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CAra

AL SONNO 9.

Ara morte de' sensi, obblio de' mali,
Sonno, che trai di guerra, e in pace poni
Di tempo i miseri Mortali :

Deh per un brieve spazio almen componi
Le mie interne discordie, e tra'l mio duolo
E me l'ali pacifiche interponi.

Chiudi quest' occhi, che di painger solo
Par, che sian vaghi, e ne' miei sensi alberga,
Che mentr'io dormo, al mio dolor m'involo.
Non chiegg' io no, che la posente verga
Tre volte, o quattro rituffata in Lete
In me tu scuota, e tutto il sen m'asperga .
Alme di me più avventurose, e liete

Abbiansi ciò. Son gli occhi miei contenti
Sol d'una poca, e languida quiete.
Tutto già tace il Mondo; e le cadenti
Stelle invitano al sonno; e sonnacchioso
Il Mar ne sembra e sonnacchiosi i Venti.
Io solo, ahi lasso, nel comun riposo

(Chi fia, che 'l creda? ) io sol nella comune Alta posa, e quiete ancor non poso. Già quattro Soli, ed altrettante Lune Fatto han ritorno e queste mie meschine Luci di te son tuttavia digiune. Là del Tosco Appennin sull'erme alpine Balze, o là, dove porge all' Arno in dote Limpid' acque la Pesa, e cristalline, Forse or appunto con pupille immote Tutto Zel, tutto Fe da se ti scaccia Sacro stuol di romite alme devote. Di là ne vieni, ed alloggiar ti piaccia Almen brev' ora in questo seno e poi A te ricetto in alt ro sen procaccia. Vienne di là, ma se venir tu vuoi Donde or ti tien per avventura esclusa Amor co' dolci amari vezzi suoi ; Vanne

vanne; infelice oltre nostr' uso Son jo bensì; ma d'onestate amico; Nè le mie notti a profanar son uso.

Tale

Tale a me scendi, qual fu Colle aprico
Neve scende talor, che poi disfatta
Tosto il rende al primier suo stato antico;
O qual rugiada, che innocente allatta

L' erbe fresche sul romper dell' Aurora,
E mantien fede a ogni lor foglia intatta,
Coll' umide tue penne, anzi ch' io mora,
Bagnami pur, sol che macchiar non ose
Il cuor, ch' io serbo immacolato ancora.
Ma tu non vieni; e già col crin di rose
Spunta dal Gange, ed il natio colore
La Foriera del di rende alle cose.
Forse giunto se' tu; ma il mio dolore
E'l pensier sempre desto a te in quest'occhi
Chiuser l'ingresso, o te ne trasser fuore.
Dunque inesperto arcier se a vuoto scocchi;
E ogni tuo dardo nel mio sen și spunta,
Più non vo', che tua verga unqua mi tocchi.
Vanne: sol Morte rintuzzar la punta

Può de' miei mali; e sol quand'io sia spento,
L'ora per me del riposar fia giunta

Ma pur combatto con me stesso, e sento
In me ragione or vincitrice, or vinta.
Ahi può tanto il mio duel, s'io nol consento!
Deh omai quest' Alma del suo velo scinta
Voli altrove a posar. L'ultima sera
Vedrò pure una volta; e se la finta
Morte non viene, a me verrà la vera.

Nel partirsi di Firenze per andar in Villa.
CANZONE

Firenze

I.

10.

Irenze mia, benchè miseria estrema
Di maestà non poco

Tolga, e di fede a un dir sincero, e fido :
Pur l'alta doglia, ch'esalando, un poco
Si disacerba, e scema,

Vuol, ch' io tutto dal pianto alzi uno strido.
Tu, che d'amor sei niao,

Scusa, o Madre, deh scusa il duro stile,
In ch'io ti parlo, da gran

forza oppresso; E ben

E benchè un detto istesso

In Uom grande sia grande, in vil sia vile, Soffri, s'io dico a te quel, che già disse All' amante Calipso il saggio Ulisse

II.

Ninfa, ei dicea lo cui gran nome altero
Per l'ampio Ciel si spande,

E dove ha il Sol feretro, e dove ha cuna :
Reina, e Dea sei tu: nè d'ammirande
Bellezze, o d'alto Impero

Altra ti avanza, o di Real fortuna:
Nè in te ragion veruna

Aver pon gli anni; e gioventù immortale
Par, che infiori il tuo volto, e fè gli giure.
E pur, Calipso e pure

Non t' amo; e 'i dolce de' begli occhi strale O non giunge al mio petto, o se vi giunge; Ivi si spunta, e leggermente il punge .

III.

Anzi il gran foco, che t'infiamma, e sface Mal riamata Amante,

Vie più m'agghiaccia con sue vampe il seno. Che incontro a tante tue bellezze, e tante Beltà, che assai più piace .

Opponga e regge di mie voglie in freno Donna di te non meno

Savia, e gentil, nè men leggiadra, e bella,
Che a se tutti obbligò gli affetti miei.
Onde soffrir ben dei >

Ben dei soffrir, ch'io gli consacri a quella,
E a partir seco di mia vita i giorni
Alla cara mia dolce Itaca io torni.

IV.

Sì disse un tempo di Laerte il figlio ;
E in somigliante guisa

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A te, Donna dell' Arno, anch'io favello. Tu in regio Trono alteramente assisa L'imperioso ciglio

Volgi all' Etruria. In te l'eletto, e'l bello
Posero, e 'l gran modello

Ruppe poscia d'accordo Arte, e Natura.
Tu dai voce alla Fama, e tu comparti

Lu

Luce a gli Studi, e all' Arti;

E ogni bello appo te tanto s' oscura,
Che bel non è se a te non s'assomiglia,
O dal tuo bello il Bel forma non piglia.
V.

Ma sia de' tempi, o sia pur mio 'l difetto,
O sia, ch' Alma solinga

Ciò,che ad altri è più inpregio,abborre,e schiva;
Me l'alta tua beltà si non lusinga,
Nè 'l tuo leggiadro aspetto.

Che assai più lieto in solitaria riva
Lungi da te non viva.

Splendi, è ver; ma che pro, se a me tua vista
Mai non seppe influir, che affanni, e guai?
Così gl' infausti rai

Spande Orione, e i Naviganti_attrista,
Orion, che tra gli Astri in Ciel risplende
Vie più d'ogni altro, e più d'ogni altro offende.
VI.

Fera cuna m'accolse, e nacque meco
Gemello il duolo e sposo

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Fui d' empia sorte, ed ebbe 'I pianto in dote E vidi ben, che torbido, e sdegnoso 4 11 Ciel con occhio bieco

Guardommi; e l'uno all' altro mal fu cote, Ma pria fiam l' onde immote

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E mansueto il Mar, che poco o molto
In te scintilla di pietà si desti.

Troppo di te saresti

Maggior, se bello a paragon del volto

Il cuor tu avessi, e in apportar mercede
Fosse in te pari alla beltà la fede.

VII.

Partomi dunque, e la partenza mia

Di Stelle imperiose

E' un forte influsso, che a partir m'affretta.
Là, dove all' Elsa in fresche Vali ombrose
Scarso tributo invia

Il Ripetroso, a' miei diporti eletta,
E quanto più negletta,

Tanto più vaga, in solitario suolo
Giace Montagna di bei prati amena :

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POESIE TOSCANE

Là il mio Destin mi mena

A stancare una volta il duol col duolo.
E a cambiar, per Trofeo di mia costanza
Con libero dolor serva speranza.
VIII.

Giuro, Firenze, pe'l tuo Regio Soglio,
Per le mie pene io giuro;

E per le cure, onde la mente ho carca;
Chivi alquanto si frange, e par men duto
Di fortuna l'orgoglio,

Men trista è l'Alma, e di pensier più scarca,
Tesse ivi a me la Parca

Di fila d'oro una stagion tranquilla:
Ivi a me di lor frondi un verde seggio
Compor le Muse io veggio

E asciugar l'onda, che 'l dolor distilla,
E di candide rose in Elincona

Colte, intessermi al crin serto, e corona.
IX.

Già precorro i miei passi; e già la cara
Villa s'appressa, ov' io

Ale impenno al suo Nome, ella al mio ingegno.
Madre tu, se in ciò fallo, al fallir mio
Scusa, o perdon prepara;

Ch'ei di pietà, non che di scusa è degno. So, che saviezza e sdegno

2

Non han comune albergo, e so, che sono Manifesta viltà, virtù nascosa

Due nomi, ed una cosa.

Ma che colpa sì bella a me perdono.
Tu rimani fra gli odj, e fra gl' inganni,
Fra l'ingiurie adorate, e i ricchi affanni.
X.

Ch'io tra dirupt, e tra montagne algenti,
Tra greggie, è tra Pastori

Vivro contento di mia bassa sorte;
E cinto forse d'immortali allori

Sovra le vie de' Venti

Alzerò volo, e farò guerra a Morte.
E se amorosa e forte

Pietà di me fia mai cotanto ardita,
Che la pace a turbar de' miei pensieri,

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