Alla parte più interna, e più sublime Del Ciel, che in sorte per sua gloria t'ebbe Ma in quella guisa, che de' fior le cime Piegansi al colpo di soave Vento,

Già si piega il tuo spirto alle mie Rime: Spirto, che in suon d'alta pietate io sento Dirmi sovente al cor: confida, e taci : Un di fia forse il tuo desir contento. Or perchè queste misere tenaci

Fasce non scioglie il Tempo, e de' miei giorni Non vanno a tramontar l'ultime faci? Deh venga il dì, che le mie notti aggiorni, E sciolta l'alma dal mortal suo laccio Alla sua bella libertà ritorni!

Forse (oh che sperò!) a vera gloria in braccio Vedrò il vero adombrato in questi Versi, E il più bel mi parrà quel, ch'io ne taccio I' bene

I' benedico l'ora, in ch'io t'offersi
L'arte, e l'ingegno, e al Sol di tua bellezza
Le disviate mie pupille apersi .
Vergine, tu ben vedi a quale altezza

Poggia un tanto sperar, ma s'io non fallo, Nacque dal peccar mio la tua grandezza. Or se dei tu cotanto all'uman fallo,

Che non potranno in me grazie divine? Non fu mai (sallo'l Cielo, e'l Mondo sallo) Nè mai fia posto al tuo poter confine.

GIUDIZIO DELL' AUTORE

Sotto

Sopra le sue Poesie.

SONETTO 195.

l'Orse colà ( se dice il vero Antica fama) quel selvaggio inculto Orror de'boschi un tempo ebbe dal fero Popol dell' Istro, e sacrificj, e culto; Nè osò mai ferro irriverente altero Scuoter fronda, e troncar pianta, o virgulto Nè impura greggia, nè pastor mai fero Con piè profano alle bell' erbe insulto. Così la mia, benchè selvaggia, e oscura Musa (il perchè non so) rispettan gli anni E più d'un l'idolatra, e fe le giura. Ma degli altrui troppo amorosi inganni Fatta giudice un dì l' Età futura, Fia che si folle idolatria condanni

COR

CORTESE

LETTORE.

Tutti i Componimenti, che in questo Libro

si contengono, song stati lasciati “dall' Autore nella guisa, nella quale ora ti si presentano: solamente la seguente Canzone, che egli aveva compita pochi giorni avanti la sua ultima Malattia, s'è ritrovata dopo la sua morte fuori dell' ordine da esso prescritto; s'è creduto di dover porre questa ancora sotto i tuoi occhi, di dover darti questa notizia. Vivi felice.

A UN RITRATTO

DELLA

BEATISSIMA VERGINE,
quando sarà in punto di morte.

Pensier

.

CANZONE 50.

I.

Ensier vestiti a bruno

Pensier, che pieni di atre Idee di Morte,
Meco di Morte ragionando andate :

Malinconiche, e smorte

Faci, che al mio morir l' esequie fate

Sotto quest' aere tenebroso, e bruno:

Sospir, che ad uno ad uno

Non già, ma in folte schiere a cento a cento
Uscir vegg' io da gli angosciosi petti :
Pallidi, e muti aspetti,

Ove alberga il dolore, e lo spavento,

Pianti, singhiozzi, e affetti,

Of

Or che i dì miei tramontano, e si parte
Quest' Alma, ite, vi priego, ite in disparte.
II.

Che nel bujo soggiorno

Ver me da due begli occhi un lume i' veggio.
Muover si dolce, che i miei casi obblio:
Lume, ove tien suo seggio,

E sue delizie quell' Amor, che aprio
De i neri abissi sulla faccia il giorno..
A questo lume intorno

Vola il mio spirto, e mi rimembra il punto
In ch'io preda d'un mal, che uccide, e aletta,
Da tua gentil saetta,

Vergine Madre, in mezzo al cor fui punto;
Amorosa vendetta

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De' tuoi begli occhi, che con Dio trattaro
Il grande accordo, e Dio coll' Uom legaro.
III.

L'antiche mie ruina

Mostrommi allora un bel chiaror dipinto,
Fatica illustre di pennel devoto,

Vero dolor da un finto

Sguardo in me nacque, ed un Celeste ignoto
Pensier, che pose al vaneggiar confine,
E due Stelle Divine

Tal fero allor nel nuovo me lavoro,
Che in quel, cui vidi, ma ridir non oso,
Sacro incontro amoroso,

Quelle di me fan preda, ed io di loro.
lo di mirar bramoso

Ne i lor moti soavi un Ciel ristretto,
E quelle in me di lor virtù l'effetto .
1V.

Ahi come tardi apparve

Alba si bella e quanto men viss' io

I

12

Di quel, ch'io vissi ! ma pur troppo io vissi.
Non foss' io nato, o il mio

Giovenil foco, anticipata Ecclissi

Spento avesse d'un Sol, che a me già parve
Si chiaro, e poi disparve,"

Oscurato da gli anni. Amai fin' ora,

E che amai, se non terra? Oh del nemico

Fol

Folle diletto antico

Fiera memoria, che mi strazia, e accuora
Oh crudelmente amico

Van desio, che i suoi passi avido spinse
Dietre un fango animato, e l'aria strinse!
V.

Dei tuoi bei lumi i giri,

Vergine, che a ben far guide mi furo,
Da indi in qua sol cerco. Hanno i miei giorni
Luce da quegli, e oscuro

Senza essi è quanto io scorgo; ond'è ch'io torni
A spirar l'aria del tuo volto, e 'l miri
Fiso, e talor m'adiri

,

Colle palpebre, che tra me e il bel lume Invida nube d'interpor son use :

E i tradimenti accuse

D'un rio pensier, che, com'è suo costume, Dell' Alma entro le chiuse

Porte, quando a lui par,

vola, e rivola, E lei disturba, e 'l suo piacer le invola. VI.

Ma già di vena in vena

Scorre invincibil gielo, e già mi sfaecio,
Come tenera neve, che si strugge .

Tu l'amoroso braccio,

Cui s'appoggia 'l mio spirto, a lui che fugge, Stendi omai per pietate, e teco il mena. Onda di scogli piena,

E di naufragi paventoso, e solo

Mira, ch' io varco, nè so quai procelle

In queste parti, e in quelle

Sian; tu la sponda e tu m' addita il Polo.

E voi del Sol più belle

Luci alla morte mia vie più splendete,
Se pur esser può morte, ove voi siete.
VII.

Ove voi siete e dove

Giugne un solo tuo sguardo, alta Reina,
Ivi è conforro, ivi è salute e vita:

E alla luce divina,

་་

Che in me percuote, non è forse ardita (ve:
FarMorte oltraggio,e'l braccio,e'l'piè non muc

Ma

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