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sia disperante. Una sola consolazione ci resta nel veder che tu sei fuora di questo baratro. »

I tre giovani avevano formato tra loro come una lega occulta, effetto inevitabile de' governi troppo stretti, domestici o politici. I genitori, o soltanto la madre certamente esercitava una polizia secreta su' figli, e gli trattava secondo che scopriva o le pareva. A ciò si riferiscono i nuovi motivi d'inquietudine che ogni giorno si succedevano. Era un piccolo mondo, anzi dirò un convento pieno di sospetti, di timori, di precauzioni, di spionaggio. La marchesa Adelaide o era stata educata in un convento, o il praticare sempre con preti e frati le aveva appiccato la loro malattia. Insomma, in quella casa riusciva impossibile di durarla a lungo, e per testimonianza di una vergine gentile e rimessa, famosa pel suo spirito di abnegazione, come Paolina.

Luigi, il quarto de' figli, giovane franco e di buon umore, per una tresca usciva di casa la notte. La madre sempre alla vedetta, n'entra in sospetto, e una notte da quella brava scolta che ell'era, va e trova vedovo il letto di Luigi. Ne venne il finimondo. Il vecchio conte Monaldo corse ansiosamente in cerca del figlio, e non riuscendo a scoprirne il secreto nido, fu mandato Carlo che ne dovea sapere qualche cosa; e infatti rimenò la pecora smarrita, ma

non pentita, all'ovile. E qui che scena! A' due giovani convenne inginocchiati dire lor colpa, Luigi come autore principale colto col sacco addosso, Carlo per aver saputo, ma non denunziato il delitto. Finalmente dopo molte preghiere con lacrime e promesse più o meno sincere, il conte Monaldo alla più gran fatica del mondo si lasciò indurre a ricevere in penitenza il principale e l'accessorio peccatore. Certamente Luigi non meritava gli altari assentandosi di casa furtivamente la notte; ma tutto quel processo e quella scena, il sospetto, la scoperta, le ricerche, poi la confessione, le lacrime, l'atto di contrizione, ecc., ci trasportano in piena sacristia. Que' buoni genitori credevano forse che i figli avessero ad esser sempre angeli purissimi immaculati? E con tanta severità, con un' inquisizione si vigile appena ammissibile in un noviziato, non doveano i figli maledir l'ora e il momento che nacquero?

Il caso volle che proprio in quella casa e da così fatti genitori nascesse Giacomo Leopardi, il quale dovea più tardi non solo rigettare qualunque religione positiva, ma ammettendo una causa prima e consciente, reputarla nemica d'ogni bene. Nessun poeta ha concepito della divinità un'idea cosi sistematicamente brutta come Leopardi e in tutto simile a quella del fato greco. E benchè quasi tutto il

tempo che visse in Recanati sentisse il freno della religione, non pertanto si ribellò a quella vita di famiglia, come anticipando la sua futura ribellione ad ogni altra autorità, e traendo seco anche Carlo e Paolina fino a un certo punto. Ognun vede come si poteva viver in quella famiglia fra genitori accesi del più intollerante fanatismo, e un figlio con bisogni si indomiti di libertà.

È grande la rassomiglianza di pensare, di sentire, e finanche di esprimersi che per un certo tempo intercede fra Carlo e Paolina con Giacomo. In Carlo e Paolina giovani, non si scorge quella religione che poi potè in loro soltanto dopo che mori il maggior fratello, dopo che tutte le loro speranze inaridirono, e vissero soli col vecchio padre che per la morte del suo gran figlio dovè più che mai sentire il bisogno di stringersi al suo Dio. Ma giovani, nè religione, nè rassegnazione, anzi quasi la stessa ribellione di Giacomo verso i genitori, e la stessa disperazione. Dico ribellione, ma invano cerchi l'odio contro il padre che per quanto lontano da loro, era sempre ottimo padre.

Partito Giacomo, gli altri due rimasero come in notte buia. Morto, le due povere anime non potendo nè sapendo viver sole, ritornarono dolorosamente al vecchio padre e attinsero consolazione dalla

religione che consolava lui. Dal cielo terrestre insegnato con bellezza ineffabile dal fratello, divertirono a quello religioso inculcato con lacrime dal buon vecchio.

Avevano tanto interamente vissuto in Giacomo, che quando si allontanò, rimasero come annientati. La loro guida, la luce era sparita. I due orfani piegarono il capo con muta disperazione. Qualche volta il loro cuore se torna per poco a battere, gli è quando pensano a Giacomo o quando, amara illusione! credono ancora di averlo vicino. Col tempo, continuando sempre la lontananza, si vanno sempre agghiacciando, e del gran fratello, povero infermo errante, sparite le superbe speranze, a loro non rimane più nulla, proprio nulla. Ritornano come nacquero, figli di Monaldo Leopardi e di Adelaide Antici, discendendo dalle alte pericolose sfere ove Giacomo avea cercato di attrarli. Ripiombarono a terra e vissero onesti e sommessi accanto al focolare domestico, privi dell'ali e dello sguardo d'aquila del fratello.

Luigi morto a 24 anni, e Pierfrancesco da cui nacque il vivente conte Giacomo Leopardi, non si mostrano mai presi da quella malattia di disperazione che da Giacomo afflisse sul principio Carlo e Paolina.

Oh come fu amara la prima ora che si videro privi di Giacomo. Con quanto desiderio guardavano al passato che pur era stato triste. «Volevo dirti, gli scrive Paolina, come sempre ti cerco e sempre mi pare di sentire i tuoi passi, e mi muovo per vederti; ma già inutilmente, chè tu non ci sei più, e per lungo tempo (1), »

«Io ti chiamo ad ogni momento, scrive Carlo, e mi è sempre di nuova sorpresa il non trovarti vicino a me; mille volte ti suppongo in camera, e mi trattengo dal far rumore per non disturbarti; mi succede ancora d'incamminarmi coll'idea di dirti qualche cosa (2). » La stessa sensibilità febbrile di Giacomo, e in Paolina anche la frase perfetta, in entrambi il vuoto come se divelti dalla più bella parte di sè stessi.

Le lettere innanzi citate si riferiscono alla prima partenza di Giacomo per Roma nel 1822. Passano gli anni, ma la lontananza di Giacomo è sempre amara a' due superstiti. Nel 1829, come nel 1822, si aggirano sempre nello stesso vuoto, e si aggireranno fino alla morte di Giacomo. Nel 1825 Paolina gli scrive: « Il dirti quanto ti amo, e quanta smania e impazienza è in me di vederti, è inutile,

(1) Lettere de' suoi parenti a Giacomo Leopardi, per cura di PIERGILI, p. 42. (2) Idem, p. 41.

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