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CAPITOLO SECONDO.

Due modi di concepire sono sostanziali e congeniti alla mente: secondo che essa, nell'atto d'intendere, avverta le relazioni di analogia, o differenza, fra l'attuale e le idee preesistenti.- Cotale avvertenza, tradotta nei movimenti vocali, per necessarie quanto arcane corrispondenze fra gli organi del pensiero e della parola, mentre dà inizio e forma all'umano sapere, dà inizio e forma del pari ad ogni lingua e a tutte le arti espressive. E come a' due modi di concepire, distinti ma inseparabili in ogni operazione mentale, rispondono due forme logiche, la sintetica e l'analitica, così a' due modi di esprimere due forme filologiche corrispondono, l'assimilatrice, che dicesi figurata, e la differenziante, che dicesi propria.

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Certo, voler separare, con un taglio riciso e assoluto, quelle due forme di pensiero e di espressione, le quali nel fatto necessariamente si compenetrano e s'influiscono, sarebbe disconoscere la natura del pensiero e degli elementi in cui consta e si estrinseca. Ma non è per questo men vero che, senza essere niuno di quei due modi

Chiamo qui e altrove arti espressive quelle che volgarmente son dette arti imitative. Chi voglia vederne il perchè, lo troverà nel mio Saggio DELLA IMITAZIONE DELLA NATURA E DEL VERO NELL'ARTE. FIRENZE BARBERA 1855.

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esclusivo, può l'uno prevalere sull'altro, sì che dia forma e indole speciale al concepire ed esprimere d'un individuo, d'un popolo, d'un dato periodo di civiltà.

Prevalente fuor di misura la facoltà sintetica assimilatrice, la mente umana spazia sfrenata pe' campi delle ipotesi, e il suo ideare ed esprimere assumono forma mitica ed allegorica. Prevalente fuor di misura la differenziante e analitica, la mente ingrettisce nelle angustie d'una ragion dissolvente, inetta a comporre larghi e fecondi concetti, com'è proprio di alcune razze, la chinese su tutte, o di popoli caduti nella raffinata barbarie di un egoismo scettico e dissociante.

Senonchè la prima a svilupparsi nell'individuo, come nelle nazioni, è la facoltà sintetica: la quale, non controbilanciata abbastanza da quella del distinguere, informa, nel primo prodursi d'ogni civiltà, lingua, religione, poesia, e tutte le arti rivelatrici dell' umano pensiero.

Questa necessità, per la quale ogni primitivo incivilimento, singolarmente presso le razze indo-europee, si produsse sotto forma mitica e simbolica, non mancò di riapparire e imperare nell'inizio della rinnovata società del medio evo; con questo di singolare e di più: che, non solo prevalse come fenomeno proprio d'ogni civiltà incipiente, ma ed altresì perchè quel tanto che la scaduta civiltà romana aveva di sè trasmesso alla nuova, sia nelle tradizioni, sia ne' precetti, venne pur cospirando a dare impero quasi esclusivo ad essa forma simbolica.

E di questa influenza speciale giova esporre brevemente le cause: per le quali vedremo come e perchè l'ar

tificio estetico, le idee, gli affetti e le mire della letteratura greco-romana vennero a tramutarsi in quelli che furono vita ed anima della occidentale cristiana a tutto il secolo XIV; e come si operò quella immensa e graduale trasformazione, per cui, da una civiltà in cima alla quale stava un Virgilio, si venne a quella in cima alla quale sta un Dante.

Puerile, quanto facile, è quel sistema che, trinciando in modo assoluto le epoche della storia d'un popolo, crede pienamente poterne esporre un periodo senza studiare i legami d'origine e d'indole che quello ha co' periodi anteriori: legami di continuità progressiva, che nel fatto rannodano ogni generazione colle passate e colle future, e che per lo storico non meno che per l'uomo politico, è insipienza sconoscere, o rompere.

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La superficialità, schiva di forti studì, e un interesse di fazion clericale si sono più volte accordati a diffondere il falso concetto che quasi niun vincolo di progressiva tradizione rannodi alla società greco-romana quella che emerse dalla conquista barbarica e dal cristianesimo; e che le dottrine, le arti, le istituzioni, le lingue, e tutto quanto ne costituisce l' indole speciale, siano stati com'alba repente succeduta a lunga e scurissima notte. Hanno disconosciuto così quel lento progressivo e inavvertito lavoro, per cui, nel mondo morale come nel fisico, la trasformazione assume apparenza e nome di produzione istantanea.

E pure egli è nello studio di coteste transizioni lente, inavvertibili ad occhio volgare, che si posson cogliere i sicuri criterî d'ogni fatto sociale, desumere i non superficiali concetti, e scoprire le leggi che governano la storia dell'umano incivilimento.

Sin da quando il naturale e spontaneo progresso della italica e greca filosofia rese a' più eletti ingegni del mondo antico, nonchè possibile, necessario innalzarsi alle verità del monoteismo - come fu della Scuola Pitagorica e della Socratica-mal potendo più reggere il politeismo nella sua primitiva rudezza, fu sentito il bisogno di accomodarlo, per quanto a razze non semitiche era possibile, alla dottrina monoteistica. Da ciò la progressiva prevalenza del canone ermeneutico che partiva la scienza in volgare e riposta: mercè cui fu fatto supporre, che quei miti, i quali nel fatto erano stati necessaria e spontanea forma del primitivo svolgersi della intelligenza fra' Greci, fossero invece artificioso trovato di tesmofori e reggitori di popoli, per adombrare, e rendere plasticamente accessibili al volgo, le riposte verità d'un'arcana scienza naturale e morale. 1

Siffatta condizione de'. gentili filosofi rispetto al politeismo così più tardi riassunse, e derise, il Voltaire del paganesimo, Luciano :

« Dacchè fa dire a Giove dal suo seggio d'Olimpo dacchè la filosofia e le quistioni di parole vennero crescendo tanto laggiù, io debbo o starmi per necessità cogli orecchi turati, o lasciarmi assordare da quelle mal cucite filastrocche di certe loro cose incorporee che vanno ad alta voce predicando. » 2

1 Platone nel Gorgia.

Eusebio Praep. evang. lib. IV

de doctrina veritatis non omnibus ostendenda. Ales. ad Aristotile in Aulo Gellio, lib. XX c. 4.

Epist. di

2 Dialogo di Timone, o il Misantropo. Cf. lo stesso nel Dialogo della Vendita all'incanto delle Vile de' Filosofi, ove deride Aristotile per la sua duplice dottrina exoterica ed acroamatica.

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Or questa tendenza a dimostrare i miti gentili come premeditato velame d'una recondita filosofia, se ne' due secoli anteriori al Cristianesimo ebbe, per solo impulso delle scuole pitagorica ed academica, eloquenti e dotti interpreti in Lucrezio, Varrone, e Marco Tullio, tanto più caldi e frequénti ne venne trovando ne' primi tempi della lotta che s'impegnò fra il politeismo ed il cristianesimo. Da un lato il desiderio di scusare la cadente religione dalle accuse di materialismo e immoralità, di cui l'addebitava la polemica cristiana, portava i filosofi a cercare un sistema di esegèsi allegorica, mercè cui potere additare ne' lor vecchi miti non ispregevoli intendimenti filosofici; dall' altro lato la polemica cristiana, che ne' primi impeti della lotta avea deriso come intempestivo e puerile stratagemma quell'artificio de' suoi avversarî, fatta meglio accorta più tardi, e con più sagace consiglio, seppe trarne nuovi argomenti a suo pro; e per una di quelle transazioni non infrequenti, anzi

1 T. Lucr. de rer. nat. - Varrone de nat. theol. in Agost. de Civ. Dei, lib. VIII, cap. 6. —M. T. Cicer. de nat. deor. « Cum fabulas suas, ut aliquo modo commendent, ad nescio quas phisiologias vel theologias, interpretando referre conentur. » Agost. contra Faustum, lib. XII, c. 40.

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2 S. Paolo a' Col. 2, 8. a' Rom. I, 21, 25. Agostino Ep. CII, quaest. 3, 20.-Id. de cons. evang. I, c. 23, ediz. Maur. « Neque illinc excusant impii sua sacrilega sacra et simulacra, quod eleganter interpretantur quid quaeque significent. Quid sibi autem vult ista, non poetica, sed plane mimica varietas, deos secundum philosophos in libris quaerere, secundum poetas in templis adorare ? » Cf. Plotino, Proclo, Porfirio, Macrobio, e tutti i neoplatonici.

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