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dere la semplicità degl'incauti e di offrire un'arma a quei partiti politici, cui di molto non cale la libertà ed indipendenza del Romano Pontefice? Posto da parte qualsiasi altro ragionamento, ciò che accade oggi stesso in Roma, nel momento che vi sarebbe tutto l'interesse di convincere l'Europa della forza ed efficacia della decantata legge, è il più eloquente argomento per dimostrarne la futilità e l'impotenza. Ed invero, che giova proclamare la immunità della persona e della residenza del Romano Pontefice, quando il Governo non ha la forza di guarentirci dagli insulti giornalieri cui è esposta la Nostra autorità, e dalle offese in mille modi ripetute alla Nostra stessa persona; e quando, insieme ad ogni onest'uomo, dobbiamo essere spettatori dolenti del modo onde in taluni casi, anche recentissimi, si amministra la penale Giustizia? Che giova non tenerci chiusa la porta del Nostro domicilio, se non Ci è possibile di uscirne senza assistere a scene empie e ributtanti; senza esporci ad oltraggi per parte di gente qua accorsa onde fomentare l'immoralità ed il disordine; senza correre il pericolo di renderci causa involontaria di conflitti

cumque alia omissa disquisitione, quae et hodie Romae fiunt, quo tempore maximi interesset, de vi et efficacia celebratae legis Europam fieri certiorem, eloquentiora sunt argumenta, quibus futilitas eius et impotentia demonstretur. Et re sane vera: quid iuvat Romani Pontificis personae ac sedis immunitatem praedicare, si Gubernium viribus caret tuendi Nos a quotidianis contumeliis, quibus auctoritas Nostra obiicitur, et ab iniuriis contra Nostram ipsam personam modis innumeris iteratis; ac si, una cum honesto quolibet, dolenter admodum conspicere cogimur, qua tandem ratione in quibusdam, etiam recentissimis casibus poenalis Iustitia administretur? Quid iuvat habitationis Nostrae ianuam non obserare, si nequaquam inde pedem efferre liceat, quin impiis odiosisque spectaculis assistamus; quin perditorum hominum, qui ad improbitatem ac perturbationem foven

fra cittadini? Che importa promettere delle guarentigie personali per gli alti Dignitari della Chiesa, quando essi sono obbligati fin anche ad occultare per le vie le insegne della loro dignità per non trovarsi esposti ad ogni genere di cattivo trattamento: quando i ministri di Dio e le cose più sacre sono oggetto di scherno e di ludibrio, cosicché non sia talvolta neppur conveniente eseguire in pubblico le cerimonie più auguste di nostra santa Religione: quando infine i sacri Pastori dell'Orbe cattolico, che sono obbligati di tempo in tempo di venire a Roma per dar conto degli affari delle loro Chiese, possono trovarsi esposti, senza alcuna reale guarentigia, agli stessi insulti e forse anche agli stessi pericoli?

« A nulla giova proclamare la libertà del Nostro pastorale Ministero, quando tutta la legislazione, anche in punti importantissimi, come sono i Sacramenti, trovasi in aperta opposizione coi principi fondamentali e leggi universali della Chiesa. A nulla giova riconoscere per legge l'autorità del

dam huc affluxerunt, Nos opprobriis obiiciamus: quin periculum subeamus conflictus inter cives, invito licet animo, ciendi? Quid iuvat personales pro summis Ecclesiae Magistratibus cautiones polliceri, si coguntur quoque propriae dignitatis insignia per vias occultare, ne cuivis pessimae tractationis generi obiiciantur; si Dei ministri ac perquam sacrae res irrisione ac ludibrio excipiuntur, ut quandoque ne deceat quidem augustiores sanctae nostrae Religionis caeremonias publice exsequi; si sacri denique catholici orbis Pastores, qui Romam debent identidem petere, de suarum Ecclesiarum negotiis rationem reddituri, possunt et ipsi, sine veraci ulla cautione, iisdem contumeliis iisdemque forsan esse periculis obnoxii?

Nil iuvat pastoralis Ministerii Nostri libertatem proclamare, quum legislatio tota, in maximi quoque momenti articulis, quemadmodum Sacramenta sunt, fundamentalibus principiis universalibusque Ecclesiae legibus aperte repugnat. Nil iuvat Supremi

supremo Gerarca, quando non si riconosce l'effetto degli atti da Lui emanati; quando gli stessi Vescovi da lui eletti non sono legalmente riconosciuti, e loro si proibisce con ingiustizia senza pari di usufruire del legittimo patrimonio delle loro Chiese e financo di entrare nelle loro case episcopali; cosicche sarebbero essi ridotti ad uno stato di totale abbandono, se quella carità dei fedeli che sostiene Noi, non ci fornisse, almen per ora, il modo di dividere con essi l'obolo del povero. In una parola: quale guarentigia potrebbe dare un Governo per l'osservanza delle sue promesse, quando la prima fra le leggi fondamentali dello Stato, non solo è calpestata impunemente da qualsivoglia cittadino, ma è resa nulla e frustranea dallo stesso Governo, che ad ogni passo ne elude, ora con leggi, ora con decreti, come meglio gli talenta, il rispetto e l'osservanza?

<< Tutto questo Le abbiamo esposto, Signor Cardinale, allo scopo precipuo ch'Ella voglia far conoscere ai Rappre

Hierarchiae auctoritatem pro lege habere, quum actorum ab eo manantium effectus nequaquam observatur; quum Episcopi ipsi, ab eo electi, haud legitime recipiuntur inauditaque iniuria prohibentur legitimo suarum Ecclesiarum patrimonio frui, atque ipsas quoque episcopales domos adire: ita ut ad extremam ipsi inopiam redigerentur, nisi quae Nos fidelium charitas alit, modum Nobis, huc usque saltem, suppeditasset, pauperis obolum cum ipsis partiendi. Verbo: quamnam de promissorum observatione cautionem offerre posset Gubernium, quum prima inter fundamentales ditionis leges, non modo impune a quovis cive pessundatur, verum nulla quoque et irrita a Gubernio ipso efficitur, quod, vel legibus, vel decretis, prout ipsi magis arridet, obsequium eius ac observantiam passim eludit?

Haec omnia tibi, Dilecte Fili Noster, ad eum praecipue finem declaravimus, ut ipse velis Guberniorum apud hanc Sanctam Sedem legatos lamentabilem edocere statum, ad quem cum

sentanti dei Governi accreditati presso questa S. Sede il lamentevole stato, cui pel nuovo ordine di cose Ci troviamo ridotti con tanto pregiudizio della causa cattolica; incaricandola a reclamare e protestare nel Nostro Pontificio Nome contro gli attentati commessi e quei che si minacciano, a danno non pure Nostro, ma di tutta la cattolicità. Interessati essi, quanto Noi, al riposo ed alla quiete delle coscienze, vorranno prendere in considerazione questa mancanza di libertà e d'indipendenza nell'esercizio del Nostro Apostolico ministero. Che se ogni fedele ha il diritto di domandare al proprio Governo di guarentirgli la sua libertà personale in fatto di religione, non lo ha meno per domandargli la guarentigia della libertà di Colui, che è per esso la guida, l'interprete della sua fede e della sua religione. Oltre di che è un vero interesse di tutti i Governi, sia che professino la cattolica religione, sia che no, di ridonare la pace ed il riposo alla grande famiglia cattolica, e di sostenere la Nostra reale indipendenza. Non possono

tanto catholicae causae detrimento ob novum rerum ordinem redacti sumus; tibi mandantes, ut Nostro Pontificio Nomine conqueraris ac protesteris adversus eos qui perpetrati sunt, quique impendent conatus, non in Nostrum modo, verum in totius quoque catholicae reipublicae detrimentum. Quum ipsis, aeque ac Nobis, conscientiarum quietis ac tranquillitatis cura incumbat, hanc certe libertatis ac independentiae in Apostolici Nostri ministerii exercitio deficentiam eos in pretio habituros confidimus. Quod si fidelium cuivis ius est a proprio Gubernio expostulandi, ut in religiosis rebus personalem ipsius libertatem tueatur ; haud sane minus illi ius competit cautionem efflagitandi pro Eius libertate, qui pro ipso ducis ac fidei religionisque interpretis munere fungitur. Quin immo Guberniorum omnium maximi interest, sive catholicam, sive alienam profiteantur religionem, ut ingenti catholicae familiae pacem quietemque restituant, utque veracem Nostram independentiam propugnent. Et re quidem

essi infatti disconoscere che, chiamati da Dio a difendere e sostenere i principî dell'eterna giustizia, loro incombe di difendere e proteggere una causa la più legittima di quante si conoscono sulla terra, sicuri, siccome esser lo debbono, che sostenendo i sacri diritti del Romano Pontificato, essi difendono e sostengono i propri. Nè potranno ad un tempo dimenticare che il Pontificato Romano ed il trono pontificio, lungi dall'essere un imbarazzo pel riposo e prosperità d'Europa o per la grandezza ed indipendenza d'Italia, fu sempre il vincolo d'unione fra popoli e principi, fu il centro comune di concordia e di pace; per l'Italia poi (convien pur dirlo) fu la vera sua grandezza, la tutela della sua indipendenza, la difesa costante ed il baluardo della sua libertà.

<<< Infine, siccome esservi non può migliore guarentigia per la Chiesa e pel suo Capo che la preghiera innalzata a Colui nelle cui mani sono poste le sorti dei regni e che con un suo cenno può sedare i flutti e calmare la tempesta, cosi

vera, haud ignorare Principes possunt, quod, in aeternae iustitiae principiorum defensionem ac tutelam vocatis, onus incumbit tuendi ac propugnandi causam cunctis, quotquot in terris reperiuntur, legitimiorem, quum certi sint, prout esse debent, quod, sacra Romani Pontificatus iura servantes, sua ipsi tuentur defenduntque. Nec simul poterunt oblivisci, Pontificatum Romanum thronumque pontificium, quin impedimento sit Europae quieti ac prosperitati, aut Italiae maiestati et independentiae, fuisse semper unionis populos inter ac principes vinculum, concordiae ac pacis centrum commune, Italiae autem (fatendum tamen est) verum fastigium, independentiae tutelam, praesidium constans, libertatisque eius propugnaculum.

Tandem, quoniam pro Ecclesia eiusque Capite nulla potest melior cautio reperiri, quam preces Illi profusae, in cuius manibus regnorum sortes sunt, quique nutu potest fluctus componere tempestatemque serenare; ideo Nos numquam intermittimus assi

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