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Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,

Al vento, alla tempesta, e quando avvampa

L'ora, e quando poi gela,

Corre via, corre, anela,

Varca torrenti e stagni,

Cade, risorge, e più e più s'affretta,

Senza posa o ristoro,

Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva

Colà dove la via

E dove il tanto affaticar fu vòlto:

Abisso orrido, immenso,

Ov'ei precipitando, il tutto obblia,
Vergine luna, tale

È la vita mortale.

Nasce l'uomo a fatica,

Ed è rischio di morte il nascimento.

Prova pena e tormento

Per prima cosa; e in sul principio stesso

La madre e il genitore

Il prende a consolar dell'esser nato.

Poi che crescendo viene,

L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre

Con atti e con parole

Studiasi fargli core,

E consolarlo dell'umano stato:

Altro ufficio più grato

Non si fa da parenti alla lor prole.

Ma perchè dare al sole,

Perchè reggere in vita

Chi poi di quella consolar convenga?

Se la vita è sventura,

Perchè da noi si dura?

Intatta luna, tale

È lo stato mortale.

Ma tu mortal non sei,

E forse del mio dir poco ti cale.

Pur tu, solinga, eterna peregrina, Che si pensosa sei, tu forse intendi, Questo viver terreno,

Il patir nostro, il sospirar, che sia;

Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,

E perir della terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi

Il perchè delle cose, e vedi il frutto

Del mattin, della sera,

Del tacito, infinito andar del tempo.

Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore

Rida la primavera,

A chi giovi l'ardore, e che procacci

11 verno co' suoi ghiacci.

Mille cose sai tu, mille discopri,

Che son celate al semplice pastore.

Spesso quand'io ti miro

Star così muta in sul deserto piano,

Che, in suo giro lontano, al ciel confina;

Ovver con la mia greggia

Seguirmi viaggiando a mano a mano;

E quando miro in cielo arder le stelle: Dico fra me pensando :

A che tante facelle?

Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa ? ed io che sono?
Cosi meco ragiono e della stanza
Smisurata e superba,

E dell'innumerabile famiglia;

Poi di tanto aloprar, di tanti moti

D'ogni celeste, ogni terrena cosa,

Girando senza posa,

Per tornar sempre la donde son mosse ;

Uso alcuno, alcun frutto

Indovinar non so. Ma tu per certo,

Giovinetta immortal, conosci il tutto.

Questo io conosco e sento,

Che degli eterni giri,

Che dell'esser mio frale,

Qualche bene o contento

Avrà fors'altri; a me la vita è male.

O greggia mia che posi, oh te beata, Che la miseria tua, credo, non sai!

Quanta invidia ti porto!

Non sol perchè d'affanno

Quasi libera vai;

Ch'ogni stento, ogni danno,

Ogni estremo timor subito scordi;

Ma più perchè giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,

Tu se' queta e contenta;

E gran parte dell'anno

Senza noia consumi in quello stato.

Ed io pur seggio sovra l'erbe, all'ombra, E un fastidio m'ingombra

La mente; ed uno spron quasi mi punge

Si che, sedendo, più che mai son lunge

Da trovar pace o loco.

E pur nulla non bramo,

E non ho fino a qui cagion di pianto.

Quel che tu goda o quanto,

Non so già dir; ma fortunata sei.

Ed io godo ancor poco,

O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.

Se tu parlar sapessi, io chiederei:

Dimmi: perchè giacendo

A bell'agio, ozioso,

S'appaga ogni animale;

Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?

Forse s'avess'io l'ale

Da volar su le nubi,

E noverar le stelle ad una ad una,

O come il tuono errar di giogo in giogo,

Più felice sarei, dolce mia greggia,

Più felice sarei, candida luna.

O forse erra dal vero,

Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero :

Forse in qual forma, in quale

Stato che sia, dentro covile o cuna,

È funesto a chi nasce il di natale.

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giovane Il ritratto di una bella donna scolpito sul suo monumento tramento della luna La ginestra Ultima conclusione della poesia leopardiana I Paralipomeni alla Batracomiomachia.

§ I.

La quiete dopo la tempesta vorrebb'essere, come dice il titolo, un ritratto della natura in un villaggio al ritorno del ciel sereno. I colori sono felicissimi, il quadro d'una serenità e d'una bellezza incomparabile. L'Autore comincia quasi sempre dal lato più incantevole della vita per riuscire dove meno ognuno se l'aspetterebbe, alle conclusioni più desolate. Comincia quasi sempre il Poeta, per cedere poi il passo al filosofo pessimista. E quale magica poesia! Parrebbe come se una misteriosa potenza nemica, dopo avergli presentato il mondo sotto l'aspetto più seducente, quando vede il Poeta più

intento ad ammirarlo e a colorirlo con animo rallegrato, svegliasse il demone del di lui stesso pensiere su quel felice idillio a devastarlo e trasformare, di sorgente di bellezza e di pace che era, in un mare di lacrime.

Mentre tutto il mondo risorge a miglior vita e gioisce in gran festa; mentre la natura e gli esseri a gara si vestono a nuovo e fanno mille liete voci che si risolvono armonizzando in un solo concerto universale, e fin gli uomini addetti ai più vili lavori aprono il cuore alla gioia, sciolgono le lingue al canto; mentre il sole sfolgora di nuova luce, e i monti esultano, e brilla il fiume nella tranquilla valle, e il Poeta si guarda intorno abbagliato e, dimentico di se stesso, unisce il suo al canto dell'universo; mentre egli più nuota in un mare di poesia che si riversa nella prima strofa, e al principio della seconda l'ebrezza continua intera, abbandonata; ecco a un tratto sorge l'inesorabile suo pensiere, quasi nascosto in agguato come nemico pronto a gittarsi sulla sua vittima; sorge, e tutto l'incanto di subito è rotto. Era stata un'illusione. Le sorti del mondo, in nulla cangiate, restano sempre le stesse, sempre più

amare.

Tutto il piacere, l'ebrezza provata dianzi era figlia del terrore svegliato dallo scatenarsi delle potenze

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