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l'affitto di casa a rimanere più lungamente, avea preso un quartierino a mese dal maggio 1835 in poi, sempre sospirando di lasciar quell' « odioso soggiorno, » e riabbracciar la sua famiglia, verso la quale la sua tenerezza, quasi una voce secreta gli risuonasse dolorosamente nell'anima, diventava febbrile e delirante. Chiama ad uno ad uno per nome quelli di famiglia, tanto bisogno sentiva di ripetere ancora una volta que' cari nomi, benchè la sua salute nel 1835, come per ingannarlo, fosse migliorata straordinariamente, onde nel maggio scrisse che l'inverno scorso avea potuto anche un poco leggere, pensare e scrivere.

Ma un negoziante di Napoli sul quale traeva delle cambiali, accrebbe gl' impedimenti del viaggio negandogli da 200 scudi. Di mese in mese disponevasi a partire, ma dovea crepar là ove un giorno si sarebbero pubblicati i Sette anni di sodalizio. Lo ingannava anche lo stato tollerabile della sua salute. Nel marzo 1836 scrisse che « da un anno e mezzo non poteva altro che lodarsi della sua salute, e andava scrivacchiando, ma non quanto avrebbe voluto. »

In quest'anno fu dato a Leopardi un giornale col titolo l'Italiano pubblicato in Parigi dal Tommaseo, tanto amico di Ranieri, il quale diceva il peggio del mondo di lui, in modo da far smettere al libraio Baudry il pensiere di pubblicarne le opere. Fu la

sola volta che Leopardi perdè la pazienza e scrisse contro il Dalmata l'epigramma seguente:

Oh sfortunata sempre

Italia, poi che Costantin lo scettro
Tolse alla patria ed alla Grecia diede!
Suddita, serva, incatenata il piede
Fosti d'allor. Mille ruine e scempi

Soffristi: in odio universale e scorno

Cresci di giorno in giorno;

Tal che quisié posposto

L'Italiano al Giudeo.

Or con pallila guancia

Stai la peste asp ttando (1). Alfine e scelto

A farti noto in Francia

Niccolò Tommaseo (2).

Intanto il colera dopo aver rimesso alquanto del suo furore, nel dicembre 36 infieriva nuovamente. Leopardi allora se ne stava in campagna appiè del Vesuvio dove passò tutto l'inverno 36-37, benchè anche per quelle parti scorresse il nuovo morbo. Cominciava ad avere qualche oscuro presentimento. Per la prima volta scrivendo al padre, usò la frase «se Iddio mi concede di rivederla. »

Quando il colera cominciava a declinare, il ginocchio della gamba dritta gli si ingrossò con un colore spaventevole, dalla fine di dicembre 36 fino

(1) Il colera era creduto e chiamato peste da Leopardi.

(2) Opere inelite, ecc. Halle, 1880, vol. II, p. 24.

al febbraio 37. Allora subentrò un attacco di petto con febbre. Tornò in città nel marzo 37. I medici annunziavano il ritorno del contagio in primavera o nell'estate. Le comunicazioni con lo Stato romano erano interrotte. Intanto dovette ripigliare una casa nuovamente ad anno perchè a mese non se ne trovava « salvo in famiglie per lo più di ladri. »

Nel maggio, minacciato di cateratta all'occhio dritto, non poteva più scrivere e per le lettere si serviva della mano di Ranieri. Nello stesso mese fu assalito da tale asma, che gl'impediva il camminare, il giacere, il dormire. Per queste cagioni e perchè gli dicevano che partendo da luogo infetto sarebbe colpito inevitabilmente dal colera, non era più in suo arbitrio tornare per allora in famiglia. C'era inoltre la quarantena a Rieti dove si giungeva per la via d'Abruzzi ch' era piena di briganti.

«Se scamperò dal colera, e subito che la mia salute lo permetterà, io farò ogni possibile, scrive al padre, per rivederla in qualunque stagione; perchè ancor io mi do fretta, persuaso oramai da' fatti di quello che sempre ho preveduto, che il termine prescritto da Dio alla mia vita non sia molto lontano. I miei patimenti fisici giornalieri ed incurabili sono arrivati con l'età ad un grado tale, che non possono più crescere. Spero che superata finalmente la fri

vola esistenza che oppone il moribondo mio corpo, mi condurranno all'ultimo riposo, che invoco caldamente ogni giorno non per eroismo, ma per il rigore delle pene che provo (2,235). »

Questa fu l'ultima lettera scritta da Napoli a' 27 maggio 1837, quasi avesse voluto apparecchiar la famiglia all'annunzio della sua morte che sentiva imminente; mentre Ranieri afferma che non la credeva tale, anzi sperava di prolungarla ancora, e certamente per farsi quelle tali scorpacciate. Diciotto giorni dopo, a' 14 giugno 5 pomeridiane, dalle braccia dell'Autore de' Sette anni di Sodalizio fu travolto nella notte dell'eternità.

CAPITOLO V.

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Le bugie di Curci Lettere di Paolina sulla Intolleranza

Peri per malintesa pietà verso Monaldo asserisce che Giacomo mori converito Il P. Curci conferma la sua morte edificante ano trasecolare la stessa famiglia Leopardi morte del fratello Livore di Tommaseo contro Leopardi C: Gioberti Lettere di Giordani contro Gioberti e Tommaseo.

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SI.

Noi abbiamo visto innanzi che Leopardi mentre dichiarava fermamente a suo padre di non partecipare in nulla alle di lui opinioni ed ultimamente a proposito de' Dialoghetti; poi scrivendogli delle lettere, per un sentimento di delicatezza ben naturale in un gentiluomo e in un figlio che riconosceva appieno la sincerità, la buona fede e la bontà del cuore paterno, temperava molto le frasi e quasi lasciava un barlume di speranza ch'e' non fosse la più viva antitesi del padre; il quale se avesse potuto veder chiaramente nell'animo del figlio, invasato com'era della religione, sarebbe morto di dolore o vissuto la vita più infelice del mondo. Ciò non im

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