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necessarie, fra le scuole religiose e le filosofiche, fu dall'una e l'altra parte assentito da ultimo che tutte le greco-romane credenze fossero fondate sopra un vasto sistema simbolico, ordito da recondita sapienza per adombrare le verità del monoteismo e della schietta morale, difficilmente con pure astrazioni accessibili al volgo; che depositarî di quegli arcani fossero stati sacerdoti e filosofi, i quali, per consiglio d'alta prudenza, aveano negato darne la chiave a' volgari.

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« L'oro e l'argento de' filosofi - così S. Agostino, dietro a lui quasi tutti gli scrittori del medio evo non essi fecero, ma sì trassero da' comuni, per dir così, metalli della divina provvidenza, che ovunque è diffusa; la qual cosa fu in questo prefigurata, che i vasi e gli ornamenti d'oro e d'argento fatti dagli Egizî, e le lor suppellettili, il popolo ebreo s'appropriava ad uso migliore nell'uscire d'Egitto. Così le dottrine e le liberali discipline de' Gentili contengono utilissimi precetti ad uso della verità e de' costumi, ed assai cose per la stessa adorazione di Dio si trovano presso a loro. » E il frate Rogero Bacone, comentando quel passo nel dodicesimo secolo, soggiungeva : « Nulla il volgo può proseguire di perfetto, senza traviare nell'opera e nella speculazione.... E però i sapienti, benchè ne' loro scritti ponessero le radici degli arcani di sapienza, nè i rami nè i frutti diedero al volgo, ma o, tacendo, li omisero, o li occultarono sotto miti. >>

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Rogero pars

1 Agostino de doctrina christ. lib. II. c. 60. 61 Bacone Opus majus, pars secunda c. III. Cf. Id. ib. prima c. IV. Clemente Alessandrino Strom. lib. VI. passim.

Le influenze di questo sistema esegetico, applicato a tutte le opere e le tradizioni degli antichi, furono, assai più che le invasioni barbariche, la principale cagione per cui si venne nel medio evo sempre più perdendo la genuina intelligenza della greco-romana civiltà. Fu per esso che i capolavori della latina letteratura perdettero, o ebbero tramutata, ogni estetica influenza; e ne emergeva quel carattere tutto proprio alle arti del bello ne' tempi mezzani, che si rivela e si riassume in quel misto di cristiano e pagano che par sì grottetesco oggidì, ma che pure esprime sì al vivo, a chi vuole e sa leggervi, la transazione di due forme di civiltà, che lungamente aveano lottato per distruggersi a vicenda, ma invano. 1

Impreteribile conseguenza di quel sistema fu la quasi incredibile trasformazione di valore ideale ed estetico che per gli uomini del medio evo assunsero gli autori classici, Virgilio ed Ovidio su tutti.

A' Grammatici, vissuti dall'età d'Augusto a quella di Onorio quasi insetti brulicanti sul tesoro della latina sapienza a cogliervi minuzie filologiche, uno sciame d'interpreti succedeva, sforzantisi di trovarvi la sanzione

1 Chi voglia una idea di questa trasformazione e compromesso che appare nei monumenti dell'arte del medio evo potrà consultare GUIGNIAUT Religions de l'antiquité etc. Paris 1825-1851. t. III. pag. 774. et 1205. t. IV. pag. 908 e segu. - Cf. KüGLER Manuale dell'Arte. - Immensa copia di questi simboli eclettici delle due civiltà trovasi in quel miracolo dell'arte che è il chiostro annesso al Monistero dei Benedettini di Monreale.

precisa delle dottrine che venivano prevalendo. Un nuovo genere di rapsodi, detti Centonisti, spigolando versi e frasi da tutti i classici, e commettendoli con industria da' mosaicisti, si sforzavano esprimere qualsiasi fatto o concetto delle nuove religiose credenze. E sin da quando una matrona romana, Faltonia Proba, ebbe loro mostrato come i versi virgiliani si potessero costringere a cantare nientemeno che tutti i fatti e i precetti dell'antico Testamento e del nuovo, Centonisti e Grammatici quel che la esegèsi cristiana operava sui libri e le tradizioni giudaiche, si provarono a ripetere su' poeti latini.'

Nè furon contenti finchè non venissero a questo, cioè: che non un solo de' fatti biblici, non una delle credenze cristiane, e più tardi finanche delle dottrine scolastiche, mancasse della anticipata sanzione de' poeti greci e latini.

Per quanto strano e incredibile possa a noi parer quell'intento, non cessò mai d'essere l'ideale della esegèsi classica dall'età di Teodorico a tutto il secolo XIV. Pieni la mente del preconcetto attinto in Clemente Alessandrino, in Eusebio, in S. Agostino, e in tutti i primitivi scrittori cristiani, che la storia civile e intellettuale sì degli Ebrei che de' Gentili o la Legge e la Filosofia, come compendiosamente dicevano fossero diretta e prestabilita preparazione de' tempi cristiani, vollero trovare, nonchè ne' classici, in ogni fatto della

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Pe' Centonisti, e Faltonia Proba in ispecie, si veda Fabricio Bibliotheca latina tom. 1. cap. 12. Tiraboschi St. lell. ital. t. 2. lib. IV. c. IV. § 10.

storia greco-romana, l'allusione o la imagine prenunziatrice delle dottrine e de' fatti de' nuovi tempi.

Primo Virgilio, dal quale anche i più antichi sacri dottori aveano attinto citazioni poco meno che dalla Bibbia, e di cui s. Agostino avea detto che « per la sua bocca parlò la stessa Verità, » subì questo lavoro di profonda trasformazione. Indi Ovidio, Orazio, Giovenale, Lucano e Stazio ebbero ugual sorte. E giunse a tale il delirio che, coartando tempi, luoghi, storia, e tutto, si volle un assoluto parallelismo fra le due civiltà: onde, a modo d' esempio, nella età d'oro Saturnia fu visto adombrato l'Eden biblico; in Saturno, cacciato ed esule dall'Olimpo, la caduta e l'esilio di Adamo; in Cecrope, primo istitutore di sacrifici accetti agli Dei, e fondatore d'Atene, Abele, offerente graditi olocausti, e fondatore della celeste città peregrinante quaggiù; in Deucalione ricovratosi dal diluvio su' monti, Noè liberato sull'arca; ne' Giganti a Flegra, Nemrot e i suoi compagni a Babele; in Ajace che ferisce Venere all'assedio di Troja, Giacobbe che lotta coll'angelo di Dio, donde il suo nome di Israel; nella moglie di Orfeo, che si volge a' luoghi infernali, la moglie di Lot che si volge alle rovine di Sodoma. Che più! Troja, incesa e disfatta, giunse a rappresentare l'Egitto flagellato dall'ira divina, e la sua oste sommersa nelle frementi onde dell' Eritreo. Enea e i suoi compagni, vaganti in cerca d'Italia e predestinati a fondare l'eterna Città, Moisè col popolo ebreo, vaganti pel deserto in cerca della terra promessa, predestinati fondatori della sacra Sionne: e, via via, sempre più di tal passo, con estensione sì progressiva e sì varia, che riuscirebbe infinito, nonchè addurre, accennarne le prove.

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Singolare esempio, fra gli altri, di questo puerile parallelismo è un documento serbatoci dal Goldasto nel suo Manuale biblico. Un tal Teodulo, Vescovo, probabilmente vissuto nel secolo X di più non saprei dire di lui scriveva un' egloga in brutti versi leonini, nella quale sono interlocutori una pastorella simbolica, Alethia (Verità); un pastore, coperto da variopinta pelle di lonza, Pseusti (Menzogna); e la sorella di Alethia, Fronèsi (Discrezione) che, giusta ugual simbolo usato da Marziano Capella, era madre della Filologia.

I primi due, la Verità e la Menzogna, vengono a gara di canto fra loro, giudice la Discrezione filologica. Alternando, come Fronèsi comanda, la tetrade, o il sacro quadernario di Pitagora, espongono a vicenda, e seguendo il più stretto parallelismo, i miti del politeismo e le imagini o i fatti corrispondenti de' libri biblici. E questa sfida, durante la quale il sole sospende il suo corso, si termina colla concordia de' due contendenti, fra' quali mette pace Fronèsi: con che manifestamente il poeta vescovo intese a mostrare come la discrezione critica, applicata alle tradizioni pagane, potesse trarne, per via sincretica, uguali intendimenti che quelli della verità cristiana.

E già sin dal quinto secolo poteva dirsi completamente operata la fusione dei due cozzanti elementi. Non era infatti biblioteca di laici, o religiosi, dove, come ci attesta Sidonio, non si trovasse accanto a Varrone Agostino, ad Orazio Prudenzio; non uomo che grandeggiasse nella Chiesa o nel Foro che non si pregiasse di maneggiare ugualmente, a suo modo, la lira d'Orazio e quella di David. Claudiano Mamerto, Sinesio, Prospero Tiro,

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