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esempio ha indubbiamente il significato di salvezza; nel secondo è lezione errata, e dee leggersi gentilissima donna, come leggono più testi; negli altri quattro dipoi ha quello di saluto, salutazione, come s'incontra di frequente negli antichi scrittori, e come appare ancor dagli esempii seguenti: A' perfidi e crudeli dell' isola di Cicilia, Martino papa quarto quella salute, della quale degni sete (Giovanni Villani, libro LXVI, 2). Per questo quella salute, che per me desidero, ti mando (Bocc., Filoc., III, 196). Ch' appena gli potei render salute (Petr., cap. 2). Quando per gentil atto di salute Vêr bella donna levo gli occhi alquanto. (Cino, canz. XVI).

Nel sonetto che incomincia Nelle man vostre, o dolce donna mia, che il Rossetti sull'asserzione d'alcuni editori suppone di Dante, e che veramente è di Cino, si rinviene l'espressione La morte che non ho servita. Questa frase è, secondo lui, ghibellina e settaria, ed equivale a quest'altra: Il Guelfismo, che non mi ha avuto a seguace, o sivvero a cui non ho prestato servigio. Ma del verbo servire nel significato di meritare s'incontrano diecine e centinaia d'esempii nei nostri antichi scrittori di prose, non che di versi; ed eccone alcuni: I nostri sudditi, che, contro a noi hanno servita morte, domandan patti (Giovanni Villani, lib. LXVII, 4).

Perchè menate voi a impendere questo cavaliere? ed elli risposero: perocchè egli ha bene morte servita (Nov. ant., LX, 3). Avendo dal Comune di Fiorenza le paghe che avea servite (Matt. Villani, XI, 18). Non ti voglion rendere il trionfo, che tu hai servito nelle lontane battaglie (Tav. Dicer.). — Poich' egli è adunque evidente, che quelle semplici e nude parole non altro suonano se non La morte che non ho meritata, il settario della frase non esiste chc nella fantasia del sistematico interprete.

Crucciose invettive contro cotesta morte, vale a dire contro il Guelfismo, s' incontrano, dice il Rossetti,' in molti degli antichi poeti; e fra le varie di Dante c'invita a veder quella della Vita Nuova, di cui ecco il principio:

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Morte, poich' io non trovo a cui mi doglia. ■

Io non vo' sottoporre ad esame i tanti e tanti esempii ch'ei

1 Vol. II, pag. 377.

cita de' nostri antichi rimatori, ma fermerommmi su questi di Dante; e a prima giunta dirò, che il Rossetti non riporta mai per intero un componimento, nè lo dispiega in tutte le sue parti, facendo osservare la continuità dell' allegoria e la regolarità dell' arcano e misterioso linguaggio; ma con fino artifizio ne riporta solo de' brani, e bene spesso goffamente alterati, come là dove cambiò l'avverbio imperò nel vocabolo impero:

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Difendimi, o signor, dallo gran vermo,

E sanami, impero, ch' io non ho osso,

Che conturbato possa omai star fermo..
DANTE, Salm. I.

Se la canzone alla Morte (la quinta del Canzoniere) possa mai sotto la scorza delle parole racchiudere quegli arcani sensi, che il Rossetti pretende, e non sia piuttosto un componimento d'amore, nel quale Dante supplichi caldamente la Morte a rattenere il colpo già mosso contro Beatrice, potrassi scorgere agevolmente da chi voglia gettarvi su l'occhio, anco per sola una volta; nè io mi so persuadere, come mai quell'interpetre siasi ripromesso dal lettore una sì grande e sì cieca credenza. Relativamente poi a' due versi della Ballata, dirò, che se morte è Guelfismo, e pietà è sinonimo di morte, qual discorso sarebbe mai questo, Morte villana di pietà nemica, cioè Guelfismo villano, del Guelfismo nemico? Inoltre, come mai questa setta, la quale non esisteva se non da pochi anni, avrebbe potuto esser chiamata Di dolor madre antica? Veda adunque il lettore quali quante bellezze

racchiudano bisticci sì fatti!

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Quando morì Beatrice, Dante scrisse a' principi della terra. - E a qual proposito, esclama il Rossetti, scrivere a' principi della terra (ai sovrani del mondo), per la morte di madonna Beatrice Portinari (cioè d'una privata donzella)? Si sappia, egli prosegue, che i principi della terra sono dinali, perchè tale era lo specioso titolo conferito loro da Pio II; e chi sia Beatrice lo appureremo in appresso, ciò non essendo, com' egli s' esprime, di veruna utilità nella questione presente. Così l'interprete del ghibellinismo francamente discorre, quasichè non si sappia che terra significava e significa non tanto il nostro pianeta, quanto città, paese. Aprasi il libro di Giovanni Villani, e il detto vocabolo vi si rinverrà con questo significato, sto per dire, a ogni pagina. Che vale

1 Vol. II, pag. 286.

Vol. II, pag. 439.

2 Nella Vita Nuova.

adunque quella frase della Vita Nuova? Vale che Dante scrisse della morte di Beatrice a' principali cittadini della città di Firenze. Ecco alcuni esempii della voce in quistione usata perfino dal Tasso:

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Gerus. lib., canto XXX, 50.

È una usanza in tutte le terre marine. (Bocc., nov. LXXX, 1) A una sua possessione forse tre miglia alla terra vicina. (Bocc., nov. XCIV, 4). Standosi domesticamente co' cittadini per la terra in pace e in sollazzo. (Matt. Villani, IX, 27). Di continuo si facea solenne guardia per la terra di dì e di notte. (Cron. d' Amar., 224).

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Se della morte di Beatrice fece Dante parole ai principali personaggi di Firenze, narra pure nella Vita Nuova, che egli stava scrivendo una novella Canzone in lode di lei, e che n' avea compiuta la prima stanza, quando ricevè il funesto annunzio della sua morte. Quomodo (egli esclama) sedet sola civitas plena populo! facta est quasi vidua domina gentium. Io era (così prosegue) nel proponimento ancora di questa canzone, e compiuta n' avea la soprascritta stanza, quando lo Signore della giustizia chiamò questa gentilissima a gloriare sotto l'insegna di quella reina benedetta Maria, lo cui nome fue in grandissima reverenza nelle parole di questa Beatrice beata. " Barbari, esclamerò qui col conte Balbo, bar» bari coloro, che in questo interrompimento, in questa re"miniscenza della sacra Scrittura, in quel rassegnato, ma ve»nuto a stento, Signore della giustizia, in quella gentile, e che » non potè essere immaginata, rimembranza del nome di Maria, "stato frequente in bocca alla sua donna, non sanno vedere i segni tutti della verità e della passione. E stretti di cuore e » di spirito coloro, che nati e vissuti in prosa, tengono per fal"sità tutto ciò ch'è detto in poesia, la quale non è pure se » non un altro, forse più vero, aspetto delle cose umane; e coloro, i quali misurando ogni altro uomo alla propria misura, » non intendono un dolore espresso in modo diverso dal loro. » Chè siccome infiniti sono i dolori quaggiù, infinite sono le espressioni vere di esso, secondo la età, il sesso, le condizioni, » la coltura, od anche l'ignoranza e gli errori di ciascuno. » Alle quali tutte all' incontro sapranno compatire gli animi gentili; e così ripensando alle condizioni de' tempi di Dante, compatiranno e alla discussione ch' ei fa sulla data della

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1 Nella Vita di Dante, vol. I, pag. 166. Torino, 1839, in-8.

» morte della sua donna ai 9 giugno del 1290, e a numeri » che vi trova, e alla lettera latina, ch' egli ne scrive sul te» sto citato di Geremia ai principi della terra; e poi a'molti » versi che fa tra il suo dolore e il disegnar figure d'angeli, " e di nuovo poetare nel giorno dell'annovale di lei... »

Nulla poi io dovrei dire del modo strano e inusitato, con cui il Rossetti fassi a provare l'esistenza degli arcani o settarii vocaboli ascosi da Dante ne' versi del suo Poema, perocchè non della Commedia, ma sì della Vita Nuova io intendo qui far discorso; pure non posso a meno di porre sotto gli occhi del lettore soli due tratti; il primo indicante il modo, con cui il poeta ha celato il nome di Arrigo, il secondo quello, con cui ha nascosto il nome del papa: " Dante (dice il no» vello interprete) s'è valuto molte volte di tal mezzo (del » mezzo che si usa negli acrostici e ne' logogrifi) per presen» tarci netto netto il nome dell' imperatore Enrico od Arrigo... " L'ombra d' Argo, che Dante nomina nell' ultimo canto del Paradiso, è l'ombra d' ARriGO. E quest' ombra appunto manderà una voce dal cielo come di cuor che si rammarca, » la quale dirà alla Chiesa corrotta: O navicella mia, com » mal se' carca! E se volete saper per sicuro chi è che grida così, non avete a far altro che trascrivere quel verso coi » due seguenti, e guardare alle parole finali; eccoli:

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O navicella mia, com' mal se' CARca!
» Poi parve a me, che la terra s' apRIsse

>> Tr'ambo le ruote, e vidi uscirne un draGC.

"Quel solenne dialogo fra Dante e Beatrice (Purg., can" to XXXI), nel quale madonna accusa l'amante di essersi » tolto a lei e dato altrui; quella terzina:

"

» Confusione e paura insieme miste

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Mi pinsero un tal si fuor della bocca,

Al quale intender fur mestier le viste,

e il paragone che immediatamente vien dopo..... c' invitano a ricercare chi è cotesta Beatrice. Or raccomandiamoci a "santa Lucia, esaminiamo quella similitudine, e vedremo qual'è mai quella parola mal compiuta per paura:

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Dunque la voce allentò l'ultima sillaba GO, talchè pro» nunziata con men foga divenne CO. E si sappia che io » non avrei mai pensato a farne ricerca, se non me lo avesse » avvertito Dante medesimo in un certo luogo della Vita » Nuova. Ben ci ha servito la vista, o messere, a riconoscere colei, che tu denominasti la gloriosa donna della tua mente, r la quale fu chiamata da molti Beatrice, i quali non sa"prano che si chiamare. Basti per ora riguardo ad un tal nome: gli altri esempii li ammucchierò a luogo più oppor" tuno. Nè io gl' indicherò: Dante che mi ha svelato ove son questi, Dante ci additerà pure ove son li altri. Povero " poeta! ti sei tanto affaticato a lavorare quella chiave inge»gnosissima, sperando che si troverebbe finalmente un' anima " possente, che ne scoprisse l'uso, ma lo sperasti invano per cinque secoli. Essa è corsa per cento mani, e nessuno ha saputo che farsene! Ma la formasti di sì complicato ma» gistero, che s'io qui cessassi, nessuno forse potrebbe seguire a volgerla per trarne le maraviglie che chiudesti! Mi » si perdoni questa vanità!

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» Siccome nostro Signore fu ravvisato in alcune figure simbo»liche, quali sono l' arca di confederazione, l'arco di pace ec., " così Dante ci offrì in figura nell' ARCO SESTO delle bolgie infernali, ARriCO SESTO, dicendo: Tutto spezzato al fondo è l'arco sesto. E ad allontanare ogni dubbio sulla » giustezza di questa interpretazione, mostrerò che quella n frase giace tutto spezzato al fondo è uno de' soliti cenni, il » quale ne avvisa che il resto del nome giace al fondo della prima sillaba, ma tutto spezzato. Vedetelo:

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"Il Poeta descrivendo la bocca della voragine, da cui > usciva orrendo fetore, disse ch' era formata da alcune pietre rotte, e tosto col suo solito giochetto di sillabe indicò che " significassero figuratamente pietre e pietra:

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