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questa solitudine. Per essere stato alquanti giorni meglio della salute, era entrato in speranza di potermi rifare mutando vita, la quale non si muta perchè questo non sta in me. Avrei sommo bisogno di distrazioni, ma non ne ho: oimè mi ridarebbero la salute e la vita (1,53). » Avea bisogno d'esser sottratto al potere della sua inesorabile ragione, « la carnefice del genere umano, una fiaccola che deve illuminare, ma non incendiare come pur troppo fa (1,110). »

Solamente i genitori non vedevano che il ritenerlo più a lungo importava ucciderlo. E benchè Leopardi in quest'età di 19 anni fosse ridotto al punto che « appena poteva fare un' ora di lettura al giorno, »> essi misurando gli altri da se stessi, credevano ostinatamente che le tristi condizioni del figlio non dipendessero da quel soggiorno e che il mutar vita, anzichè un bisogno reale, fosse un vano desiderio giovanile da non doversi secondare perchè fuori la casa v'era la perdizione, il contagio dell'empietà, a cui era da preporsi mille volte la morte stessa de' figli. Le strettezze finanziarie aveano un peso secondario. Non si può altrimenti spiegar la loro ostinazione di tenerlo ivi incatenato. Amavano tanto i figli, sempre a modo loro, che se avessero creduto giovevole per la vita e felicità di Giacomo

il cambiamento di dimora, non avrebbero esitato. Invece siccome i loro desiderii non andavano più là della propria casa, non facevano altro che ripetere: Che necessità a viver fuori di Recanati? Al più se il figlio ci si sentiva male, poteva mettersi nella bella carriera ecclesiastica, fonte di tutti i guadagni, oltre la gloria del paradiso; e cosi uscir di Recanati senza sconcio della famiglia. Non sapevano che il loro figlio non era stoffa ecclesiastica, anzi avrebbe preferito qualunque altro mestiere a quello di prete, onde scriveva a Giordani: « Dio mi scampi dalle prelature che mi vorrebbero gittar sul muso. »

E pure benchè ridotto a tale che la vita gli riusciva un peso assai grave e poco o nulla gli potesse più servir allo studio, innanzi al suo invitto animo ancora si affacciavano magnanime speranze.

«Non voglio vivere in questa tomba: la mediocrità mi fa una paura mortale: voglio alzarmi e farmi grande ed eterno coll' ingegno (1,57). »

Non sapeva ancora che al mondo non avrebbe lasciato che una piccola parte di se stesso. La vita gli fuggiva rapidissimamente e un velo funebre si stendeva sul suo capo mentre aspirava a grandissimi destini. E pur sperava e sentiva l'amicizia come l'uomo più felice del mondo. Invece di aborrir tutto vedendosi in si fresca età inabile agli uffizi leggieri anche

ad un vecchio, ama e spera come fosse nella pienezza della più felice gioventù. E un tale uomo si taccia di pessimismo. Non avendo ricevuto lettere per circa un mese dal suo Giordani, scrive:

« O carissimo e dolcissimo Giordani mio, vi riabbraccio con tutto il cuore e l'anima. Che è questa nuova maniera di cominciare? O Dio! voi non sapete in che pena sono stato questi giorni per voi. La cagione potete immaginarvela. Dal giorno in cui vi scrissi l'ultima mia, fintanto che non ho ricevuto le vostre del 1 e del 6 sono stato, non vedendo vostra lettera, in un'ansietà spaventosa. Insomma ho pensato di voi quelle più acerbe cose che si possono pensare di persona più cara che la vita propria. Ho provato strette di cuore cosi dolorose che altre tali non mi ricordo di avere mai provato in mia vita... Or Dio sia benedetto poichè voi siete mio; e in verità quando ho ricevuto le vostre lettere ho sfidato tutte le sciagure del mondo a venirmi addosso e a scuotermi se potevano (1,67). »

Intanto seguitano tra il venti e ventunesimo anno i suoi progressi meravigliosi nel gusto, benchè gli resti ancora da fare attesa la gran dose di barbarie onde si era imbevuto in Recanati. Ma non pare che senta ancora distintamente la sua vocazione, tanto lo avevano ben concio i retori greci e latini e l'educa

zione domestica. Si accosta ai poeti lasciando i retori in pace, e torna a limare la traduzione del secondo libro dell'Eneide di cui più tardi dovea dire che « dileguatosi il poeta, restava solo il traduttore. >> Quanto a fedeltà non teme paragone, ma i colori virgiliani spariscono interamente. I concetti dell'originale si raffreddano tra le sue mani, e resta, a giudizio dello stesso suo ammiratore Pietro Pellegrini, inferiore anche ad Annibal Caro. Credeva d'aver fatto molto perchè mandò la traduzione attorno, non escluso, come dicemmo, Vincenzo Monti il quale maestro già del bello stile poetico, non so quanto gradisse veramente il dono giovanile. Ad ogni modo dopo qualche mese progredendo nel gusto, rifiuta anche questa traduzione in cui avea posto tante cure e speranze dopo quella di Mosco e dell'Odissea. Tutto cangia in lui rapidamente; e fin la gloria di cui testè pareva tanto avido, a vent'anni già la disprezza. Com'è mai possibile tale rivoluzione e tal disprezzo? Che è mai avvenuto di nuovo a questo fervido giovane che così presto comincia a volger le spalle alle più potenti lusinghe?

Comincia a toccar con mano ch'egli è escluso dalle più care gioie. A vent'anni i suoi « studi micidiali» oltre le altre permanenti cause fisiche, gli avevano guasto il corpo. E quando il cuore gli si

cominciava ad aprire, vide d'esser caduto in tale stato che qualunque godimento, qualunque uso della vita gli riusciva impossibile. Con un cuore nato col bisogno di amare come nessun altro uomo, con la certezza di non poter essere mai amato con quel corpo spregevole, mai esser beato del sorriso di donna, quale attrattiva aveva più la vita, la gloria per lui? Aborriva la vanità, era libero da qualunque ambizione, sprezzava sovranamente la pubblica opinione, e se aveva desiderato la gloria, era stato soltanto per poter più degnamente, cinto de' suoi raggi, entrar nel tempio dell'amore, nelle arcane sue gioie. La potenza, il fascino che l'amore avea per Leopardi, non si può pur immaginare. Avrebbe di lieto cuore dato e vita e gloria e tutto all'amore di cui dovea restar sempre privo, non conoscerne che il solo immenso desiderio, tutte le torture, nessuna delle sue gioie inebrianti quanto fugaci. E tanta perdita per un Frontone, un Eusebio, un Alicarnasseo, un Esichio Milesio, ecc., ecc.! Avesse almeno consumata la vita pe' classici, pe' capolavori de' buoni secoli.

<< Io mi son rovinato con sette anni di studio matto e disperatissimo in quel tempo che mi si andava formando e mi si doveva assodar la complessione. E mi son rovinato infelicemente e senza ri

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