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tizione del re Saul, fece apparire Samuel, il quale predisse l'effetto della battaglia de' Filistei; non che fosse Samuel, o lo spirito suo, come spongono i Santi, ma fu il diavolo in quella similitudine, e diceva e mostrava che fosse Samuel. Così si truova ch'e' dimonj prendendo similitudine d' uomini e di femmine che sono vivi, e di cavagli e di somieri, vanno di notte in ischiera per certe contrade, dove veduti dalle genti, credono che sieno quelle persone la cui similitudine mostrano e questa in alcuno paese si chiama la tregenda. E ciò fanno i dimonj per seminare questo errore, e per mettere iscandalo, e per infamare quelle tali persone la cui similitudine prendono, mostrando di fare nella tregenda alcune cose disoneste. Ben si truovano alcune persone, e spezialmente femmine, che dicono di sè medesime ch'elle vanno di notte in brigata con questa cotale tregenda, e contano per nome molti e molte di loro compagnia; e dicono che le donne della torma che guidano l'altre, sono Erodia, che fece uccidere san Giovanni Batista, e la Diana, antica dea de Greci. Come questo sia è da considerare, e come essere possa. Non è dubbio veruno che, di sua possa naturale, il diavolo puote menare e portare uomini e femmine, pochi e molti, da uno luogo a un altro, come e' vuole, se non è impedito per virtù divina; ma rade volte si truova che ciò faccia. L'altro modo ch'è più verosimile, è quello che già è detto di sopra, che puote fare parere alla persona, e di sè e d'altrui, ch' ella sia quello ch'ella non è, e ch'ella faccia quello ch'ella non fa. E ciò fa o vegghiando la persona o dormendo, alterando la immaginazione e la fantasía, e imprimendovi immagini e similitudini di quelle cose che vuole che paia alla persona essere, e dire e fare le dette cose. Onde, standosi la persona in sul letto suo, le parrà andare, e fare cose maravigliose; e poi le racconterà, credendolesi avere veramente fatte. E questo interviene comunemente a' malèfici, o a persone maleficiate, cioè che sia fatto di loro o per loro alcuno malificio d'arte magica; o a persone che dieno fede a così fatte cose.

Sono certe cose che avvegna che non vi si adoperi invocazione di dimonj, nè figure, nè osservanzie d'arte magica, non sono però licite; chè o elle son false, o non hanno efficacia veruna a quello per che si fanno, o è sospetto il modo nel quale si fanno. Non hanno efficacia véruna qualunche parole dette, o portate addosso scritte o per modo di brieve o d'altra legatura, eziandio le parole della santa Scrittura, o'l Vangelo di san Giovanni, ô Dirupisti vincula mea, o vero Iesus autem transiens, per medium illorum ibat, o qualunch' altra parola, o a non perire in acqua, o a non venire in mano de' nimici, o a capitare bene di piato, o di qualunche altra impresa, o a non morire sanza confessione,

Aver buona conchiusione di una lite.

o a non morire di morte subitana, o a scampare del parto o di qualunche altra infermità: anzi è peccato ad usarle a qualunche di questi effetti, o di qualunch' altre cose temporali o corporali, con ciò sia cosa ch'elle furono scritte e spirate dallo Spirito Santo, o per ammaestramento e dottrina o per orazione, e non per altro uso. Che se la Scrittura fosse stata revelata da Dio o ordinata a tale uso, lo Spirito Santo l'averebbe revelato agli Apostoli e alla santa Chiesa, come ha fatto delle parole sagramentali. Non l'ha fatto; è però non è lecito ad uomo vivente diputarle o appropiarle a tale uso di portarle scritte addosso, o di dirle o farle dire per alcuno effetto corporale o temporale. E molto peggio sarebbe quando vi si mescolassono o interponessono altri nomi iscognosciuti, o figure o segni, sotto i quali, dicono i Santi, si contengono i patti taciti co' dimonj. Portinsi adunque le parole della santa Scrittura nella mente, e non a collo; nel quore, e non in borsa. Quel medesimo si dice del danaio primo offerto alla Croce el venerdì santo, e dell' erbe tenute è côlte quando si canta il Vangelo o la Passione; e di simili cose. E se le parole di Dio non hanno virtù e efficacia a tali effetti, molto meno quelle d'uomo o di femmina che si dicano in incantesimi o in iscongiuri di serpenti o d'altre bestie, di malori o di qualunch'altra infermità. Il nome di Dio e del nostro Signore Iesu Cristo, l'aiuto della Vergine Maria e degli altri Santi, divotamente e puramente, sanza niuna osservanza o vana superstizione, si dee invocare in ogni necessità corporale e spirituale. E quello ch'è detto delle parole, similmente si dice del digiuno, del silenzio, delle messe, delle 'nvenie,' dell'andate fatte sotto certe osservanze di tempo e di novero, credendo che altrimenti non fossono valevoli come si dice de' dodici lunedì di santa Caterina, del venerdì di santo Niccolao e delle messe di san Gregorio, de' mercoledì di san Lorenzo, del silenzio de' dieci mila Martiri, e di tutte simili cose. E non si dice però, che le messe e'l digiuno e l'orazioni e gli altri beni non sia bene a fare; ma quelle osservanzie del tempo o del novero o di certi modi non sono nè liciti nè buoni. E che la vanità e la cupidità delle genti mortali voglia pôr legge alla divina giustizia, e che per loro opere o per loro parole o loro andate o loro offerte si traggaño in fra certo tempo anime di purgatoro, quest' è grande presunzione e pericoloso errore a credere o a dire. L'osservanzia del tempo, cioè in che di o in che ora o in che punto altri imprenda a fare alcuna cosa di nuovo; come sarebbe, intrare ad abitare in prima in casa nuova, mettersi la roba nuova, menare moglie, incominciare a fare mercatanzia o compagnia con altri, entrare in mare, entrare in signoria, radersi la prima barba, andare cercando la prima mancia nelle calendi, il primo di

1 Eccessive e cerimoniose dimostrazioni di culto.

dell' anno nuovo, il primo di della settimana; e dicessi che alcun di alcuna ora è migliore ch' un'altra, anzi che alcuna è buona e alcuna è rea, e simili cose che certe gente osservano, è vanità, e non è sanza grave peccato: e spezialmente osservando certi dì, quali dicono alcuni che si chiamano egiziachi, ne' quali non si dee fare alcuna impresa che altri voglia che riesca bene, con ciò sia cosa che siano di infausti e malauguriati, e in ciascuno mese dell'anno n'ha alcuno. Contro a questi cotali osservatori dice san Paolo: Dies observatis menses, tempora et annos: timeo ne sine causa laboraverim in vobis: Voi osservate i dì e mesi e' tempi e gli anni; per la qual cosa temo ch'io non mi sia affaticato in voi in vano. Non si dee però intendere che sia male a osservare i tempi e' segni del cielo a certe cose naturali, delle quali e 'l tempo e 'l cielo sono alcuna cagione, come dicea Salamone: Omnia tempus habent: Ogni cosa ha suo tempo. Onde i medici in dare le medicine, i marinai in navicare, i lavoratori nel lavorio della terra, possono anzi debbono osservare e tenere mente a' tempi e a' segni delle stelle e delle pianete del cielo. Simile dico di certi atti che fanno alcuni animali, che si muovono secondo lo 'nstinto della natura e del cielo; e per isperienzia è veduto e provato dagli uomini, che significano alcuna cosa che dee intervenire, non che ne sieno cagione: come i dalfini, quando vengono notando sopra l'acqua del mare, appressandosi alle navi, significano che tosto dee venire tempesta; e quando la gatta si liscia el capo colla branca, dicono le femmine ch'è segno ch' e' dee piovere; e quando il gallo canta più tosto che non suole, è segno di mutazione di tempo. Queste cotali cose osservare e tenervi mente, non è peccato veruno. Ma chi volesse, pel cantare del gallo o per lo abbaiare del cane o pel cantare del corbo o del barbagianni o dell'assiuolo in sul comignolo della casa, o per qualunche movimento di uccello o d'altro animale, auguriare pronosticando se lo 'nfermo dovesse morire o guarire, o quanto tempo la persona dovesse vivere (come disse quella vecchia, che avea ancora a vivere cinque anni, imperò ch'avea udito cantare il cuculo il dì di calen' di maggio cinque volte; onde non si volle confessare, e così mori sanza confessione); questo sarebbe grave peccato, con osservanzia inlecita e vietata. Quel medesimo si dee tenere di certi accidenti che 'ntervengono alla persona, i quali non si debbono osservare nè porvi mente: come se nell'uscire dell'uscio la mattina, la persona starnutisse pure una volta, chè dicono alquanti vani osservatori che si debbia tornare addietro; o se si trovasse messa la calza o la camicia a rovescio, creda che tutte le cose di quel dì gli vadano a ritroso; e se gli venisse messo il piè manco innanzi al ritto, o se incispicasse o cadesse, non debba andare più innanzi. E tutte quelle cose delle quali non è ragione naturale per che così debba essere o intervenire, non

si debbono osservare nè credere; ch'elle sono oppenioni false e vane, e sônci rimase del paganesmo, o introdotte dalla falsa dottrina del dimonio. Del gittare delle sorte, dicono i Santi che in certi casi non è lecito, anzi è vietato per lo decreto: come sarebbe chi volesse sapere per sorte alcuna cosa occulta che dovesse venire, riferendo il prendere delle sorte o alla disposizione delle stelle o all'operazione de' dimonj e tale si chiama sorte divinatoria. Anche chi volesse sapere, per lo prendere delle sorte, quello che dovesse fare o dire, dubitando qual fosse il meglio, come sarebbe d'eleggere alcuno prelato ecclesiastico, o di ricevere alcuno benificio spirituale; non è oggi lecito, benchè nella antica legge s'usasse, e chiamassi sorte consultoria. È un altro gittare di sorte, che si chiama sorte divisoria; e questa è lecita: come sarebbe se certe persone ch' avessono a dividere certe cose a comune, e non s'accordassono a fare le parti dando e togliendo, possonsi gittare le sorte, spognendo alla fortuna qual parte vegna a qualunche di loro. Ed è lecito ancora, d'usare queste sorte negli oficj temporali, a cui prima tocchi la volta: come si fa dagli uficiali della città che si eleggono per parecchi anni, e scritti in certe cedole si mettono in un sacco o cassetta, e poi a certi tempi si traggono alla ventura, e secondo che sono tratti, così entrano all'oficio. - (Dal Trattato della scienza, ediz. POLIDORI, pag. 309 e segg.)

GIOVANNI COLOMBINI.

Nacque in Siena, forse nel 1304, di famiglia di antica nobiltà e dedita al commercio: ed ai traffici attese anch' egli e fu dei rettori della città, finchè nel 1355, o poco prima, si converti all'ascetismo, secondo narrano i vecchi biografi, dopo la lettura e meditazione della vita di Santa Maria egiziaca. Si diede quindi tutto ad opere di pietà e di carità, e, mortogli verso il '63 il figlio, e fattasi monaca la figlia, diede tutto il suo all'ospedale di Santa Maria della Scala, salvo un piccolo reddito alla moglie. Preso seco un compagno, andò mendicando e chiamando gli uomini a farsi sposi dell' altissima povertà, raccogliendo intorno a sè un primo nucleo di compagni, che presero il nome di Gesuati. Fu bandito dai rettori del Comune, ma poi richiamato; e con una cugina, Caterina Colombini, fondò le monache Gesuate. Propagò la sua dottrina in varie città di Toscana e dell' Umbria, e processionalmente coi suoi seguaci nel '67 si recò a Viterbo, perchè Urbano V approvasse il nuovo ordine monastico: la qual cosa ottenne, dopo che l'inquisitore li riconobbe immuni dalle taccie di eresia ad essi apposte. Soltanto volle il Papa che ai mantelli stracciati, che portavano addosso per umiltà, sostituissero abiti bianchi.

Tornando da Viterbo, infermò all' Abazia di San Salvatore e vi morì il 31 luglio 1367. Le sue Lettere, dirette a uomini e donne, potenti ed umili, contengono la sua dottrina, che fu tutta d'amore e di carità, e sono scritte con semplice efficacia in schietto idioma senese, qua e là da noi ritoccato. A lui sono anche attribuite alcune Laudi.

[Oltre la Vita di lui, scritta da FEO BELCARI, che più oltre ricorderemo, vedi G. PARDI, Della vita e degli scritti di G. C. da Siena, Siena, tip. Lazzeri, 1895.]

II Colombini e i suoi alla presenza del Papa. Vi scriviamo sommariamente quello che Gesù Cristo ha permesso e voluto fare intorno al suo onore. Sappiate che, come per altra lettera vi scrivemmo, per lo cammino, e anco in Viterbo, singulare e grande onore ci fu fatto, e quasi da tutta gente volentieri veduti. Poi, appressandosi là venuta del Santissimo Padre, il Cardinale venne a Corneto, e noi amenduni con grande parte di poverelli, venimmo simile con lui: qui fummo veduti volontieri. É poi, appressandosi il tempo del venire, si n'andemmo al mare, ove si fece grande apparecchio per ricevere il Padre Santo e' cardinali e per la grazia di Dio, assai in quello che si potè, ci adoperammo, e aitammo a fare la camera del Santo Padre, e 'l letto suo, e le letta de' Cardinali facemmo noi, e fucci di ciò fatta assai grazia. Poi, quando venne il Padre Santo, istemmo sul ponte o dal lato.... Poi il vedemmo venire e co'lui sette cardinali, e fu la più bella e devota cosa che mai si vedesse. E vedemmolo uscire dalla nave, e veramente parendo Santo. Noi tutti cogli ulivi in capo e in mano, con gridare sempre: Laudato Cristo, e viva il Santo Padre! e tutto il campo con laude e con cose mettemmo a rotta e a festa, e per grande grazia ci fu dato in ogni cosa, luogo. Grazia e gloria sia all'altissimo Dio! E fate ragione che ivi era la baronia del mondo, con tanta divozione, che fu mirabile cosa. Francesco e io Giovanni di Pietro gli baciammo il piè, e più altri poverelli, e recâro due poverelli un pezzo d'aste del palio suo, che aveva sopra a capo. Poi giunto nella terra, iscavalcò con grande gaudio festa a' frati di Santo Francesco; noi con gli ulivi assai li fummo appresso: poi, gli fu parlato di noi, e disse che aveva volontà di vederci e confortarci. Poi, tanto è la pressa di forastieri e di ambasciatori e d'altri baroni, che non c'è stato modo. Avemo parlato col cardinale d'Avignone, suo fratello carnale, il

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La migliore e più compiuta raccolta di esse è quella a cura di A. BARTOLI, Lucca, Balatresi, 1856.

2 Ambedue egli e Francesco Vincenti, suo primo compagno. 3 Accompagnandoci con lui.

Ne rompemmo, per fervore, l'ordine.

8 Del baldacchino.

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