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è inclinabile alla sua perfezione, onde, acciocchè (1) la scienza è l'ultima perfezione della nostra anima, nella quale sta la nostra ultima felicità, tutti naturalmente al suo desiderio siamo suggetti. Veramente (2) da (3) questa nobilissima perfezione molti sono privati (4) per diverse cagioni che dentro dall' (5) uomo, e di fuori da esso, lui rimuovono dall'abito di scienzia. Dentro dall'uomo possono essere (6) due difetti: è impedito l'uno. dalla parte del corpo; l'altro dalla parte dell' anima. Dalla parte del corpo è quando le parti sono indebitamente disposte, sicchè nulla ricevere può; siccome sono sordi e muti e loro simili. Dalla parte dell' anima è quando la malizia vince in essa, sicchè si fa seguitatrice di viziose dilettazioni, nelle quali riceve tanto inganno che per quelle ogni cosa tiene a vile. Di fuori dall'uomo possono essere similmente due cagioni intese, l'una delle

(1) acciocchè in vece di perciocchè. Modo antico, di cui l' Autore fa uso spessissimo in questo libro.

(2) Veramente per Nulladimeno, Tuttavia, Contuttociò, lat. Verumtamen; come nell' Inf. 33, 10: Io non so chi tu sie, nè per che modo Venuto se' quaggiù: ma Fiorentino Mi sembri veramente quand' io todo. E più chiaramente nel Purg. 6. 43: Veramente a cosi allo sospetto Non ti fermar, se quella nol ti dice ecc. V. PROPO TA, alla voce Veramente.

(3) da per di. Così in questo medesimo Capitolo più sotto: sarà da ogni studio non solamente privato.

(4) Privato in senso di Privo, Mancante non è nel Vocabolario. E pur era da porsi innanzi a tutti gli altri significati col presente esempio, e coll' altro dello stesso Dante (Purg. 16.): Buio d'Inferno e di notte privata D'ogni pianeta.

(5) La pr. ediz. (1499, Firenze pel Bonaccorsi): all' uomo. (6) Altri: due difetti o impedimenti: l'uno ecc. BisCIONI.

quali è induttrice di necessità, l' altra di pigrizia. La prima è la cura familiare e civile, la quale convenevolmente a se tiene degli uomini il maggior numero, sicchè in ozio di speculazione essere non possono. L'altra è il difetto (1) del luogo ove la persona è nata e nudrita, che talora sarà da ogni studio non solamente privato, ma da gente studiosa lontano. Le due (2) prime di queste cagioni, cioè la prima dalla parte di dentro e la prima dalla parte di fuori, non sono da vituperare, ma da scusare e di perdono degne; le due altre, avvegnachè (3) l'una più, sono degne di biasimo e d'abbominazione. Manifestamente adunque può vedere chi bene considera, che pochi rimangono quelli che all'abito da tutti desiderato (4) possano pervenire, e innumerabili quasi sono gl' impediti che di questo cibo da (5)

(1) difetto usato per Vizio, non per Mancanza.

(2) La comune lezione era: « Le due di queste cagioni, CIOÈ « la prima dalla parte di fuori non sono da vituperare ». Colle altre parole da noi introdotte nel testo si è supplita la manifesta laguna che s'incontrava in questo passo. Vedi il Saggio dei MOLTI E GRavi errori TRASCORSI IN TUTTE LE Edizioni del CONVITO (Milano, dalla Soc. tip. dei Classici It., 1823) a c. 50.

(3) Le parole avvegnachè, o avvenga che come porta l'edizione del Sessa (Venez. 1531.), ed abbominazione sono interlineate dal Tasso.

(4) Tutte le stampe e tutti i Codici, che ci son noti, leggono considerato. E può spiegarsi preso di mira. Nulladimeno emendiamo desiderato, secondo la correzione posta dal Biscioni in Nota: perocchè questa emendazione concilia il luogo presente coll'altro di Dante sul bel principio: tutti gli uomini naturalmente desiderano di sapere.

(5) da tutti cioè fatto per tutti; se pure non è da leggersi da tutti desiderato. V. il SAGGIO, pag. 106.

tutti sempre vivono affamati (1). Oh beati que' pochi che seggono a quella mensa, ove il pane degli Angeli si mangia, e miseri quelli che colle pecore hanno comune cibo! Ma perocchè ciascun uomo (2) a ciascun uomo è naturalmente amico, e ciascuno amico si duole del difetto di colui ch'egli ama, coloro che a si alta mensa sono cibati non sanza misericordia sono invêr di quelli che in bestiale pastura veggiono erba e ghiande gire mangiando. E acciocchè misericordia è madre di beneficio, sempre liberalmente coloro che sanno porgono della loro buona ricchezza alli veri poveri, e sono quasi fonte vivo della cui acqua si rifrigera la natural sete (3) che di sopra è nominata (4). E io adunque, che non seggo

(1) Le parole da seggono fino a cibo sono interlineate dal Tasso, e tutto il passo poi cominciando da Oh beati fino a ghiande gire mangiando è da lui contrassegnato con una linea verticale in margine: il che mostra quanto gli fosse piaciuto. Anche il Perticari nell'esemplare da lui postillato (ed. di Venez., Pasquali 1741.) interlineò le parole Oh beati fino a cibo. È bello il vedere come due alti ingegni si sieno egualmente innamorati di questa veramente deliziosa immagine; e bellissimo riescirà poi il considerare che Dante medesimo dimostrò di compiacerşene, cantando nel Poema (Par. 2. 10):

Voi altri pochi, che drizzaste 'I collo

«Per tempo al pan degli Angeli, del quale

« Vivesi qui, ma non si vien satollo, ecc.

(2) Di questa parola uomo è difetto la prima volta nella stampa del Biscioni, e si è supplita col Cod. Vaticano Urbinate 686, col secondo Marc., e co' Gadd. 134, 135 secondo, e 3.

(3) La sete natural che mai non sazia ecc. Purg. 21. 1.

(4) Il Tasso interlineò questo passo fino a la misera vita di quelli che dietro, e con una linea verticale nel margine lo contrassegnò fino a maggiormente vogliosi.

alla beata mensa, ma, fuggito dalla pastura del vulgo, a' piedi di coloro che seggono ricolgo di quello che da loro cade, e conosco la misera vita di quelli che dietro m'ho lasciati, per la dolcezza ch'io sento in quello ch'io a poco a poco ricolgo, misericordevolmente mosso, non me dimenticando, per li miseri alcuna cosa ho riservata (1), la quale agli occhi loro già è più tempo ho dimostrata, e in ciò gli ho fatti maggiormente vogliosi. Per che ora volendo loro apparecchiare, intendo fare un generale convito di ciò ch' io ho loro mostrato, e di quello pane ch'è mestiere a così fatta vivanda, sanza lo quale da loro non potrebbe essere mangiata (2) a questo convito; di quello pane degno a cotal vivanda, qual io intendo indarno essere ministrata. E però ad esso non voglio s'assetti (3) alcuno male de' suoi organi disposto (4); perocchè nè denti, nè lingua ha nè palato: nè alcuno assettatore di vizj; perocchè lo stomaco suo pieno d'umori venenosi, contrarj, sicchè (5) mia vivanda

(1) Pensiero tolto da quel di Virgilio, ov' egli fa dire a Didone (En. Lib. 1, v. 630): Non ignara mali miseris succurrere disco.

(2) Col levare un e intruso dopo la parola mangiata, e col rettificare l'interpunzione, messa a caso nell' edizione del Biscioni, si è restituito a questo passo il senso che n' era affatto smarrito. In miglior condizione è il punteggiamento del presente luogo nelle antiche edizioni.

(3) La parola assetti (cioè si ponga a sedere, o simile) e poco dopo assettatore (cioè seguitatore) sono segnate dal Tasso. Assetti è pure notato dal Perticari.

(4) Anche qui è pessimamente punteggiata l' edizione del Biscioni (Fir., Tartini e Franchi, 1723). Migliore a questo luogo è quella del Sessa.

(5) mai vivanda non terrebbe. Cod. Vat. Urb.

non terrebbe. Ma vegnaci qualunque è per cura (1) familiare o civile nella umana fame rimaso, e ad una mensa cogli altri simili impediti (2) s'assetti: e alli loro piedi si pongano tutti quelli che per pigrizia si sono stati, chè non sono degni di più alto sedere: e quelli e questi prenderanno la mia vivanda col pane, chè la farò loro e gustare e patire (3). La vivanda di questo convito sarà di quattordici maniere ordinata, cioè quattordici Canzoni sì d'Amore, come di virtù materiate, le quali sanza lo presente pane aveano d'alcuna scurità ombra, sicchè a molti lor bellezza più che lor bontà era in grado; ma questo pane, cioè la presente sposizione (4), sarà la luce, la quale ogni colore di loro sentenzia farà parvente (5). E se nella presente opera, la quale è CONVITO

(1) Le parole per cura, mancanti in tutti i Testi, sono una sensatissima aggiunta che noi dobbiamo ad uno straniero, il sig. Carlo Witte, tedesco. Le sue emendazioni al testo del Convito mandate dal sig. Professore Odoardo Gerhard al ch. sig. Girolamo Amati, e da questo celebre letterato pubblicate nel Giornale arcadico di Roma (Vol. di Agosto 1825), ci hanno giovato a rettificare alcuni passi, sui quali eravamo tuttavia incerti. Da per tutto gliene renderemo il debito onore. Ed è veramente mirabile che mentre molti Italiani lasciano le proprie cose in obblío, uno straniero ne prenda tanta cura, e con tanta fortuna.

(2) Con quelli, cioè, che hanno impedimenti di somigliante

natura.

(3) patire per Smaltire, Digerire. V. la Cr.

(4) La lezione volgata è disposizione, ma teniamo per fermo che sposizione sia la vera.

(5) parvente parola notata dal Tasso.

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