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in un secolo non suo; il progresso de' delirii è giunto a vilipenderlo e calunniarlo. E questo a me è fortissimo argomento di sua unica grandezza. Non voglio ora dir tutto quel che so e penso di lui. Nè pur tanto avrei detto, se mi vedessi solo nella mia opinione. Ma ho compagni parecchi: certamente non filosofi e non santi come i padri della Sinodo Parigina; ma pur uomini che pensano colla propria testa, e delle loro parole non fanno mercato. E noi, non avviliti dall'italo-gallico anatema, siamo risoluti che tutto quanto fu scritto dal nostro Leopardi si stampi; frattanto per consolazione al nostro doloroso desiderio di si caro e nobil capo; forse per altri tempi ad onore di questa Italia italiana, che sempre ebbe a dolersi e vergognarsi meno degli stranieri che de' suoi; e più vide maltrattati quelli, de' quali più si doveva gloriare (1). »

Questa lettera è importante storicamente per ciò che riguarda la vita di Leopardi e per le tendenze della meschina e intollerante letteratura italiana allora come sempre. Reca stupore che mentre altrove si studiava tanto e il pensiere faceva tante conquiste, una mano di mediocri, grandi allora com'oggi nell'opinione pubblica di questo paese, si divertiva a

(1) Appendice all'Epistolario, ecc., per cura di P. VIANI. Firenze, Barbera 1878, pag. 64.

perseguitar con tanto furore la memoria del più grande poeta italiano degli ultimi tempi. E lo perseguitava perchè non cattolico, benchè nulla avesse scritto, occupato da pensieri più gravi, contro il cattolicismo.

Questa fervida e costante amicizia verso Leopardi eleva di molto il carattere di Giordani. Non possiamo ugualmente ammirare il critico in lui. I suoi giudizi sono più affermativi che dimostrativi. Sente l'eccellenza dell'amico, ma non se ne sa rendere una ragione adeguata. Verissimo per la parte storica, che Leopardi fu maestro unico di tante cose a se stesso, con pochi libri, senza aiuto di uom vivo; ma che a vent'anni uscisse filologo latino e greco pari a pochissimi, dico pari in Europa e in quelle regioni dove si studia, è un giudizio che Leopardi stesso non accettava, salvo che non si voglia intendere che a vent'anni, senza aiuto d'alcuno e con scarsi libri, ebbe pochissimi pari, per non dir nessuno, della stessa età, intendiamoci bene, nella stessa Germania.

Anche il marchese Giuseppe Melchiorri, cugino e tanto amico di Leopardi, sullo stesso argomento delle persecuzioni de' cattolici, scriveva nel 1842 a Nicomede Bianchi: « Ella sa quanto sieno costate di dolore agli amici di Giacomo le iniquissime ac

cuse, di che alcuni apostati del nome italiano (parlo del Cicconi, del Tommaseo e di altri) hanno voluto coprir la sua memoria. Convenienza di luogo o di condizione, e sopratutto la malvagità de' tempi ha vietato a molti di potere pubblicamente smentire quelle vituperevoli note (1). »

Cosi invece di studiar seriamente quel fenomeno di Giacomo Leopardi, come si è studiato altrove, in Italia hanno gareggiato a denigrarlo, a rimpicciolirlo, a sputargli sul viso, a rilevare voluttuosamente, come fa Niccolò Tommaseo e l'amico Ranieri, finanche i suoi difetti fisici, veri ed inventati.

Queste notizie sulla vita di Leopardi erano necessarie per spiegare i pochi suoi scritti memorabili, i brevi suoi lampi di luce, oppresso com'era da tanti mali. Seguendo l'ordine di tempo, si deve cominciare da' lavori giovanili e filologici.

(1) Appendice all'Epistolario, ecc., per cura di P. VIANI.

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CAPITOLO VI.

Studi filologici

Opinione di Giordani sulla vita e sulle opere di Leopardi
Notizie sulla città e chiesa

Degli idillii di Mosco La Batracomiomachia

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Della fama di Orazio presso gli antichi - L'inno a Nettuno

di Damiata Annotazioni alla cronaca di Eusebio tografi recanatesi da Giuseppe Cugnoni Frammenti di Dionigi d'Alicarnasso - Ingiuste accuse di Viani a De Sin

Opere inedite pubblicate sugli au-
Giudizio del signor Reumont

Giuseppe Vogel - Angelo Mai Lettere di Antonino il Pio

ner - Cugnoni e Monsignor Liverani
Della vita e delle opere di Frontone
zione solenne di Zumbini a B. G. Niebuhr.

Le

§ I.

Dopo aver toccato della povera vita di G. Leopardi, passiamo alle sue opere incominciando dalle giovanili che versano sulla filologia greca e latina. Incredibili principii d'un uomo nato poeta.

Il primo volume di Studi filologici della sua adolescenza fu pubblicato da P. Pellegrini e P. Giordani, 1845, Le Monnier. Nella prefazione Giordani ancor tutto commosso d'ammirazione e di dolore, stima Leopardi sommo filologo, sommo poeta, sommo filosofo. Non crediamo necessario di ripetere che

la sua eccellenza come filologo deve intendersi relativamente al suo paese e alla sua età. A quell'età veramente non ha pari in Europa, massime considerando che fece tutto da solo. Cominciò tali studi a dieci anni, e vi si seppelli fino a' ventuno, quando se ne sottrasse con la salute perduta. Nè si può consentire col Giordani, che a Leopardi « in que' principii fu una fortuna la barbarie del paese nativo, poichè alla sua eroica fanciullezza niuno potè arrogarsi d'insegnar nulla. E frutto d'esser campato illeso da corruttela di maestri fu poter di 16 anni dar al mondo prove di progressi veri ed affatto inusitati.» Invece, senza la barbarie del paese nativo, avrebbe con altro metodo rivolto i suoi studi ad oggetto più degno che non sono gli scrittori della decadenza latina e greca, o non studiati soltanto dal lato grammaticale e retorico, senza scopo scientifico.

Come filosofo, non deve intendersi nel senso che comunemente si dà a questa parola. Fece profonde considerazioni senza pretendere d'innalzare un edifizio propriamente di filosofia, a cui poco credeva e ripugnava, e rigettando da se qualunque tradizione, qualunque dato non reale. Con la profondità della sua mente cercò di penetrare nell'essenza delle cose, senza speculare in astratto, ma tutto deducendo da'

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