v. 52 -81. Come uno schermo intrepido ed onesto Dal colpo, a chi l'attende, agro e funesto. Ch' ha scritto innanzi ch'a parlar cominci,, Negli occhj e nella fronte le parole; Volea dir io: Signor mio, se tu vinci, Legami con costei, s'io ne son deguo; Ne temer che giammai mi scioglia quinci: Quand' io 'l vidi pien d'ira, e di disdegno Si grave, ch'a ridirlo sarian vinti Tutti i maggior, non che 'l mio basso ingegno; Che già in fredda onestate erano estinti I dorati suoi strali accesi in fiamma D'amorosa beltate, e 'n piacer tinti. Non ebbe mai di vero valor dramma Camilla, e l'altre andar use in battaglia Con la sinistra sola intera mamma: Non fu si ardente Cesare in Farsaglia Contra' genero suo, com'ella fue Contra colui, ch'ogni lorica smaglia. Armate eran con lei tutte le sue Chiare virtuti; o gloriosa schiera! E teneansi per mano a due a due. Onestate e vergogna alla front' era ; Nobile par delle virtù divine Che fan costei sopra le donne altera: ΙΟ v. 82- III. Senno e modestia all'altre due confine; Perseveranza e gloria in sulla fine: Bell'accoglienza, e accorgimento fore: Cortesia intorno intorno, e puritate; Timor d'infamia, e sol desio d'onore : Pensier canuti in giovenil' etate; E (la concordia, ch'è si rara al mondo) V'era con castità somma beltate. Tal venia contr' Amor, e 'n sì secondo Torre gli vidi; e scuotergli di mano Ne Ciro in Scitia ove la vedov'orba V. 112 - 141. Non freme così 'l mar quando s'adira; Ch'io vidi, e dir non oso: alla mia donna Che basto ben a mill' altre vendette: Ed io per me ne fui contento e sazio. Io non poria le sacre benedette Vergini, ch'ivi fur, chiudere in rima; Non Calliope e Clio con l'altre sette. Ma d'alquante dirò che 'n sulla cima Son di vera onestate, infra le quali Lucrezia da man destra era la prima; L'altra Penelopea: queste gli strali E la faretra, e l'arco avean spezzato Poi le Tedesche, che con aspra morte V. 142-171. Giudit Ebrea, la saggia, casta, e forte; Quella, che per lo suo diletto e fido Percoton Baja; ch'al tepido verno Giunse a man destra, e 'n terra ferma salse. Indi fra monte Barbaro, ed Averno L'antichissimo albergo di Sibilla Passando, se n'andar dritto a Linterno, In così angusta e solitaria villa Era 'l grand' uom, che d'Affrica s'appella; Perchè prima col ferro al vivo aprilla. V. 172-190. Qui dell'ostile onor l'alta novella Non scemato con gli occhj a tutti piacque, E la più casta era ivi la più bella: Nè 'l trionfo d'altrui seguire spiacque A lui che, se credenza non è vana, Sol per trionfi, e per imperj nacque. Così giugnemmo alla città soprana Nel tempio pria, che dedicò Sulpizia Per spegner della mente fiamma insana. Passammo al tempio poi di pudicizia; Ch' accende in cor gentil'oneste voglie, Non di gente plebea, ma di patrizia. Ivi spiegò le gloriose spoglie La bella vincitrice: ivi depose Le sue vittoriose e sacre foglie: E'l giovane Toscan, che non ascose Le belle piaghe, che 'l fer non sospetto; Del comune nemico in guardia pose, Con parecchj altri; e fummi 'l nome detto D'alcun di lor, come mia scorta seppe, Ch'avean fatto ad Amor chiaro disdetto: Fra' quali vidi Ippolito, e Gioseppe. |