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Ella tuttavia giudicò indegno che un padre dovesse far sacrifizi per me, nè le parve che il bene della mia vita presente e futura valesse qualche alterazione al suo piano di famiglia (). Io vedeva i miei parenti scherzare cogli impieghi, che ottenevano dal sovrano, e sperando che avrebbero potuto impegnarsi con effetto anche per me, domandai che per lo meno mi si procacciasse qualche mezzo di vivere in maniera adatta alle mie circostanze, senza che per ciò fossi a carico della mia famiglia. Fui accolto colle risa, ed Ella non credè che le sue relazioni, insomma le sue cure si dovessero neppur esse impiegare per uno stabilimento competente di questo suo figlio (2). Io sapeva bene i progetti ch'Ella formava di noi, e come per assicurare la felicità di una cosa ch'io non conosco, ma sento chiamar casa e famiglia, Ella esigeva da noi due il sacrificio, non di roba, nè di cuore, ma delle nostre inclinazioni, della gioventù e di tutta la nostra vita. Il quale essendo io certo che Ella nè da Carlo, nè da me avrebbe potuto mai ottenere, non mi restava nessuna considerazione a fare su questi progetti, e non poteva prenderli per mia norma in verun modo. Ella conosceva ancora la mi

(1) In una lettera molto posteriore a Pietro Colletta tempera questo giudizio. (2) Monaldo da vecchio patrizio credeva indecoroso un impiego quando si aveva di che vivere in casa propria.

serabilissima vita che io menava per le orribili malinconie e i tormenti di nuovo genere che mi procurava la mia strana immaginazione, non poteva ignorare quello ch'era più che evidente, cioè che a questo, ed alla mia salute che ne soffriva visibilissimamente, e ne sofferse fin da quando mi si formò questa misera complessione, non v'era assolutamente altro rimedio che distrazioni potenti e tutto quello che in Recanati non si poteva mai ritrovare (1). Con tutto ciò Ella lasciava per tanti anni un uomo del mio carattere, o a consumarsi affatto in studi micidiali, o a seppellirsi nella più terribile noia, e per conseguenza malinconia derivata dalla necessaria solitudine, e dalla vita affatto disoccupata, come massimamente negli ultimi mesi.

«Non tardai molto ad avvedermi che qualunque possibile e immaginabile ragione era inutilissima a rimuoverla dal suo proposito, e che la fermezza straordinaria del suo carattere, coperta da una costantissima dissimulazione e apparenza di cedere, era tale, da non lasciar la minima ombra di speranza. Tutto questo, e le riflessioni fatte sulla natura degli uomini, mi persuasero che io, benchè sprovveduto di tutto, non dovea confidare se non in me

(1) Ecco che parte della sua tristezza procedeva dalla sua misera complessione. Si noti anche gli studi micidiali, che tali furono veramente.

stesso. Ed ora che la legge mi ha già fatto padrone di me, non ho voluto più tardare a incaricarmi della mia sorte. Io so che la felicità dell'uomo consiste nell'essere contento, e perciò più facilmente potrò esser felice mendicando, che in mezzo a quanti agi corporali possa godere in questo luogo. Odio la vile prudenza che ci lega e ci rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero. So che sarò stimato pazzo, come so pure che tutti gli uomini grandi hanno avuto questo nome. E perchè la carriera di quasi ogni uomo di gran genio è cominciata dalla disperazione, perciò non mi sgomenta che la mia cominci così. Voglio piuttosto esser infelice che piccolo, e soffrire piuttosto che annoiarmi, tanto più che la noia, madre per me di mortifere malinconie, mi nuoce assai più che ogni disagio del corpo. I padri sogliono giudicare de' loro figliuoli più favorevolmente degli altri, ma Ella per lo contrario ne giudica più sfavorevolmente d'ogni altra persona, e quindi non ha mai creduto che noi fossimo nati a niente di grande, forse anche non conosce altra grandezza che quella che si misura co' calcoli e colle norme geometriche. Ma quanto a ciò molti sono di altra opinione: quanto a noi, siccome il disperare di

se stessi non può altro che nuocere, così non mi sono mai creduto fatto per vivere e morire come i miei antenati.

« Avendole reso quelle ragioni, che ho saputo, della mia risoluzione, resta che io le domandi perdono del disturbo che le vengo a recare con questa medesima e con quello che io porto meco. Se la mia salute fosse stata meno incerta, avrei voluto. piuttosto andar mendicando di casa in casa che toccare una spilla del suo. Ma essendo cosi debole, come io sono, e non potendo sperar più nulla da lei, per l'espressioni ch' Ella s'è lasciato più volte a bella posta uscire disinvoltamente di bocca in questo proposito, mi son veduto obbligato, per non espormi alla certezza di morir di disagio in mezzo al sentiero il secondo giorno, di portarmi nel modo che ho fatto. Me ne duole sovranamente, e questa è la sola cosa che mi turba nella mia deliberazione, pensando di far dispiacere a lei, di cui conosco la somma bontà di cuore e le premure datesi per farci viver soddisfatti nella nostra situazione (1). Alle quali io son grato fino all'estremo dell'anima, e mi pesa infinitamente di parere infetto di quel vizio, che aborro quasi sopra tutti, cioè l'ingratitudine. La sola diffe

(1) Questa è la pura verità,

renza di principii, che non era in verun modo appianabile, e che dovea necessariamente o condurmi a morir qui di disperazioue, o a questo passo che io fo, ¿ stata cagione della mia disavventura. È piaciuto al cielo per nostro castigo che i soli giovani di questa città che avessero pensieri alquanto più che recanatesi, toccassero a lei per esercizio di pazienza, e che il solo padre, che riguardasse questi figli come una disgrazia, toccasse a noi. Quello che mi consola è il pensare che questa è l'ultima molestia che io le reco, e che serve a liberarla dal continuo fastidio della mia presenza e da tanti altri disturbi, che la mia persona le ha recati, e molto più le recherebbe per l'avvenire. Mio caro signor Padre, se mi permette di chiamarla con questo nome, io m'inginocchio per pregarla di perdonare a questo infelice per natura e per circostanze. Vorrei che la mia infelicità fosse stata tutta mia e nessuno avesse dovuto risentirsene, e così spero che sarà d'ora innanzi. Se la fortuna mi farà mai padrone di nulla, il mio primo pensiero sarà di rendere quello di cui ora la necessità mi costringe a servirmi. L'ultimo favore che io le domando, è che se mai le si desterà la ricordanza di questo figlio, che l'ha sempre amato, non la rigetti come odiosa, nè la maledica; e se la sorte non ha voluto ch'Ella si possa lodare di lui, non

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