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Della forma di Gerione e di molti particolari ad esso demone allinenti, secondo il dettato della Commedia di Dante Alighieri,

LETTERA

· Al chiarissimo professore cavaliere Salvatore Betti.

Prend

Con più color sommesse e soprapposte

Non fer ma' in drappo tartari né turchi....

rendo securtà d'indirizzare a voi, chmo professore, questo disadorno mio scritto intorno Gerione, perchè approfondatomi nell' abisso dello Inferno dantesco, per tentare di descrivere più acconciamente di quello si fosse per lo addietro praticato, tutta la meravigliosa invenzione, troG.A.T. CLIII.

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vomi allo imbocco del gran pozzo alquanto perplesso per la misteriosa figura della Fraude, sulla quale mi è sempre paruto non siasi bastevolmente penetrata la intenzion del poeta: però vengo a voi pregando volere considerare con pazienza i pensamenti che vi soppongo, ad effetto manifestarmi alla libera le vostre osservazioni, che valgano a correggere le sentenze malferme, o a raffermare quelle che a'vostri divisamenti per avventura si trovasser conformi. Nel che non avrete molto a travagliarvi; essendochè trattandosi della Commedia, appellata divina, può fermamente asseverarsi che tutta quanta la sapete.

Dante nella morale descrizion de' misfatti, puniti eternalmente nel Tartaro, adoperò per fermo una sapientissima critica; perciocchè collocati in principio i vizi procedenti da incontinenza, e che però si rapportano più a' male imbrigliati sensi, che allo spirito, edificò un baratro maggiormente profondo per quelli molto più gravi, siccome derivanti dalla mente; la quale abusando la ragione in appagamento di sregolata e prava volontà, inchina a malizia e adopera la frode a detrimento del prossimo quindi le due generazioni di colpe, secondo che nocciono alla umanità in generale, o a coloro in particolare che nel peccatore ebbero incauta fede riposta.

Al fondo di cotal baratro l'Alighieri assegnò portatore uno essere straordinario, nome Gerione; e qual foss' egli, m'aggrata far subbietto di mio discorso, ad effetto investigare e rivelare, pel meglio che mi sia possibile, l'alta

dottrina onde lo sbandito fiorentino gli occulti suoi concepimenti informava.

Concisa e chiara descrizione ce ne diede in pochi versi del Canto XVII, che dicono:

La faccia sua era faccia d' uom giusto;
Tanto benigna avea di fuor la pelle;
E d'un serpente tutto l'altro fusto.
Due branche avea pilose infin l'ascelle:
Lo dosso e 'l pelto ed amendue le coste
Dipinte avea di nodi e di rotelle.
Con più color sommesse e soprapposte
Non fer ma' in drappo tartari nè turchi,
Nè fur tai tele per Aragne imposle.

l' in

Da' quali pochi versi due cose porto opinione che rilevi ricavare scrutando; la prima, la verace figurazion del mostro; la seconda tendimento posto in siffatta figurazione a rappresentare la sozza immagine di Frode: su di che dispongomi allargare miei argomenti. Ma innanzi tutto mi è avviso non sia senza importanza rinvergare qual fosse ragione, perchè il poeta cotale sua creazione Gerion appellar si piacesse.

Dice che di siffatto nome regnasse nella Berica un uomo gigante, ricchissimo d'armenti, giusta feconda condizione di pascoli in suo reame, e sì atante della persona ch'Esiodo diffinirlo il più forte che fosse nato fra gli uomini non ebbe ritegno. I poeti posteriori immaginarono foss'egli un mostruoso accoppiamento di tre corpi in uno individuo, e le dipinture dei vasi fittili italo

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