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CAPITOLO OTTAVO.

Nel terzo secolo dell'èra volgare il mondo romano agitavasi più che mai nel dubbio di tutte le sue antiche credenze. Travagliato dal più profondo scetticismo, e prima che racquistasse, col predominio universale della religion cristiana, quella unità di consenso morale e intellettuale che sol essa oramai potea dargli, faceva ogni sforzo per puntellare e raffazzonare il crollante edificio del politeismo.

Fu in questo momento solenne che le più strane superstizioni, fondate su' terrori di tutte le religioni, credute e discredute ad un tempo, commovevano gli spiriti de' dotti e rendevan possibili i più assurdi sistemi di teurgia filosofica.

Da quell'Affrica istessa, donde un secolo appresso doveva uscire quel gran luminare della Chiesa che fu S. Agostino, veniva a Roma il capo scuola de' neoplatonici dell'Occidente, il discepolo del mistico Alessandrino Ammonio, Plotino.

Mente strana, quanto elevata, esso solo riassume in sè stesso quella condizione intellettuale e morale di tutto il suo secolo, anelante a certezza, ma perplesso e intricato in un viluppo di dottrine contradicenti.

Trovava quì diffuse fra' dotti le antiche tradizioni della scuola italica, la dottrina della Monade di Pitagora, nata da Dio, creatrice e contenente in sè tutte le specie uni

versali, la credenza della Minerva del politeismo uscita dal capo di Giove, il platonismo sì splendidamente illustrato da Cicerone, gli eruditi comentarî di Plutarco sulla Intelligenza prima ordinatrice del tutto, e le secondarie intelligenze, o demoni, anello di congiunzione fra il mondo finito e l'infinito; ec.

Fondendo in uno tutti cotesti elementi col misticismo alessandrino, davasi a tentare nell' Occidente quel che avanti l'èra volgare tentato aveano nell'Oriente gli Ebrei grecizzanti, e i primi platonici. Sperò, sulle rovine del politeismo, fondare una religione monoteistica, di cui la Intelligenza, una in sè e partecipata dagli uomini, fosse la base, ed unico culto l'estasi contemplativa.

Ma, per quanto si affaticasse a contrapporre alla religione cristiana una teosofia puramente metafisica e astratta, riuscirono a nulla i suoi sforzi oltre la cerchia di quei vecchi senatori romani, di que', potenti intesi a professare qualunque credenza che non fosse la nuova, surta a proclamare la naturale eguaglianza degli uomini. Invano i suoi allievi e seguaci ostentavano alla venerazione delle moltitudini le estasi contemplative del maestro, e davano come imitabile esempio que' patrizî che, lasciate tutte cure civili, si davano al culto di siffatte intellettuali delizie.

La parola di che erano assetate le genti, quella destinata al trionfo, non poteva essere che riformatrice e sociale, non quella che sol promettesse le ardue voluttà d'una romita e insocievole contemplazione.

Allorchè infatti S. Giovanni Crisostomo avea deriso i primi platonici della inefficacia morale di loro dottrine, dicendo Platone, ito tre volte in Sicilia, con quella

sua tanta fama e albagia di parola, non valse a vincere un solo tiranno, toccava con mano maestra le necessità pratiche e sociali che invocarono riparatrice l'opera del cristianesimo.

Ben poteva pertanto la chiesa cristiana vulnerare con tutta ragione da questo lato le dottrine puramente filosofiche. Ma trapassava i termini del vero e del giusto allorchè disconosceva l'opera di preparazione e sussidio che nell'ordine speculativo e morale quelle aveano prestato e prestavano.

Toccai, benchè a cenno fugace, -e in altra occasione ci tornerò quanto riferiscesi a questo argomento per le età precedenti l'êra volgare.

Per l'età posteriore brevemente or dirò come suprema fosse la influenza che la dottrina peripatetica e alessandrina della Intelligenza attiva, o Sapienza, esercitò sul più facile diffondersi della parte metafisica e psicologica del cristianesimo: nè parmi esagerare dicendo, che se i più elevati fra' dotti del mondo greco-romano vennero in tanto e sì eletto numero a ingrossare le schiere dei seguaci della nuova religione, nulla, nell'ordine umano, valse ad operare sovr'essi con più pronta e sicura effi· cacia quanto l'accennata dottrina, in quanto riconosceva un principio assoluto ed unico per inerenza a Dio, contingente e moltiplice per temporanea partecipazione degli uomini.

Odasi infatti come Sant' Agostino riconfermi questo concetto :

« Dice quel grande platonico (Plotino) l'anima razio« nale... non avere sopra sè altra natura che quella di « Dio, dal quale essa, (nonchè il mondo) è creata; nè

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<< da altro, egli aggiunge, derivare a' celesti la vita beata «<e la luce dell'intelletto che di là donde deriva a noi «< pure, consuonando in questo coll'evangelio, ove di«ce: Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Io«annes; hic venit in testimonium, ut testimonium pe« rhiberet de lumine, ut omnes crederent per eum. Non « erat ille lumen, sed ut testimonium perhiberet de lu« mine. Erat lumen verum quod illuminat omnem « hominem venientem in hunc mundum: nella qual dif<«<ferenza-segue a dire Sant'Agostino-apertamente vien << dimostrato come l'anima intellettuale, qual' era in Gio<< vanni, non potesse dar luce a se stessa; ma solo per << la partecipazione d'altro vero lume splendesse. La qual «< cosa confessa lo stesso Giovanni nel rendere a quello << testimonianza, dicendo: non omnes de plenitudine « ejus accepimus. »

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E altrove così torna sullo stesso argomento:

<< Arrossirono i più recenti platonici filosofi, vissuti nei << tempi cristiani, e si sono sforzati interpretare altri<< menti Saturno, dicendolo chiamato xpóvo dalla sa« zietà d'intelletto, perchè xopos in greco vuol dire sa<«<zietà, e vous intelletto, o mente. Al che risponde an«< che il nome latino, Satur-nus, quasi composto per la « prima parte di latino, e per la seconda di greco, come « si dicesse SATUR (sazio) vous (mente).

« Nè costoro pongono in dubbio la impossibilità che << alcuna anima razionale sia sapiente senza partecipare <«< a quella incommutabile sapienza... E noi pure esistere << una suprema sapienza divina, cui solo partecipando

1 De Civil Dei lib. X, c. 2.—Cf. id. contra Academ. lib. III, c. 17, n. 37.-Confes. lib. VII, c. 9

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