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massima beatitudine contemplativa, mira nel fatto a trovare quella sintesi suprema che sia principio e fine ad un tempo di tutta l'Umanità, e però tipo normale che la guidi all' adempimento de' proprî destini. È per questo che d'ogni ammaestramento, visione, o vaticinio, che gli son conceduti lungo il viaggio, universale è sempre lo scopo onde prega gli si additino le cagioni sì ch' ei le vegga e ch'ei le mostri altrui. Però, sin dal primo istante che la beatrice intraprende a guidarlo dalla cima del monte alla progressiva ascensione pe' cieli, gl'impone: « Tu nota, e sì come da me son por— sì te queste parole, si le insegna a' vivi del vivere ch'è un correre alla morte. » « In pro del mondo che mal vive · quel che vedi ritornato di là, fa che tu scrive. » E indi nel Paradiso gli vien sempre rammentato che gli è conceduto vedere per pubblica utilità. « E tu figliuol, che per lo mortal pondo ancor giù tornerai, apri la bocca e non nasconder quel ch'io

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Allorchè nel deserto Virgilio gli promette la triplice visione, il poeta, dubitando, si arresta. - << Furono è vero, egli dice, levati a contemplazione siffatta Enea, e poi San Paolo: ma quella fu conceduta ad Enea perchè servissegli alla fondazione dell'Impero romano, cui era predestinato; ed a San Paolo perchè ne afforzasse la nascente religion cristiana. Ma con qual fine sarebbe a me conceduto elevarmi a contemplazione siffatta? Di tanto non io stesso, nè gli altri, me crederebbero degno. »

Parole cotali a che altro intender potevano se non a mostrare che, non egoistico, ma universale, e non

meno eccelso del fondare l'Impero, e confortare la Fede nascente, esser doveva lo scopo della sua mistica contemplazione?

Qual fosse cotesto scopo, e come inerente al concetto istesso della beatrice, è ciò che mi resta a chiarire.

CAPITOLO DECIMOTERZO

Per tutta la Divina Commedia scopo del viaggio ideale immediato almeno vien quasi sempre indicato dall'Alighieri il ricongiungersi alla beatrice, il disbramare in essa la sete degli occhi che da dieci anni più non la videro :

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Che per vederti ha mossi passi tanti. » 1 —
«Tanto cran gli occhi mici fissi ed attenti
A disbramarsi la decenne sele,

Che gli altri sensi m'eran tulli spenti. » 2

Tutto ciò, scevro d'imagini, sappiamo oramai cosa importi : « attuare nella speculazione, com'egli stesso ci disse (pag. 193), la nostra nobilissima parte, l'intelletto; godere la dolcezza della luce che su quello irradia la Intelligenza attiva, o Sapienza. »

Ma nel Volgare Eloquio, scritto negli ultimi anni di sua vita, accennando quali più alti argomenti fossero stati trattati dagli illustri poeti delle lingue volgari, d'oc, d'oil, e di sì, dice che, dov'altri cantò in quelle le Ar

1 Purg. c. XXXI.

2 lb. c. XXXII.

mi, o l'Amore, esso cantato aveva la Rettitudine: « illustres viros invenimus poetasse, scilicet Bertramum de Bornio ARMA;... Cinum Pistoriensem AMOREM; Amicum ejus (Dante) RECTITUDINEM. »

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Or come mai, cantando l'attuarsi del suo intelletto nella contemplazione, mercè l'ajuto della Intelligenza attiva, cantava la Rettitudine?

Averroes ci risponde per lui :

«L'intelletto nostro attuato altro non è, che la comprensione dell'ordine e della rettitudine esistenti nell'Universo e in ogni sua parte (comprehensio ordinis et rectitudinis existentis in hoc mundo et in qualibet ejus parte). « Altro pertanto non è la Intelligenza attivante questo nostro intelletto, che la comprensione di tale ordine e rettitudine. » 2

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egli segue

-

<< La Intelligenza separata è quella che influisce negli esseri l'ordine e la proporzione... Però quella, intendendo sè stessa, intende gli esseri tutti. >> 3

<< La Intelligenza non muove che al Retto nisi ad RECTUM tantum. »

4

Queste idee non solo leggeva l'Alighieri in Averroes e negli Scolastici, ma e ne' mistici ancora, e ne' Libri Sapienziali: ed esse sole valgono più che mille comenti a chiarire come i due modi di accennare lo scopo ch'ei si prefisse si risolvano in uno; e come cantare la In

1 Lib. II, cap. 2.

2 Epit. in Metaph. tract. IV, car: 396 r.°

3 Destruct. destr. Disput. XI, car. 267 v.o- Cf. qui sopra a pag. 132, 163-64 e 169.

In Arist. 3 de Anima, co: 52, car. 132 r.o

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