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resta sempre un'eminenza inaccessibile alle pestifere esalazioni della terra; un'eminenza tutta pura e fresca in mezzo alle rovine che ha sparso per infiniti spazi la ragione; gli resta la carità inesauribile ardente come di un apostolo, ma più meritoria perchè non imposta dalla religione e senza speranza di premio. È un vero miracolo veder un uomo che non trova niente di meglio fuori della morte, un uomo che fa tanto empia o cieca la causa prima dell'essere e la virtù tanto infelice, rimaner sempre ciò non ostante con una bontà di cuore inalterabile. Se non ci fosse altra differenza fra Schopenhauer e Leopardi, questa è certamente immensa.

Quest'uomo, nemico di Dio nel secolo nostro, nel mille sarebbe stato un santo e preceduto Francesco d'Assisi ne' miracoli di carità.

Nè la religione può dare, nè la filosofia più desolata può toglier nulla a un cuore eccellente. E i mali che oggi minacciano la società, più che dalle idee, procedono veramente dalla perversità de' cuori i quali sembrano inaridirsi a misura che il pensiero si dilata. L'armonia umana è rotta, e il pensiero, unico nostro signore, ci tormenta e peggiora. Soltanto la fede consolerebbe il più gran numero, ma ella si appoggiava sul sentimento oggi isterilito.

Rimasta dunque scema la natura umana ed inquieta

perchè la sua pienezza consisteva in una contemperazione più giusta delle facoltà spirituali oggi impoverite dal dominio del nudo pensiero, a questo si riduce tutta la nostra malaugurata attività. Il pensiero non fa delle vittime isolate come Leopardi, ma attossica tutta la società, ci dà il pessimismo in filosofia, il socialismo nella politica. Quella mente sovrana di Leopardi aveva ben ragione quando affermava che il pensiero è il più grande nemico degli uomini, e però la natura ci provvide di tanti pietosi errori, dileguati dopo che è sopravvenuta la gran scissura nell'armonia del nostro essere, prima col predominio, ed oggi col dominio esclusivo del pensiero.

Se questo sia progresso, ognun lo vede. La Grecia non per altro rappresentò la somma dell'antica perfezione europea, che per la buona armonia dell'anima greca la quale si tradusse nell'armonia che forma la perfezione di quell' arte. Più tardi nella Grecia stessa preponderò il pensiero e ci dette la sofistica. Nel nostro medio evo il sentimento e la fantasia vincono compiutamente il pensiero. In Shakespeare P'accordo si reintegra, ma per poco. Si spezza di nuovo col predominio del pensiero in Goethe, é tal predominio diventa eccessivo nell'ultima poesia dell'Europa, la poesia di Leopardi.

Ma questi non è il poeta del pessimismo, der Dichter des Pessimismus, come lo chiamano a torto certi tedeschi. Il vero pessimista i cui versi si trovano nelle mani di tutti i cinici del mondo, dal cancelliere Metternich all'ultima cortigiana, è Heine, il grande irrisore d'ogni bella illusione e d'ogni affetto. Tutte le cose umane decadendo, finiscono nella satira. Così la poesia europea finisce nella satira di Heine. In Leopardi la satira vorrebbe sorgere, ma più sovente muore nel lamento. In Leopardi il pessimista e il poeta si combattono vivamente, il passato e l'avvenire si urtano come due eserciti nel primo loro scontro. Questa mi pare la vera situazione e il vero significato di Leopardi. Nella collisione il nuovo elemento che forma il nostro avvenire, l'arido e funesto pensiero, vinse e spense con la poesia la vita di questo gran martire. In seguito avremo più volte l'occasione di vedere con che tenacità inesorabile il pensiero di Leopardi si attacca a svellere da quel povero cuore ogni germe di poesia, e non riposa che quando ha fatto il nulla dove prima si spiegava la vita più rigogliosa.

Questa lotta ha luogo nelle poesie. Nelle opere morali l'infausta potenza del pensiero moderno scorre liberamente come suo proprio campo lo sconsolato deserto che ha creato, ma non si che

talvolta il cuore immortale di Leopardi non gli opponga una invitta resistenza, come la pietà de' parenti e degli amici che deve dissuadere dal suicidio inculcato con tanta pertinacia nel dialogo fra Plotino e Porfirio sopra citato.

CAPITOLO III.

Prima erudito e pedante che poeta Sue tra

Disi

Studi pedanteschi di Leopardi duzioni Lettera a V. Monti Sue prime e bellissime lettere a P. Giordani — Suo bisogno d'estendersi oltre Recanati Il destarsi del suo spirito coincide col decadimento del corpo Sue noie mortali a Recanati stima i cattolici Confessa d'essersi seppellito in studi micidiali — Suoi rapidi progressi che ancora lottano col suo pedantesco passato dizio sulla poesia

Suo giu

Il suo pensiere lo martirizza nella solitudine

Ama

e spera come un uomo felice - Comincia a disprezzar la gloria a vent'anni

Suo primo disinganno amoroso zoni patriottiche a Monti nel 1821

-

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A volte gli si impietrisce il cuore e il pensiere Mirabili effetti delle lettere di Giordani Memorie della prima età Crede la sua infelicità

pardiana

- Amo

comune a tutti -Lo rianima la vista della natura - Poesia unilatere leoLeopardi e il suo tempo Smentisce che Giordani lo svolse Suo primo viaggio e triste impressione di Roma revolezza e stima di Niebuhr Rifiuta la carriera ecclesiastica per ottenere un impiego.

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Fin dalla prima lettera del suo epistolario, Le Monnier 1849, scritta nel 1816 all'abate Cancellieri, cioè nell'età di 18 anni, si mostra tutto dedito allo studio degli scrittori greci della decadenza. Domanda notizia de' codici della biblioteca vaticana che con

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