CAra AL SONNO 9. Ara morte de' sensi, obblio de' mali, Deh per un brieve spazio almen componi Chiudi quest' occhi, che di painger solo Abbiansi ciò. Son gli occhi miei contenti (Chi fia, che 'l creda? ) io sol nella comune Alta posa, e quiete ancor non poso. Già quattro Soli, ed altrettante Lune Fatto han ritorno e queste mie meschine Luci di te son tuttavia digiune. Là del Tosco Appennin sull'erme alpine Balze, o là, dove porge all' Arno in dote Limpid' acque la Pesa, e cristalline, Forse or appunto con pupille immote Tutto Zel, tutto Fe da se ti scaccia Sacro stuol di romite alme devote. Di là ne vieni, ed alloggiar ti piaccia Almen brev' ora in questo seno e poi A te ricetto in alt ro sen procaccia. Vienne di là, ma se venir tu vuoi Donde or ti tien per avventura esclusa Amor co' dolci amari vezzi suoi ; Vanne vanne; infelice oltre nostr' uso Son jo bensì; ma d'onestate amico; Nè le mie notti a profanar son uso. Tale Tale a me scendi, qual fu Colle aprico L' erbe fresche sul romper dell' Aurora, Può de' miei mali; e sol quand'io sia spento, Ma pur combatto con me stesso, e sento Nel partirsi di Firenze per andar in Villa. Firenze I. 10. Irenze mia, benchè miseria estrema Tolga, e di fede a un dir sincero, e fido : Vuol, ch' io tutto dal pianto alzi uno strido. Scusa, o Madre, deh scusa il duro stile, forza oppresso; E ben E benchè un detto istesso In Uom grande sia grande, in vil sia vile, Soffri, s'io dico a te quel, che già disse All' amante Calipso il saggio Ulisse II. Ninfa, ei dicea lo cui gran nome altero E dove ha il Sol feretro, e dove ha cuna : Altra ti avanza, o di Real fortuna: Aver pon gli anni; e gioventù immortale Non t' amo; e 'i dolce de' begli occhi strale O non giunge al mio petto, o se vi giunge; Ivi si spunta, e leggermente il punge . III. Anzi il gran foco, che t'infiamma, e sface Mal riamata Amante, Vie più m'agghiaccia con sue vampe il seno. Che incontro a tante tue bellezze, e tante Beltà, che assai più piace . Opponga e regge di mie voglie in freno Donna di te non meno Savia, e gentil, nè men leggiadra, e bella, Ben dei soffrir, ch'io gli consacri a quella, IV. Sì disse un tempo di Laerte il figlio ; A te, Donna dell' Arno, anch'io favello. Tu in regio Trono alteramente assisa L'imperioso ciglio Volgi all' Etruria. In te l'eletto, e'l bello Ruppe poscia d'accordo Arte, e Natura. Lu Luce a gli Studi, e all' Arti; E ogni bello appo te tanto s' oscura, Ma sia de' tempi, o sia pur mio 'l difetto, Ciò,che ad altri è più inpregio,abborre,e schiva; Che assai più lieto in solitaria riva Splendi, è ver; ma che pro, se a me tua vista Spande Orione, e i Naviganti_attrista, Fera cuna m'accolse, e nacque meco Fui d' empia sorte, ed ebbe 'I pianto in dote E vidi ben, che torbido, e sdegnoso 4 11 Ciel con occhio bieco Guardommi; e l'uno all' altro mal fu cote, Ma pria fiam l' onde immote E mansueto il Mar, che poco o molto Troppo di te saresti Maggior, se bello a paragon del volto Il cuor tu avessi, e in apportar mercede VII. Partomi dunque, e la partenza mia Di Stelle imperiose E' un forte influsso, che a partir m'affretta. Il Ripetroso, a' miei diporti eletta, Tanto più vaga, in solitario suolo Là POESIE TOSCANE Là il mio Destin mi mena A stancare una volta il duol col duolo. Giuro, Firenze, pe'l tuo Regio Soglio, E per le cure, onde la mente ho carca; Men trista è l'Alma, e di pensier più scarca, Di fila d'oro una stagion tranquilla: E asciugar l'onda, che 'l dolor distilla, Colte, intessermi al crin serto, e corona. Già precorro i miei passi; e già la cara Ale impenno al suo Nome, ella al mio ingegno. Ch'ei di pietà, non che di scusa è degno. So, che saviezza e sdegno 2 Non han comune albergo, e so, che sono Manifesta viltà, virtù nascosa Due nomi, ed una cosa. Ma che colpa sì bella a me perdono. Ch'io tra dirupt, e tra montagne algenti, Vivro contento di mia bassa sorte; Sovra le vie de' Venti Alzerò volo, e farò guerra a Morte. Pietà di me fia mai cotanto ardita, |