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« A te fia bello

così facea dirsi dal tritavo suo Cac

ciaguida l'averti fatta parte per te stesso. »

« E l'una parte e l'altra avranno fame

Di te, ma lungi fia dal becco l'erba. » Ma qual fu la parte ch'egli fece a sè stesso ?

Quella che valesse a troncare ogni Discordia e Ingiustizia tra gli uomini; che riconducesse il Sacerdozio al suo ministero di pace: l'antitesi insomma delle condizioni religiose e civili di che lui stesso, Firenze, l'Italia, l'Umanità gli parevano vittime.

Seguiremo il processo logico per cui la sua mente fu condotta a vagheggiare e disegnare il sistema della Monarchia universale.

CAPITOLO DECIMOQUARTO

Tre negazioni, se così posso dire, intorno allo stato sociale de' tempi suoi dovevano essere già fitte nella mente dell' Alighieri, anche prima che la iniqua sentenza della democrazia fiorentina, congiurata con Bonifacio e col Valois, venisse a gittarlo nell'esilio e in ogni miseria.

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L'indole malinconica e austera; l' ossequio a cui venne educato sin da' primi suoi anni verso i più grandi cittadini di parte aristocratica, de' quali avidamente chiedea nuove nel suo viaggio ideale, e cui disse: « sempre mai l'ovra di voi, e gli onorati nomi — con affezion ritrassi ed ascoltai; » quel triste connubio di violenza e servilità onde la parte popolare perseguiva i cittadini migliori, e s'inchinava cedevole alle più laide esigenze della Curia romana, già doveano aver dannato nell' animo suo a irrevocabile odio e disprezzo quegli pseudo-democrati « che mutan parte dalla state al verno; che, orbati della luce discretiva, pecore e non uomini, gridano, purchè alcuno cominci: VIVA LA MIA MORTE, E MUOJA LA MIA VITA! >>

2

- E, più che costoro, dannato esser doveva in cuor suo quel tralignato e cupido Sacerdozio, che, di pa

1 Inf. c. XVI.

2 Convilo tratt. 1, cap. XI.

1

store fattosi lupo, a mantenere l'usurpato potere politico, alternava tra ingiuste guerre e turpi alleanze; intricavasi e soffiava nelle cittadine discordie, incitava a violenze ed inganni: facevasi, a dir tutto, cloaca d'iniquità e di bassezza, onde Satana s'allegrava laggiù. Nè men riprovevoli doveano parergli que' violenti che dicevansi ghibellini; che dell'antica stirpe non serbavano la santa eredità delle virtù cittadine, ma sì l'orgoglio del prepotere sugli altri; combattenti l'avversa parte, non perchè guastatrice di giusto e quieto viver civile ma perchè ostacolo alle brutali lor cupidigie. « Ahi malnati, diceva a costoro, che disertate vedove e pupilli; che rapite alli meno possenti; che furale ed occupate le altrui ragioni: e di quello corredate conviti; donate cavalli, ed arme, e robe, e denari; portate le mirabili vestimenta; edificate li mirabili edifici, e credetevi larghezza fare! E che altro è questo, che levare il drappo d'in su l'altare, e coprirne il ladro e la sua mensa? » 2

Qual concetto positivo da queste tre negazioni dovesse emergere è facile intendere: la necessità d'un potere supremo che, sovrastando su tutti, infrenasse a giustizia e concordia municipî e signorie feudali; che, rispettando nel sacerdozio la indipendenza del proprio suo ufficio, lo tenesse alieno dall' ambita politica supremazia, e così da ogni cagione a trasnaturarsi e malfare.

L'Impero germanico, quale il vedeva a' suoi giorni, non era, in Italia, che larva impotente. Da mezzo se

1 Parad. C. XXVII.

2 Convilo tratt. IV, cap. XXVII.

colo circa dopo la splendida età di Federico II, l'autorità imperiale non erasi fatta sentire, nè mantenevasi, che per subite incursioni, più da venturieri che da monarchi, per effimeri vicariati, per deboli nessi feudali, per l'ossequio, non sempre efficace, nè saldo, di poche città. Non era questo di certo il potere supremo ch'ei vagheggiava. Chi voleva da esso un vincolo ed una guarentigia di stabile concordia e giustizia non poteva appagarsi d'un potere mal definito, precario, disconosciuto da' più, che riusciva nel fatto, anzichè freno o guida com'ei lo bramava, non ultimo fomite di violenze e scissure.

Non restavagli adunque che cercare alcuna grande e consolante utopia: e, parte nella memoria, parte nella imaginativa, la ritrovò.

Movendo da un tradizionale concetto, che la ignoranza del medio-evo nelle cose di storia facea rammentare come ideale di politica prosperità, diedesi a nobilitarlo e abbellirlo con tutti i tesori dell'ingegno e del cuore. Ed è quì dove più che mai si rivela quella forza sincretica onde, componendo insieme vecchi elementi, sa improntarne la somma di tale aspetto di novità che riesce ben arduo analizzare il paziente lavoro che li raccolse e adunò. Chiamando a sussidio Storici, Poeti, Filosofi, Profeti, Apostoli, e tutto CIELO E TERRA, come ben disse ma, più che altro, il vigore d'una mente che, afferrato un principio, sa fecondarlo di tutto, ne compose quel vasto concetto di Monarchia, il quale, poco men che fantasma come sistema politico, lasciò pure sì notevole orma nella storia del Dritto.

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Fra gli storici delle cose romane il medio-evo tenne

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