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costanze tutte esterne ed estranazionali, cascate dalle nuvole, la sua patria tornerebbe regina del mondo la terza volta? Qui c'è anzi un ottimismo tutto roseo. Che son mai le nostre debolezze! Lo stesso Leopardi che avea deriso la vanità de' popoli che si tengono soli possessori privilegiati d'ogni sapere e virtù, incorre anch'egli nella medesima vanità, e credé, rimosse alcune cause accidentali, che il suo paese possa rifiorire come a' più be' tempi antichi. Che l'Italia sia stata una volta regina, « donna di province,» come dicono i nostri poeti grandi e piccoli, nessuno lo nega; ma che sia stata tale una seconda volta e potrà essere anche una terza, non mi par molto facile ad ammettere. La seconda volta sarebbe a' tempi del Rinascimento; ma fu quella una cultura e una civiltà nuova? o non piuttosto una riproduzione letteraria ed artistica soltanto? Si sveglio forse ugualmente il culto della patria, della virtù, della famiglia? risorse o brillò nuova gloria

nelle armi?

Felice chi scambia un' epoca di pura imitazione artistica e letteraria, un' epoca in cui si pubblicò il Principe, per una nuova e vera epoca di risorgimento, per una seconda e splendida vita.

I Paralipomeni accusano la stanchezza del loro Autore. Quelle ottave, benchè in qualche parte molto

felici, talvolta pure riescono oscure e stentate, nè credo di poterle noverare « tra le più belle stanze che sieno state mai scritte, >> come parve al Ranieri. Inoltre il Poeta non sempre volge i suoi dardi a giusto segno. Se gli è concesso di pungere le superstizioni, le ubbie di qualunque genere, non pare che s'ispiri saviamente quando si volge ad attaccare i risultati di scienze positive, come la filologia. Simili trascorsi gli si possono perdonare soltanto per la considerazione, ch'egli non potette studiare oltre il ventesimo anno, rimanendo così estraneo a' progressi fatti in seguito dalla filologia.

CAPITOLO XI.

Il pessimismo non è di origine moderna

Genera l'epopea e la tragedia — Come il bramanismo, il buddismo, il giudaismo, il cristianesimo considerano l'esi stenza La tendenza a un mondo migliore Eloquenza di Dante nella descrizione delle pene Il suicidio - Danni e vantaggi della società Giudizio di Kant sulla vita L'uomo tra gli esseri solo colpevole Beni dell'esistenza L'amore

nere umano

-

L'amicizia

La pietà

Storia del

Opinione di Schopenhauer sul Leopardi Dialogo dell: natura e di un'anima; di T. Tasso e del suo genio; della natura e di un

Islandese -Il Parini ovvero della gloria
tierez Il cantico del gallo silvestre
Leopardi in aperto contrasto col secolo
manità, secondo Hartmann.

Dialogo di Colombo e di GatDialogo di Plotino e di Porfirio

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Il progresso e l'avvenire dell'e

§ I.

Finora abbiamo tenuto dietro alla lotta durata fra il pensiere ed il cuore di Leopardi, acerba lotta in cui si estinse una delle più ricche somme di poesia che uomo avesse sortito. Nelle prose il cuore di Leopardi, già così fervido e pieno di tanta fede, lascia che la ragione compia la più grande opera di distruzione che mai si vide, accompagnandola co' suoi gemiti compressi.

Non più contraddizione, non lotta, cessa qualunque

resistenza, il suo pensiere trionfa definitivamente, seminando rovine per ogni dove, e strappando alla natura qualunque velo onde la coperse la fantasia, l'inganno, la pietà degli uomini e sopra tutti di Leopardi. Soltanto qualche sentimento, come l'amicizia e la pietà, rischiara a volte le pagine oscure di queste prose, e mostra che sopravvive ancora un'ombra dell'antico Leopardi. In generale al poeta succede il giudice inesorabile che con fredda calma proferisce sull'esistenza una condanna che la più formidabile non fu giammai proferita, ed il cui eco risonerà ne' secoli sempre che alcuno avrà la forza di riguardare il vero senza inganni, qual è, non quale per antico costume s'immagina.

Ciò si chiama pessimismo e si tiene come qualcosa di assurdo e di particolare a que' pochi soltanto che lo sentono per circostanze tutte proprie, per dolori fisici e morali. Cosi se Schopenhauer abbracciò una filosofia sconfortante, fu per la gran ragione del poco buon accordo con sua madre, e per l'altra non meno gravissima ragione che gli fu negata una cattedra, mentre se ne largiva a tanti mediocri. Cosi Leopardi, sol perchè malsano e povero, cioè per cause ben più gravi di Schopenhauer, segui opinioni più sconfortanti del filosofo di Frankfurt. Questi infatti credeva che il pensiere della ne

cessità inevitabile de' mali valga a rendergli più sopportabili, mentre Leopardi per questa stessa necessità li stimava più gravi (.

(1)

I continui nostri sforzi per cessare il dolore non riescono ad altro che a mutarne soltanto la forma. Questa in origine si presenta come mancanza, necessità, sollecitudine dell'esistenza. Se vien fatto, che è molto malagevole, di sbandir da noi il dolore sotto alcuna di coteste forme, immantinente e' si presenta sotto mille altre forme, secondo l'età e le circostanze, come istinto di procreare, amor passionato, gelosia, invidia, odio, ansia, ambizione, avarizia, infermità, ecc., ecc. Se finalmente il dolore non può entrar in noi sotto altra forma, assume la veste pallida della sazietà e della noia. Che se pur si giunge a cacciar la sazietà e la noia, il dolore risorge e s'insinua di nuovo sotto alcuna delle forme innanzi dette, e così ricomincia la solita danza, Onde la vita è continuamente palleggiata dal dolore alla noia, dalla noia al dolore.

Per quanto sconfortante sia un siffatto pensiere, pure ¿ grato di rivolgere la mente sopra un lato tutto suo proprio, da cui si può trarre una consolazione, forse anco un'indifferenza stoica contro i propri mali. Perocchè la nostra intolleranza di tali mali nasce in gran parte da ciò, che noi gli teniamo come accidentali, come apportati da un concatenamento di cause che facilmente avrebbe potuto essere altrimenti. In effetti noi non sogliamo rattristarci delle sventure in tutto necessarie ed universali, come ad esempio, la vecchiezza e la morte, senza dir di tanti altri disagi giornalieri. E sopratutto il pensiere delle circostanze casuali che ci fa pena, e pena acuta.

Ma se noi riconoscessimo che il dolore fa parte essenziale ed inevitabile della vita, e che dal caso non altro dipende che la sola forma sotto la quale il dolore ci si presenta; che per ciò la nostra sofferenza attuale riempie un punto della nostra esistenza, senza della quale sarebbe già sottentrata un'altra, la quale ora dalla precedente resta esclusa; che alla fine, in sostanza, la sorte ha poco potere sopra di noi; un tal pensiere, quando divenisse una convinzione salda, potrebbe conferirci un alto grado di equanimità stoica, e scemare notabilmente le ansie per il proprio benessere. Ma nel fatto un cosi fermo dominio della ragione su' nostri vivi ed immediati mali non si trova mai, o ben raramente. » Die unaufhörlichen Bemühungen, das Leiden zu verbannen, leisten nichts weiter, als dasz es seine Gestalt verändert. Diese ist ursprünglich Mangel, Noth, Sorge um die Erhaltung des Lebens. Ist es, was sehr schwer hält, geglückt, den Schmerz in dieser Gestalt zu verdrängen, so stellt er sogleich sich in tau

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