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contro alle dottrine letterarie di Dante creduta del Machiavelli (1), che nondimeno nel 1527, fu seppellito ;-e senz'altro una descrizione della peste di Firenze in quell' anno abbellita di certo amorazzo in una chiesa, gli viene attribuita indegnamente, perchè era allora occupato di cure pubbliche; fu mandato commissario, e quasi appena tornato, ammalò a mezzo anno, e morì. Allo stile leccato parrebbe scrittura del Firenzuola. L'altra su la contesa della lingua affetta più che non ritrae i modi del Machiavelli; restò ignotissima per ducent' anni agli editori delle opere sue. Fu disotterrata dal Bottari, e aggiunta all' Ercolano del Varchi (2): ed è fattura, o m' inganno, del secolo XVIII, a contrapporre l'autorità di un grand'uomo ad un altro. Di questa e d'altre industrie, ad alcuni grammatici Fiorentini doveva forse rimordere la coscienza; ma niuno d'essi poteva, avrebbero mai voluto, annientare i manoscritti di Dante. L'esemplare latino fu ricuperato in

(1) Nelle Edizioni tutte degli ultimi cinquant'anni, e nelle serie Milan. de' classici, Op. Mach. vol. X. p. 364.

(2) Ediz. del Tartini, Firenze, 1730.

Padova da un Fiorentino, e stampato in Parigi da un Fiorentino, acciocchè l'originale rimasto solo ed unico dall' ingiuria del tempo, facendosi palese al mondo e comune, molti si chiarificassero che pure era il libro che scrisse Dante in prosa latina (1)". Adunque l'editore per originale intendeva il testo latino, e contrapponevalo alla versione Italiana che stava di fatto in sospetto d' apocrifa. Ben ei presumevalo uno di parecchi esemplari smarritisi; ma poteva egli presu

mere a un'ora che tutti fossero stati ricopiati da Dante, e che perciò quell'unico preservatosi dovesse pur essere autografo? E se non era, avrebbe egli a' grammatici Fiorentini importato di incenerire ogni qualunque carta tracciata dalla mano di Dante, affinchè dal confronto non si potesse appurare più mai se il trattato stampato intorno alla lingua fosse o non fosse quell' opera ch' era stata composta da esso? E s'era di mano dell' autore, il 'Corbinelli, antiquario per vocazione, non v'avrebbe egli riconosciuto la "lettera magra, lunga, e molto corretta (2)"

(1) CORBINELLI, Ediz. cit. pag. 84.

(2) LEONARDO ARETINO, Vita di D. pag. XVI.

o l'avrebbe egli taciuta? L' edizione fu dedicata ad Arrigo III, e forse che il codice è tuttavia da trovarsi nella biblioteca Reale a Parigi. E chi può dire che non esistano ancora in Toscana o in copia in originale le lettere addotte sì spesso dall'Aretino?

CLXIV. Ragguaglia accidenti senza ragione o numero o tempo, chi fantastica il come le carte vadano dimenticate e confuse

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appiattate e raminghe nel mondo. Nè per custodi nè per archivj verrà mai proveduto che molte non si dileguino. Il Doge Foscarini ne ha fatto prova in Venezia, dove nè commozioni popolari, nè conquista di forestieri, nè arbitrio di principi, hanno mai disordinato gli archivj; e nondimeno cercò senza frutto assai documenti, che pur dovevano esservi; ma non vi apparivano (1). Firenze invece dall' età del poeta al regno di Cosimo I Granduca, fu preda di democratici, d'aristocratici, di dittatori, di Papi, di Cardinali, di frati, e tiranni legittimi e bastardi, così che per disperazione crearono Cristo Gonfaloniere perpetuo del popolo (2); e tutti (1) FOSCARINI, Lett. Ven. spesso. (2) SEGNI, Vita di Nicolò Capponi.

manomettevano ogni cosa pubblica, e s' insignorivano d'ogni scrittura (1). Poscia Cosimo I, e gli Spagnuoli suoi padroni, non so se abolissero ogni documento che potesse mai ricordare la libertà, ma di certo facevano ardere quanti libri potevano nuocere alla memoria de' Medici (2) Stipendiavano storici che risiedevano negli archivj, donde forse più d' uno arricchiva il suo museo privato di carte preziose a' posteri; e n'ho agli occhi taluno→ ipse appellat, studium; amici ejus, morbum et insaniam; alii latrocinium. Comunque si fosse, non v'era da ritrovare di Dante più che le lettere. Chi disse mai, o poteva mai dire d'avere veduti in Firenze gli autografi d'una sola delle opere sue? Questo è innegabile, che quantunque le prime copie della commedia non uscissero fra' Fiorentini; e le prime, e le altre sino a' di nostri scendessero tutte dal testo procacciato da' figli sovra gli originali del padre, non uno de' mille e più codici Romagnuoli, Lombardi, e Toscani, e

(1) Davanzati, Oraz. in morte di Cosimo I. pag. 192. Ed. Mil.

(2) Discorso sul Testo del Decamerone, pag. XCIII— XCIV. Ed. Pickering.

quindi niuna edizione di stampatori preservò il titolo decretato dall'autore-Libri titulus est,

INCIPIT COMOEDIA

DANTIS ALLAGHERII
FLORENTINI NATIONE

NON MORIBUS (1).

Da questa mutilazione antichissima esce un indizio che l'autografo non fu compilato puntualmente. L'iscrizione in fronte alla dedicatoria del Paradiso non è diversa; e verosimilmente non meno infami a' suoi concittadini leggevansi le due lettere intitolate, l'una al principe de' ghibellini Toscani, e l'altra a Morello, o com'io presumo, a Spinetta de' Malaspina (2); e vennero occultate dopo la morte di Dante, sì che forse il Boccaccio non ne udì che la tradizione. Anche la sola della quale ei palesa d' avere fatto uso, arrivò, non pure scompagnata dall' opera alla quale pur era autentica prefazione, ma nè più mai rammentata sino verso la fine del secolo XVII (3). Fu stampata dal Zeno (4)-sopra

(1) Dedic. a Cane della Scala, pag. 470.

(2) Vedi vol. I, sez. LXXXIV. pag. 220-221. 8EZ. LXXXVIII. pag. 233–234.

(3) Mazzoni, Difesa di Dante, pag. 74. Cesena, 1688. (4) GALLERIA DI MINERYA, vol. III, Venezia, 1700.

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