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« Questa disperazione di poter cogliere la idea-madre delle opere dantesche ciascuno ha dovuto sentirla, com'io l'ho sentita... E, debbo pur confessarlo: benchè abbia posto ogni cura nel tradurre le sue poesie, e mi sia sforzato chiarirne il senso colle osservazioni che v'ho aggiunto; malgrado questa precauzione e lo studio particolare che ho fatto su tutti gli scritti di Dante, sono ben lungi dall' aver colto la sua idea principale, e dal conoscere l'indirizzo e la estensione delle sue opinioni religiose e politiche.

<«< Per altro, in questo genio sì grave, sì vigoroso, e sì riflessivo v'ha qualche cosa di cangiante, di versatile e di passionato che scema la fiducia che dovrebbesi avere leggendo ciò ch'egli ha prodotto. >>

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Com'ha visto il lettore, il dotto francese dichiara dapprima non essere riuscito, malgrado i suoi lunghi studi, a cogliere la idea principale dell'Alighieri, e lo indirizzo e la estensione de' suoi principî religiosi e politici; confessa non aver saputo trovare, come tutti i comentatori che lo han preceduto, le vere intenzioni e il vero senso delle allegorie del poeta; ma, e dopo tutto ciò, non sa resistere alla tentazione di dichiararlo cangiante, e versatile; non sa avere la moderazione di concludere, che la incoerenza e versatilità che gli appaiono nelle opere dell'Alighieri, anzichè esistere in esse realmente, dipender possano dal non avere saputo ben leggervi, per quella ignoranza appunto della idea-madre di ch'egli stesso dolevasi.

1 Dante Alighieri, ou la Poesie amoureuse par E. J. Delécluze, Paris, Amyol. pag. 549-51.

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Veramente, chi brancola in mezzo alle tenebre, senza fiaccola che lo rischiari, ha egli diritto a giudicare degli oggetti che gli si offrono intorno indistinti e confusi?

Or questa idea-madre, fiaccola rischiaratrice, di che il critico francese ingenuamente lamentava il difetto, sarà l'argomento oramai delle nostre ricerche. Quella se v'è che riappaja costante nelle opere dell'Alighieri, più o meno informandole, e che tutte le predomini e le armonizzi, è la idea cui miriamo.

Dare pertanto un rapido cenno della orditura e del con tenuto delle opere dantesche, per vedere se realmente vi riappaja un concetto che possa dirsi a tutte comune, parmi una logica necessità preliminare ad ogni altra ri

cerca.

E nel far questo io mi terrò dapprima alla esposizione del semplice senso litterale. Trovata la idea-madre comune a tutte se v'è-resterà di cercarne il verace intendimento, denudandola dalla veste allegorica, che certamente deve coprirla.

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Prima ad offrircisi in ordine cronologico, pei fatti che vi si narrano, è la Vita Nuova.

Quivi, molti anni dopo ch'ei le scrivesse, raccolse le sue poesie giovanili, a cominciare dal primo sonetto che compose e divulgò nel diciottesimo anno dell'età sua. A ciascuna di quelle, premette un cenno esplicativo della occasione per cui la scrisse. Il complesso di queste intercalate narrazioni, e de' versi, costituisce quella specie di romanzo amoroso, nel quale si è voluto supporre ch'ei narrasse la storia del suo amore per la Beatrice, figlia di messer Folco Portinari, e moglie di messer Simone de' Bardi.

Non dirò nulla per ora degli argomenti che combattono siffatta credenza, tanto più forti dov'altro senso che questo non vogliasi ammettere. Prenderò a riassumere la narrazione qual'è, senza preoccuparmi se alluda esclusivamente a donna, ed a quale.

Ne' manoscritti che s' hanno della Vita Nuova, ne' più antichi di certo, la parola beatrice non ha la iniziale maiuscola che poi, comentando, vi apposero gli editori. So bene che la ortografia di quel tempo non distingue sempre per iniziale maiuscola i nomi proprî : ma appunto per questo io credo che non fosse lecito agli editori alterare la forma grafica di quella parola. Iniziandola per maiuscola, vennero ad eliminare l'ambiguità che presenta ne' manoscritti, mercè cui, sotto il rapporto grafico, si può ritenere o come un semplice aggettivo esprimente l'atto della cosa o della persona che bea, (beatrice), o come nome proprio di donna (Beatrice). Nelle stampe, ripeto, l' ambiguità fu fatta sparire costringendo a leggervi non altro che un nome, e in nessun caso un aggettivo verbale.

Altra avvertenza io debbo premettere.

Nell'età dell'Alighieri la parola donna riteneva ancora il suo generico significato di domina, dominatrice, anzichè quello esclusivo e speciale di femina in cui venne a circoscriversi ne' tempi seguenti. Potè quindi egli dire, con tutta proprietà di linguaggio, Italia donna di molte provincie; la cavalla donna dell'armento; donno de' suoi seguaci l'arcivescovo Ruggeri; donna dell'inferno Proserpina; e molto donna di Guido Giovanna, ecc.

Da ciò la conseguenza che nel leggere per entro la Vita Nuova le parole beatrice e donna non debba il

lettore stimarsi costretto a intenderle ovunque per nome proprio la prima, e per femina l'altra: potendo invece qua e là, se non dovunque, esprimere l'una la qualità della cosa o persona che bea, fa felice, e l'altra persona o cosa che signoreggia, predomina.

Queste avvertenze prémesse, darò la somma di quell'opuscolo, facendo parlare lo stesso Alighieri, quasi sempre colle sue stesse parole, e senza anticipare la benchè minima interpretazione allegorica:

<< Nel nono anno della mia vita m'apparve per la prima volta la gloriosa donna della mia mente, che fu chiamata beatrice da molti, i quali non sapevano che cosa chiamare. Essa era in sul principio, ed io sul finire del

nono anno.

« Lo spirito della vita, che dimora nella segretissima camera del cuore, fortemente tremando, disse: Ecco un dio più forte di me, che viene a dominarmi! Lo spirito animale, che dimora nell'alta camera dove i sensi portano le loro percezioni, ammirando disse: Ecco già apparve la beatitudine nostra! Lo spirito naturale, che dimora colà dove si apparecchia il nutrimento nostro, piangendo disse : « Me misero, chè da ora in poi sarò di frequente impedito! »

<< D'allora innanzi amore signoreggiò l'anima mia. Egli mi comandava ch'io cercassi per vedere quest' angiola giovanissima; onde molte volte nella mia puerizia l'andai cercando; e pareami di sì nobili portamenti che di lei si potea dire ciò che disse già Omero: Ella non pareva figlia d'uomo mortale, ma di Dio.

Nel Convito tratt. IV, c. 20 applica la stessa lode ome

« Dopo nove anni la rividi vestita di bianchissimo colore, in mezzo a due donne gentili di più lunga età. Volgendo gli occhi a me pauroso, mi salutò: di che fui preso da tanta dolcezza che, come inebriato, mi divisi dalle genti. E mi sopravvenne un soave sonno, e nel sonno una visione che narrai in un sonetto a' fedeli d'amore perchè la spiegassero. Ed era questa:

<< Mi apparve amore con in braccio la donna della salute che dormiva. Ei la svegliava, e la inducea, renitente, a mangiare il mio cuore che ardeva tutto. Dopo ciò la gioia di amore convertivasi in pianto, e, raccolta in braccio questa donna, mi parea che se ne gisse verso il cielo. L'angoscia ch'io sostenea mi svegliò.

« Molti, fra cui Guido Cavalcanti, che per questo fu primo tra' miei amici, risposero in varia sentenza; ma nessuno, ne conobbe allora il vero intendimento, che poi fu chiaro anco a' più semplici.

« Da quel giorno si fece in me sì intenso il pensiero di questa gentilissima, e ne venni in sì debole condizione che, non potendo nasconderlo per gli indizî evidenti che ne portava sul viso, a chi domandava della cagione del mio stato, rispondeva essere amore; ma chiesto dell'oggetto, sorridendo, taceva.

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rica (traendola da una citazione che ne fa Aristotile) alla nobiltà dell'anima umana consistente nella più elevata intelligenza.-S. Agostino avea detto: incomparabiliter pulchrior est Veritas christianorum, quam Helena graecorum. Epistola IX. Ciò, per ora, risponda al Pelli e a quanti da questo passo vorrebbero argomentare la impossibilità di senso allegorico nella beatrice della mente.

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