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poichè te lo immaginerai bene; e tutte le notti ti vedo in sogno, e mi par proprio di guardarti, di esaminarti....; ed ogni cosa mi richiama in casa la tua memoria, e mi fa tanto più regretter, quanto meno speranza ho di vederti. Pure, soggiunge con un sdegno tutto proprio di Giacomo, a Recanati non ti vorrei giammai (1). » E Carlo nel medesimo tempo:

Tu non devi più venir qua, che a modo di villeggiatura, giacchè il rinchiudersi in Recanati, è lo stesso che condannarsi a morte (2). >> Chi non sente l'influenza del maestro, il suo orrore pel borgo selvaggio? Carlo e Paolina dunque furono due pallide immagini di Giacomo. In seguito Carlo, come racconta il Viani, « s'inchinava umilmente nella casa del Signore; » mentre Paolina, vera donna nata con la virtù della sommissione, alla fine si abbandonò interamente al fanatismo religioso del padre, fanatismo certo di tutta buona fede, non mai interessato e plebeo.

(1) Lettere de' suoi parenti a Giacomo Leopardi, per cura di PIERGILI, p. 130. (2) Idem, p. 134.

CAPITOLO II.

-

Esagerazioni

Schiettezza del conte Monaldo Sua assoluta sottomissione alla moglie Sferza i vizi del clero Suo vivo amore a' figli, segnatamente al primogenito Lettera importante di Giacomo sul carattere del padre, sulle condizioni della famiglia e sue proprie Grande bontà e onoratezza della famiglia Leopardi Monaldo sente con dolore di non essere riamato dal figlio opposte del padre e del figlio Opinione che Monaldo ha di sè stesso Sua credulità ne' gesuiti Ingresso di Luigi Leopardi in paradiso cente vanità di Monaldo Sue commoventi preghiere per riaver Giacomo in casa - Rara bontà del padre e del figlio divisi soltanto da opinioni - Gesuiti neri e rossi Monaldo non può soccorrere il figlio contessa Adelaide

grossolane

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Carattere indipendente di Monaldo

- Inno

Giudizi severi sulla

-Sue satire politiche

Cause molteplici, fisiche e psichiche, della infelicità di Giacomo La sua sventura fa prova della sua eccellenza -Suo desiderio della morte, e come se ne ritrae del pessimismo poeta Leopardi ed Heine.

Se sia il

Differenza tri

§ I.

Del conte Monaldo bisogna primamente notare la grande schiettezza. L'amico de' gesuiti era l'uomo più franco del mondo, e alla prima parola si rivelava tutto intero. Questo tiranno della famiglia, questo carnefice di Giacomo, secondo un' opinione a torto invalsa, era invece un bambinone talmente docile alla moglie da movere il riso fin nella pazientissima Pao

lina. Però ha certe idee fisse che nessuno gli può smuovere, proprietà delle famiglie antiche.

Si apre un teatro in Ancona nel 1827 con grande aspettazione: credo vi cantasse la Malibran. L'inaugurazione d'un teatro è stata sempre una gran solennità in Italia, e non la fondazione di qualche grande opificio, di qualche arsenale e di tutto ciò che serve alla potenza di un popolo. Recanati si spopolò, tutti concorsero ad ammirare il teatro, non escluso Carlo Leopardi che in tale occasione ruppe le domestiche catene. Solo il povero Monaldo per quanto n'avesse la voglia grande, ubbidi a un cenno della moglie e rimase cheto a casa, canzonato nel modo seguente da Paolina in una lettera a Giacomo:

«< Avrai sentito anche costi il rumore del teatro d'Ancona, il quale oramai hanno veduto tutti i Recanatesi, non eccettuati i miei fratelli. E anche a babbo, se non fosse stato tanto impicciato nella sua gonnella, era venuta voglia d'andarci; ma niente (1). »

Il conte Monaldo era un gesuita come poteva essere il nobile padre di Massimo d'Azeglio, meno l'atteggiamento eroico del Marchese appartenente ad un'aristocrazia bellicosa; un padre d'Azeglio letterato, non militare. Ce ne fossero molti di costoro,

(1) Lettere scritte da' suoi parenti, p. 208.

e quanto da preferire, presso ognuno che non abbia ancora perduto qualunque senso del bene, a tanti liberali democratici. Il generale de' gesuiti Roothan s'ingannava lodando Monaldo. Da un gesuita non nasce Giacomo Leopardi che pur ereditò qualche cosa da suo padre. Monaldo fu un sincero credente, un fanatico di buona fede, inacerbito dagli orrori della rivoluzione francese, rimpicciolito da una pedantesca istruzione di preti, senza cognizioni storiche; ma di ipocrisie, ma di bandiere spiegate soltanto per proprio interesse, ma di egoismo, era puro come un bambino, si trovava al polo opposto dei gesuiti e de' falsi liberali. Egli non pensò mai alla pancia, come i mercanti di religione o di libertà, i gesuiti dell'uno e dell'altro genere.

Nè la sua fede ardente gl'impediva di sferzare i vizi del clero, l'avidità, l'ignoranza. Suo padre morendo avea disposto saviamente che non potesse amministrar i beni prima di giungere a venticinque anni, ma poi Monaldo per grazia sovrana comprata. a contanti ne assunse il carico a diciotto anni. Quindi molti gravi errori economici inevitabili a un giovinetto, le sue atroci angustie per aver sommerso ne' debiti un magnifico patrimonio e tolto così a' figli i mezzi di vivere più respirabilmente fuori di Recanati; quindi derivarono tutte le sven

ture della famiglia, e specialmente di Giacomo, errante bisognoso per l'Italia, costretto a sciupar nelle fatiche per vivere quel tanto di vigore che ancor gli restava; e di Paolina, rimasta sempre vedova.

Onde Monaldo nella sua autobiografia sorge contro il « Principe supremo, che tiene bottega aperta di droghe, e per cinque scudi vende ad ognuno l'annullamento inconsulto delle disposizioni testamentarie più saggie e provvide (1). »

E mentre si querelava della bottega aperta, d'altra parte era, gloria che può dividere con Vittorio Alfieri, odiato da' repubblicani. Un uffiziale francese nel 1800 decretò la morte di Monaldo che poi dové la vita all'intercessione di suo cognato Carlo Antici. Mentre penava fuggitivo, sua moglie era incinta di Giacomo, ciò che molto influi sul di lui fisico. Quando Giacomo lasciando per la prima volta Recanati si recò a Roma per poco dallo stesso fratello di sua madre, Carlo, Monaldo gli scrive: « Dopo venticinque anni di non interrotta convivenza, duecento miglia circa corrono fra voi e me. Se il mio cuore non applaude a questo allontanamento, la mia ragione non lo condanna, ed io godo che voi pren

(1) Lettere a G. Leopardi de' suoi parenti, p. 20.

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