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morie di Religione ec. di Modena, del 1843 (XV, 205) riferì alcuni Capitoli dei Fioretti secondo un ms. da lui posseduto.

Le più antiche edizioni de' Fioretti sono del secolo XV senza data: le più recenti sono quelle pubblicate da L. Manzoni (Loescher, 1901, la quale riproduce la lezione dataci dal cod. Mannelli, datato del 1396) e l'ediz. con pref. di P. SABATIER, Assisi, tip. Metastasio, 1901. Studj per un' edizione critica aveva già fatto lo stesso Manzoni, Di una nuova edizione dei Fioretti, ec., Bologna, Regia Tipografia, 1887. Ora di questo libro si attende una nuova stampa a cura di P. Sabatier.1

È ammirevole in questa prosa la semplicità della forma, degna in tutto dell' amabile ingenuità della materia: e può ben dirsi che i Fioretti sieno uno degli antichi volgarizzamenti più belli e più schietti, e insieme la più bella leggenda religiosa italiana." < Meglio di qualsiasi altra biografia, dice il Sabatier, i Fioretti ci trasportano laggiù nell' Umbria e in mezzo ai monti della Marca anconitana, per farci vedere i romitorj e mescolarci alla vita, metà puerile e metà angelica, di coloro che li abitavano.... Non si disprezzino questi documenti, in che i primi francescani hanno narrato se stessi, quali si conoscevano. Dischiusi sotto il cielo dell'Umbria, a piè degli olivi di San Damiano o degli abeti della Marca, questi fioretti selvatici hanno un profumo ed una originalità che invano si chiederebbe a fiori allevati dalle cure di un saputo giardiniere. » 3

[Vedi E. ALVISI, I Fioretti di San Francesco, studj sulla loro composizione storica, in Arch. stor. ital., 4a serie, tomo IV, 1879, pag. 488 e seg.; e dello stesso, Il testo latino dei F. di S. F., nell'Antol. d. critica lett. mod. del MORANDI, pag. 298 e seg. Vedi anche lo scritto sopra cit. di L. MANZONI.]

La perfetta letizia secondo gli insegnamenti di san Francesco. Venendo una volta san Francesco da Perugia a Santa Maria degli Agnoli con frate Leone a tempo di verno, e il freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Leone, il quale andava innanzi, e disse così: Frate Leone, avvegna

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diochè li frati minori in ogni terra dieno grande esempio di

1 Nell'atto di licenziare queste stampe, ci giunge un'edizione dei Fioretti, fatta dal Sabatier a Parigi (Fischbacher, 1902), ma senza apparato critico, accompagnata da altro vol. degli Actus b. Franc. et sociorum eius (presso lo stesso editore), ch' egli sostiene esser il testo originale del libro volgare: cfr. della Prefazione specialmente le pag. Lx e seg.

2 Alcuni capitoli dei Fioretti tradusse la signora Ozanam in appendice al libro del marito, A. F. OZANAM, Les poètes francisc., 3me édit., Paris, Lecoffre, 1889. Ora furono per intero volte in francese da A. GOFFIN, Les petites fleurs de la vie du petit pauvre de J. C. 8. Fr. d' A., Bruxelles, Lefèvre, 1901.

3 La Vie de 8. Fr. d'A., 9e édit., Paris, Fischbacher, 1894, p. cxi.

santitade e di buona edificazione, nientedimeno iscrivi, e nota diligentemente, che non è quivi perfetta letizia”. E andando san Francesco più oltre, il chiamò la seconda volta: "O frate Leone, benchè 'l frate minore allumini i ciechi, e distenda gli attratti, iscacci le demonia, renda l'udire alli sordi e l'andare alli zoppi, il parlare alli mutoli, e, ch'è maggiore cosa, risusciti li morti di quattro dì: scrivi, che in ciò non è perfetta letizia”. E andando un poco, gridò forte: “O frate Leone, se'l frate minore sapesse tutte le lingue e tutte le scienze e tutte le Scritture, sicchè sapesse profetare, e rivelare non solamente le cose future, ma eziandio li segreti delle coscienze e degli animi: scrivi, che non è in ciò perfetta letizia". Andando un poco più oltre, san Francesco chiamò ancora forte: "O frate Leone, pecorella di Dio, benchè il frate minore parli con lingua d'angelo, e sappia i corsi delle stelle e le virtù delle erbe; e fossonli rivelati tutti li tesori della terra, e cognoscesse le virtù degli uccelli e de' pesci e di tutti gli animali e degli uomini e degli alberi e delle pietre e delle radici e dell'acqua ; iscrivi, che non è in ciò perfetta letizia ". E andando ancora un pezzo san Francesco chiamò forte: "O frate Leone, benchè l frate minore sapesse sì bene predicare, che convertisse tutti gl'infedeli alla fede di Cristo: scrivi, che non è ivi perfetta letizia ". E durando questo modo di parlare bene di due miglia, frate Leone con grande ammirazione il domandò, e disse: "Padre, io ti priego dalla parte di Dio, che tu mi dica, dove è perfetta letizia". E san Francesco si gli rispuose: "Quando noi saremo a Santa Maria degli Agnoli così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo, e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo la porta dello luogo, e 'l portinaio verrà adirato e dirà: Chi siete voi?-e noi diremo:- Noi siamo due de'vostri frati; -e colui dirà: Voi non dite vero; anzi siete due ribaldi, che andate ingannando il mondo, e rubando le limosine de' poveri; andate via: e non ci aprirà, e faracci istare di fuori alla neve e all'acqua col freddo e colla fame, insino alla notte; allora, se noi tanta ingiuria e tanta crudeltade e tanti commiati sosterremo pazientemente senza turbarcene e senza mormorare di lui; e penseremo umilmente e caritativamente, che quello portinaio veramente ci cognosca; e che Iddio il fa parlare contra a noi; o frate Leone, iscrivi, che qui è perfetta letizia. E se noi perseveriamo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gotate, dicendo: - Partitevi quinci, ladroncelli vilissimi, andate allo spedale, chè qui non mangerete voi nè albergherete; se noi questo sosterremo pazientemente, con allegrezza e con amore, o frate Leone, scrivi, che quivi è perfetta letizia. E se noi pur costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte, più picchieremo, e pregheremo per l'amore di Dio con grande pianto, che ci

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apra e mettaci pure dentro; e quelli più scandalizzato dirà : Costoro sono gaglioffi importuni; io gli pagherò bene come sono degni ; e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involgeracci nella neve e batteracci à nodo a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi, che qui e in questo è perfetta letizia: e però odi la conclusione, frate Lione. Sopra tutte le grazie e i doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere se medesimo, e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie ed obbrobrj e disagi: imperocchè in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, perocchè non sono nostri, ma di Dio; onde dice l'Apostolo:

Che hai tu, che tu non abbi da Dio? e se tu l'hai avuto da lui, perchè te ne glorii, come se tu l'avessi da te? - Ma nella croce della tribolazione e della afflizione ci possiamo gloriare, perocchè questo è nostro; e perciò dice l'Apostolo: Io non mi voglio gloriare, se non nella Croce del nostro Signore Gesù Cristo – (Dai Fioretti, cap. VIII.)

La predica di san Francesco agli uccelli. .... San Francesco parti di Savurniano e venne tra Cannaio e Bevagno. E passando oltre con fervore, levò gli occhi, e vide alquanti arbori allato alla via, in su' quali era quasi infinita moltitudine d'uccelli; di che san Francesco si maravigliò, e disse a' compagni: "Voi m'aspetterete qui nella via, e io andrò a predicare alle mie sirocchie uccelli "; e entrò nel campo, e cominciò a predicare agli uccelli, ch'erano in terra; è subitamente quelli, ch'erano in sugli albori, se ne vennero a lui, e insieme tutti quanti istettono fermi, mentre che san Francesco compiè di predicare; e poi anche non si partivano, insino a tanto ch'egli diè loro la benedizione sua. E secondo che recitò poi frate Masseo a frate Jacopo da Massa, andando san Francesco fra loro toccandoli colla cappa, nessuno perciò si movea. La sustanza della predica di san Francesco fu questa: "Sirocchie mie uccelli, voi siete molto tenute a Dio vostro creatore, e sempre ed in ogni luogo il dovete laudare, imperocchè v' ha dato libertà di volare in ogni luogo; anche v' ha dato il vestimento duplicato e triplicato; appresso, perchè riserbò il seme di voi in nell' arca di Noè, acciocchè la spezie vostra non venisse meno; ancora gli siete tenuti per lo elemento dell'aria, che egli ha diputato a voi; oltre a questo, voi non seminate e non mietete; Iddio vi pasce, e davvi li fiumi e le fonti per vostro bere; dàvvi gli monti e le valli per vostro rifugio; e gli alberi alti per fare gli vostri nidi; e conciossiacosachè voi non sappiate filare nè cucire, Iddio vi veste, voi e' vostri figliuoli: onde molto v'ama il vostro creatore, poich'egli vi dà tanti beneficj; e però

guardatevi, sirocchie mie, del peccato della ingratitudine, e sempre vi studiate di lodare Iddio". Dicendo loro san Francesco queste parole, tutti quanti quelli uccelli cominciarono ad aprire i becchi e distendere i colli e aprire l'ali e reverentemente inchinare i capi infino in terra, e con atti e con canti dimostrare, che 'l Padre Santo dava loro grandissimo diletto e san Francesco con loro insieme si rallegrava e dilettava, e maravigliavasi molto di tanta moltitudine d'uccelli e della loro bellissima varietà e della loro attenzione e familiarità: per la qual cosa egli in loro divotamente lodava il creatore. Finalmente compiuta la predicazione, san Francesco fece loro il segno della croce, e diè loro licenza di partirsi; e allora tutti quelli uccelli si levarono in aria con maravigliosi canti; e poi, secondo la croce, ch' avea fatta loro san Francesco, si divisono in quattro parti; e l'una parte volò inverso l' Oriente, e l'altra inverso l'Occidente, e l'altra inverso lo Meriggio, la quarta inverso l'Aquilone, e ciascuna schiera n'andava cantando maravigliosi canti; in questo significando, che come da san Francesco, gonfaloniere della croce di Cristo, era stato a loro predicato, e sopra loro fatto il segno della croce, secondo il quale egli si divisono in quattro parti del mondo; così la predicazione della croce di Cristo rinnovata per san Francesco, si dovea per lui e per li frati portare per tutto il mondo; li quali frati, a modo che gli uccelli, non possedendo nessuna cosa propria in questo mondo, alla sola provvidenza di Dio commettono la lor vita. — (Cap. XVI.)

San Francesco e il lupo d'Agobbio.-Al tempo, che san Francesco dimorava nella città d'Agobio, nel contado d'Agobio appari un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziandio gli uomini, intantochè tutti i cittadini istavano in gran paura, perocchè spesse volte s'appressava alla cittade, e tutti andavano armati quando uscivano della cittade, come se eglino andassero a combattere: e contuttociò non si poteano difendere da lui chi in lui si scontrava solo; e per paura di questo lupo e vennero a tanto, che nessuno era ardito d'uscire fuori della terra. Per la qual cosa, avendo compassione san Francesco agli uomini della terra, si volle uscire fuori a questo lupo, benchè li cittadini al tutto non gliel consigliavano e facendosi il segno della santissima croce, uscì fuori della terra egli coi suoi compagni, tutta la sua confidenza ponendo in Dio. E dubitando gli altri d'andare più oltre, san Francesco prese il cammino inverso il luogo dov'era il lupo. Ed ecco, che vedendo molti cittadini, li quali erano venuti a vedere codesto miracolo, il detto lupo si fa incontro a san Francesco colla bocca aperta: ed appressandosi a lui, san Francesco gli fa il segno della santissima croce, e chiamollo a sè, e disseli così: Vieni qui, frate lupo, io ti

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comando dalla parte di Cristo, che tu non facci male nè a me nè a persona". Mirabile cosa! immantinente che san Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse la bocca, e ristette di correre; fatto il comandamento, venne mansuetamente, come uno agnello, e gittossi alli piedi di san Francesco a giacere. Allora san Francesco gli parlò così: "Frate lupo, tu fai molti danni in queste parti, ed hai fatti grandi maleficj, guastando e uccidendo le creature di Dio senza sua licenza; e non solamente hai uccise e divorate le bestie, ma hai avuto ardire d'uccidere gli uomini, fatti alla immagine di Dio; per la qual cosa tu se' degno delle forche, come ladro e omicida pessimo; e ogni gente grida e mormora di te, e tutta questa terra t'è nemica. Ma io voglio, frate lupo, far la pace fra te e costoro; sicchè non gli offenda più, ed eglino ti perdonino ogni passata offesa, e nè li uomini nè li cani ti perseguitino più ". Dette queste parole, il lupo con atti di corpo e di coda e di occhi, e con inchinare il capo, mostrava d'accettare ciò che san Francesco dicea e di volerlo osservare. Allora san Francesco ripetè qui: Frate lupo, dappoichè ti piace di fare e di tenere questa pace, io ti prometto che io ti farò dare le spese continuamente, mentre che tu viverai, dagli uomini di questa terra, sicchè tu non patirai più di fame: imperocchè io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male. Ma poi ch'io t'accatto questa grazia, io voglio, frate lupo, che tu mi imprometta, che tu non nocerai mai a nessuna persona umana nè ad animale; promettimi tu questo?" E il lupo con inchinare il capo, fece evidente segnale che 'l prometteva. E san Francesco si dice: "Frate lupo, io voglio che tu mi facci fede di questa promessa, acciocch'io me ne possa bene fidare "; ed istendendo la mano san Francesco per ricevere la sua fede, il lupo levò su il piè ritto dinanzi dimesticamente lo puose sulla mano di san Francesco, dandogli quello segnale di fede ch'egli potea. E allora disse san Francesco: "Frate lupo, io ti comando nel nome di Gesù Cristo, che tu venga ora meco, senza dubitare di nulla, e andiamo a fermare questa pace al nome di Dio "; e il lupo ubbidiente se ne va con lui, a modo d'uno agnello mansueto; di che li cittadini vedendo questo, fortemente si maravigliavano. E subitamente questa novitade si seppe per tutta la cittade: di che ogni gente, maschi e femmine, grandi e piccoli, giovani e vecchi, traggono alla piazza a vedere il lupo con san Francesco. Ed essendo ragunato tutto il popolo, san Francesco si levò suso a predicare loro, dicendo tra l' altre cose, come per gli peccati Iddio permette cotali cose e pestilenze: e troppo è più pericolosa la fiamma dello inferno, la quale ha da durare eternamente alli dannati, che non è la rabbia del lupo, il quale non può uccidere se non il corpo; quanto è dunque da temere la bocca dello inferno, quando tanta moltitudine tiene in paura e in tremore la bocca di

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