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Differenza tra Schopenhauer e Leopardi nel considerar l'amore

Carlo Pepoli Il Risorgimento Siivia Le Ricordanze

notturno d'un pastore errante dell' Asia e sua eccellenza.

Al conte

Cante

§ I.

La Vita solitaria mi pare una poesia poco felice, una matassa non facile nè grata a distrigare. Vi si tocca di uno degli effetti più misteriosi che produce la natura particolarmente sugli animi duramente percossi, il sentimento del proprio nulla innanzi a quella forza irresistibile che rapisce l'uomo come un grano di sabbia nel turbine del gran moto universale. Quest'impressione di nichilismo comprende gli animi stanchi dei vecchi, e, come ho detto, dei massimamente addolorati, i quali tendono ad annegarsi nel gran mare dell'essere per spogliarsi il peso della propria individualità. L'Autore non si ferma su

questo sentimento della nullità individuale; lo accenna e passa oltre. È un incidente, un'impressione colta a volo, non il fondamento della poesia la quale vaneggia e discorre per molte cose senza fermarsi in alcuna e perciò senza acquistare una fisonomia propria.

Ci entra tanti elementi che non fanno tra loro buon accordo nè sai quale primeggi. Rosee penellate d'un limpido mattino; imprecazione obbligata all'inquieto vivere cittadino, alla natura che sorride soltanto a' felici, che sorrise a lui soltanto negli anni più verdi; affermazione del suicidio; sentimento della propria fragilità in presenza dell'onnipotente natura; memorie d'un amore; riapparizione incantevole della sua prima età felice; invocazione non molto originale alla luna il cui lume rallegra le danze degl'innocenti animali alla foresta, scende infesto ai vili seduttori ed ai malvagi, ma sempre desiderato e benedetto dall'Autore; ed altre ed altre cose confuse più che fuse insieme. Pare come se l'Autore non trovi il suo proprio assetto. Manda tanti suoni, dai più soavi ai più disperati, che si urtano senza possibilità di armonizzarli. C'è qualcosa che intorbida il tutto. L'Autore si trovava in una di quelle indescrivibili disposizioni d'animo tutt'altro che favorevoli alle muse; i suoi dolori doveano toccare

un grado di acutezza non ordinario nello scrivere tal poesia. Quando passa certi limiti, il dolore turba la serenità necessaria a qualunque lavoro dello spirito, può far urlare, può far impazzire come fu il caso di re Lear e come per poco non fu il caso di Leopardi.

Da quelle crudelissime strette nel corso della poesia cerca con ogni sforzo di liberarsi; ma più si sforza e più ci resta avvinto. Il cuore manda troppo sangue e la voce della poesia si smarrisce in imprecazioni ed urli disperati. È un doloroso. spettacolo vedere come il Poeta perviene talvolta a raccogliere tutte le sue forze per ripigliare il canto; ma invece di procedere dirittamente, ondeggia di nuovo e gli si oscura la vista come chi, ricevuto un colpo mortale tenta, ma non può ridursi a casa, e stramazza sulla via.

La poesia comincia sempre con ricca vena; ma come sta per elevarsi, soppravviene sempre la punta del dolore, lo spettro della realtà, ad interromperla. Comincia con tocchi d'una rara freschezza e purità:

La mattutina pioggia, allor che l'ale
Battendo esulta nella chiusa stanza
La gallinella, ed al balcon s'affaccia
L'abitator de' campi, e il Sol che nasce

I suoi tremoli rai fra le cadenti

Stille statta, alla capanna mia

Dolcemente picchiando, mi risveglia;

E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo
Degli augelli susurro, e l'aura fresca,
E le ridenti piaggie benedico.

Ma non si tosto saluta commosso la natura, subentra l'amaro pensiere che a' veramente infelici ella non sorride, cruda matrigna. L'aspetto della natura ci parla potentemente di pace e di felicità. È chiaro che questo stesso suo irresistibile linguaggio di pace doveva riuscir insopportabile come la più spietata ironia a chi portava l'inferno in se stesso, a chi un giorno essendo inesperto, credè alle lusinghe dell'antica incantatrice, anzi le stimò come una promessa particolare d'indeclinabile felicità. Perciò l'argomento di questa poesia invece di calmare come doveva, riesce all'effetto tutto contrario in Leopardi, il quale alla vista della lieta natura sente più vivamente quanto gli manca, quanto ha perduto, e come sia da se sbandita per sempre quella calma, quella felicità che un giorno sperò e di cui pur vede uno specchio si incantevole innanzi a se.

Cosi troviamo la bestemmia, la disperazione, la confusione dove si aspettava la pace, la serenità, l'ordine, la glorificazione de' più puri affetti.

Nella lirica non credo possa entrar lo spasimo fino a quel punto. Credo potesse riuscir meglio come

argomento di tragedia. Alcuno potrebbe opporre che mancherebbero interamente l'azione e la collisione, qualità essenziali per le opere teatrali. Non sarebbe veramente questa una difficoltà insuperabile, essendo stata già risoluta felicissimamente da Goethe nel primo tempestoso suo periodo poetico, Sturm und Drangperiode, col dramma Die Geschwister. Ad ogni modo se a qualcheduno era dato di sciogliere il problema, quel desso non poteva essere che l'Autore di Faust e di Prometheus. A me pare che la lirica non sia l'espressione propria delle, immense sventure le quali richiedono una forma più larga e profonda. Cosi qui invece d'un canto, di un inno alla natura, ci percuote l'orecchio l'urlo della bestemmia e della disperazione.

Segue Consalvo, poesia non meno anzi forse più incomprensibile della precedente, se non si riannoda ai sentimenti più secreti del Poeta. Ci si sente non so che esagerato romanticismo a cui l'Autore, di tempra sana, non era nato. Chi sia questo Consalvo, a considerarlo in se stesso, io non posso chiaramente comprendere, e si che anch'io sono stato nell'età de' sogni un romantico e un mistico forsennato. L'estatico, instancabile adoratore della Vita Nuova, l'amico furibondo di quegli eroi de' Rauber, di Götz von Berlichingen, di Werther e di Lanci

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