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Giorgio B. Niebuhr perchè col filologo non predicò anche il gran poeta. « Così avvenne che Niebuhr quando nel 1823 conobbe Leopardi che già avea pubblicato tre de' suoi canti, non sapeva quanto poeta si chiudesse in quel giovane sottile e scriatello ().» Bisogna aver un gusto molto squisito per ammirare un gran poeta in que' primi saggi. Leopardi non fu grande che più tardi quando si disitalianizzò con sforzi che tengono dell'incredibile in una mente occupata da tanto dolore e con quel corpo distrutto. La poesia italiana è, generalmente, vano suono, belletto esterno, rispondente alla freddezza e alla simulazione del carattere nazionale e del cattolicismo, religione senza sentimento e tutto culto

esterno.

Come può aver poesia vera un popolo rimasto per secoli sempre estraneo al primo e più generoso degli affetti, alla propria indipendenza che fa battere potentemente il cuore de' popoli più barbari? Per ciò anche i maggiori ingegni, come Galileo, nella poesia non cercano che la frase, secondo si vede nelle sue osservazioni al Tasso e all'Ariosto. L'Italia può avere ed ha grandi osservatori di fatti storici e fisici, grandi artefici nelle arti plastiche, ma

(1) ZUMBINI, Saggi critici, 49.

la poesia, il vero entusiasmo non è arte sua. Ecco perchè Galileo mentre va rilevando, e spesso non felicemente, le frasi del Tasso, non volge mai il pensiero a ciò che vi ha di passionato e di sincero in questo poeta.

Un'altra prova è l'accoglienza fatta al libro di Ranieri sul Leopardi, libro da tutti quasi accettato. Se in Leopardi si fosse sentito ed amato il vero poeta, quella pubblicazione avrebbe ispirato orrore, mentre misurandola dal carattere pubblico, è parso un fatto naturalissimo che in quell'anima eccellente dominasse la più infame ipocrisia. Meglio così. Questo prova che Giacomo Leopardi qui è stato sempre straniero, come l'umile autore di questo libro ha sempre pensato. E il calabro critico viene poi a dirci, con una modestia tutta sua, che gli stranieri, specialmente i Tedeschi, specialmente quell'omunculo di G. B. Niebuhr, non compresero Leopardi. Non lo compresero alla maniera vostra certamente. E chi lo potrebbe? Non esiste al mondo che un solo angolo di terra dove è possibile quel librettino di amena letteratura col titolo di Sette anni di sodalizio.

CAPITOLO VIII.

Bruto Minore, prima manifestazione delle pene

delle favole antiche soggettivo

di di festa sue poesie.

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dell'Autore La Primavera.

Inno a' patriarchi Ultimo canto di Saffo, e suo valore

Il primo amore — Il passero solitario

Alla luna

1

L'infinito - La sera del Il sogno - Tutta la vita di Leopardi riflessa nelle

§ I.

Parrebbe a prima vista che anche il Bruto Minore appartenga alla medesima famiglia di canzoni classiche tonanti. Il tuono scoppia da' primi versi:

Poi che divelta, nella tracia polve
Giacque ruina immensa

L'italica virtute....

Nella prima strofa si apparecchia la scena tragica, l'italica virtute che giacque ruina immensa nella tracia polve, il calpestio de' barbari cavalli che il fato prepara alle valli d'Esperia verde, quello stesso fato che prescrisse la caduta della superba Troia e

la venuta del nostro Enea in Italia, ed ora, sempre inesorabile, chiama i gotici brandi ad abbatter le romane inclite mura. Allora Bruto,

lordo di fraterno sangue, in notte

tutto sudato e

buia, in luogo

solitario, avendo deciso di morire, si sfoga solo solo a parole. Cosi abbiamo ancora fra tante migliaia che ne conta l'italica musa, un altro soliloquio e un'al

tra notte atra.

Tutto scenario vecchio e rattoppato di pezzi accattati ne' polverosi depositi della veneranda poesia latina.

Disposta la scena nel modo più tragico possibile.

Sudato, e molle di fraterno sangue,

Bruto per l'atra notte, in erma sede,

Fermo già di morir, gl'inesorandi

Numi e l'averno accusa,

E di feroci note

Invan la sonnolenta aura percote.

Questo Bruto fa e dice ciò che tutti i Bruti, tutti i Camilli, tutti i Regoli, tutti i Coriolani, tutti i Scipioni, tutti gli Atridi, tutte le Medee, tutti i Romani e Greci di Francia e d'Italia fanno e dicono, cioè parla e parla a lungo con voce cavernosa, con fiero cipiglio, facendo un fascio non solo di tutti gli Dei, cosa permessa anzi richiesta, ma di tutti i diavoli del mondo; non solo di tutti i Romani, ciò

che va da se, ma di tutti gli uomini che furono e che saranno; ed in fine giurando non restargli altra speranza da questa in fuori, che il suo cadavere sia divorato dalle bestie aligere e quadrupede e le ceneri disperse da' venti. Il solito formulario delle vecchie scuole, tutto lampi e tuoni e folgori che non colpiscono nessuno, ma straziano soltanto le povere orecchie della gente che preferisce a' rumori la calma, indizio di vera forza e di vera poesia.

No, un Bruto che si empie così la bocca, non è il Bruto diletto a Giulio Cesare, non il rigido filosofo, il fiero e gentile aristocratico, l'uomo puro rispettato anche dai suoi nemici. Così dimenasi un indemoniato, non un aristocratico antico romano, maestoso e superbo come un Dio. Tante parole e smanie, tale scoppio di dolore, d'odio, di maledizioni sono tutt' altro che romane e stoiche; tanta loquacità non si avviene a chi per disdegno si spoglia la vita. La bestemmia declamata così a lungo da chi volonteroso si precipita nella notte dell'eternità, è fuor di proposito. La morte si abbraccia filosoficamente, come appunto fecero que' repubblicani vinti, o con muta disperazione. Del sublime stoicismo antico, che ne ha fatto Leopardi, quello stoicismo che riputava la virtù il più gran bene, il vizio l'unico male, e tutte le altre cose indifferenti?

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