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i Concilì che la dannarono, le persecuzioni che provoco. Nè sarebbe senza interesse mostrare come, per quella innovazione, venisse nel medio evo a rappresentare l'Averroes una duplice parte che oggi parrebbe inconciliabile: quella cioè di personificazione dell' ateismo, pur serbando inalterato l'impero sulle scuole cattoliche qual venerato interprete di Aristotile. Sulla qual duplice parte l'illustre storico dell'Averroismo notò :

<< In generale il medio evo non facevasi scrupolo di chiedere lezioni di filosofia da coloro che la sua fede l'obbligava a dannare. La separazione profonda stabilita tra filosofia e rivelazione permetteva si credesse che de' pagani avessero potuto sorpassare i cristiani in lumi naturali. Lo storico non deve maggiormente sorprendersi di vedere vescovi, e fors❜anco un papa, uscire dalla Scuola di Toledo di quel che l'archeologo non si sorprenda allorchè trova ne' tesori del medio evo ornamenti ecclesiastici fatti di arabe stoffe, e coverti di sentenze del Corano. »> 1

Ma per lo scopo cui miro basterà nel seguente capitolo accennare gli argomenti con cui la Scuola di Alberto Magno e S. Tommaso confutò quella innovazione; il modo onde cotesta scuola riprese e formulò l'antichissima tesi aristotelica del duplice intelletto; quali sviluppi e comenti dietro alla scorta di que' due maestri l'Alighieri v'aggiunse; onde, integrati così gli elementi alla soluzione del problema che proposi nel capitolo settimo, possa poi farmi a risolverlo.

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CAPITOLO DECIMO

Alberto magno (1193-1280) nello esporre la dottrina di Averroes, attribuendone la priorità ad Ibn-Bagia ed Ibn-Tofail, nega ricisamente che la individualità distinta delle anime intellettive dipenda dal fatto contingente dello intelletto acquisito; e torna a limitarsi all'antica distinzione d'intelletto possibile, individuale e moltiplice, e d'intelligenza attiva, universale ed unica.

Per isfuggire all'argomento contrario di Averroes quello cioè che dall' ammettere tanti intelletti possibili quanti uomini deriverebbe l'assurdo che la idea, una in sè stessa, si farebbe multipla negli individui, ecco la somma de' ragionamenti che fa:

<< Tra gli Arabi Avempace e Abubaker definirono lo intelletto possibile una sostanza universale, comune, tutta in tutti, e non individuata in alcuno; e, per dare ragione della distinzione intellettiva fra gli uomini, ima ginarono fra quello e la intelligenza attiva certe nuove e inammissibili distinzioni. I latini (gli scolastici) sono caduti nell'eccesso contrario, individuando siffattamente l'intelletto che dovrebbero professare il principio della subiettività d'ogni idea universale, e d'ogni scienza.

<< Certo, l'intelletto possibile è, sotto un riguardo, universale, uno in tutti; nè conosce gli intelligibili come individuo, giacchè ogni intelligibile è universale, co

mune a tutte le menti, e solo l'universale è capace di ricevere gli universali.

« Certo è pure ch'esso non è corpo, nè inerente a corpo; ma non per questo è una sostanza stante da sè. È bensì la energia d'un'altra sostanza, dell'anima: nella quale viene dal primo motore infuso ed aggiunto allorchè essa -anima è conceduta a un dato corpo come sua entelechia (principio informatore). Allora si individua in essa, con essa; e, benchè non assuma organo corporeo, si pone in rapporto colle facoltà sensibili dell'anima; e, quando questa si divide dal corpo, cessano in essa, è vero, le energie o facoltà sensibili, ma non cessa quella dello intelletto possibile. » 1

Tutto cotesto ragionamento, che udiremo tra poco ripetere l'Alighieri nella Commedia, è, senza dubbio, 0scuro ed ambiguo: ma era quanto di meglio potesse produrre l'eclettismo domenicano per sottrarsi all'ultima conseguenza delle premesse peripatetiche, dalle quali Averroes avea dedotto la caducità delle anime.

Pressochè uguali argomenti che questi del suo maestro addusse S. Tommaso per sostenere la moltiplicità dell' intelletto possibile, e la sua inerenza costante all'uomo, escludendo la tesi arabica che poneva a principio di distinta individualità la contingente attuazione di quello:

« Poichè il fanciullo è intelligente virtualmente, benchè in atto non intenda, ne consegue essere in lui alcuna potenza per la quale sia capace d'intendere. Que

1 Alb. M. in Arist. de Anima, lib. 3, Comment.—De unitale intellectus contra Averrhoem.

sta potenza è l'intelletto possibile. Di che consegue che l'intelletto possibile sia già congiunto col fanciullo anche prima che esso intenda di fatto. Adunque la inerenza dell' intelletto possibile all'uomo non accade per l'atto dell'intendere (per formam intellectam in actu), ma quello aderisce all'uomo sin dal principio siccome un altro lui stesso... Da tutto ciò vedesi chiaro non un solo essere l'intelletto possibile di tutti gli uomini, che sono, che saranno, e che furono, come Averroes suppone nel 3° de Anima... E sì è manifesto che l'anima intellettuale, secondo il suo essere, uniscesi al corpo come sua forma; e nondimeno, distrutto il corpo, resta anima intellettuale nell'esser suo. » 1

Ciò che la Scuola domenicana intese veramente a combattere non è dunque, com'è parso a taluno, la unicità dell'intelligenza attiva; bensì ed esclusivamente la unicità dell' intelletto possibile sostenuta da Averroes. Da questa differenza in fuori, che mirava a salvare il domma della immortalità delle anime individuali, Alberto magno e i suoi discepoli, non solo sono concordi coll'arabo comentatore nell'ammettere la esistenza obiettiva ed impersonale d'unica intelligenza rischiaratrice di tutte le menti, ma ripetono intorno a quella, ed alla sua unione coll'uomo, tutto quanto da colui stesso, e da' suoi predecessori musulmani ed alessandrini, era stato fantasticato su tale argomento.

Altrove accennai le dottrine ideologiche della scuola Albertina o Tomista. ? Giovi qui riassumerle in breve:

1 Pars prima Summae. Quaest. 76. — Contra Genl. I, 2. 2 Cap. 7, pag. 127 e seg.

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