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Fin qui abbiam reso conto della triste condizione a cui venne ridotto il testo del Convito dai Copisti e dagli Editori, ed abbiamo discorso in generale dell' opportunità d'una più accurata edizione del medesimo, aggiungendo alcuni cenni sull' indole del libro, e sul tempo in cui Dante sembra averlo intrapreso. Ora ci resta a dire quello che per noi si è fatto onde ridurlo a lezione migliore.

E prima di tutto abbiamo ritenuto nel titolo Convito, rifiutando Convivio alla maniera latina, il che piaceva a monsig. Fontanini (a) coll'autorità del Varchi, del Boccaccio e del Tasso; perchè niuna autorità in questo caso dee prevalere a quella dello stesso Dante, il quale nel Capitolo primo (b) scrive: « E se << nella presente opera la quale è CONVITO no«minata, e vo' che sia ecc. » ed usa poi sempre Convito, in ciò accordandosi tutti i Codici. Questo sia detto a coloro i quali anche coteste cose stimano di qualche pregio.

Affinchè poi se la lezione del Convito avesse potuto sanarsi dalle infinite sue piaghe col riscontro di testi manoscritti e stampati, per

(a) Bib. Classe IV. cap. VII. (b) Conv. pag. 6.

quanto era da noi non le venisse meno questo soccorso, preso a norma il testo del Biscioni, come quello ch'era generalmente tenuto il migliore, lo abbiamo confrontato con tutte le più antiche edizioni, e con quanti Codici ne vennero a notizia, due de' quali sono in nostra mano, gli altri tutti sonosi fatti accuratamente esemplare; e ne daremo dopo questa prefazione il catalogo. Ma siccome il nostro proposito non era di raccogliere le varie lezioni, bensì d'indagare in esse la vera ove la volgata ne appariva scorretta, così confessiamo che, tranne pochi luoghi, da questo lavoro abbiamo ritratto moltissima noia e pochissimo giovamento. Chè niuno de' testi sì manoscritti, che stampati può dirsi assolutamente buono, ed è raro il caso, come vedrassi nelle Note, che or l'uno or l'altro presentino qualche lezione lodevole, quasi granello d'oro perduto nell'immenso e fracidissimo stabbio. E par cosa incredibile, che dove l'errore è più evidente e più solenne, ivi tutti i Codici convengano nella medesima lettera, mettendo quasi alla disperazione il retto discorso. Onde il più delle volte, ricercando la luce e non palpando che tenebre, e dopo lunga fatica ritornandoci al petto colle mani vôte, abbiamo

dovuto sclamare: Oh ombre vane fuorchè nell'aspetto! e gran bontà di chi giura sulla fede de' Codici!

Quando però ci siamo abbattuti in qualche Variante, della quale non fosse da far getto interamente, quantunque non ci paresse tale che fosse per essa da mutare il testo volgato, l'abbiamo riferita nelle Note, principalmente allorchè ne veniva somministrata da' Manoscritti, chè in questo particolare non fummo gran fatto scrupolosi co' testi stampati, i quali possono facilmente venire alle mani di ognuno.

Ma in generale cotesto esame de' Codici, dopo avere non poco esercitata la nostra pazienza, ci ha pienamente convinti di quello che già è scritto nella lettera proemiale al SAGGIO, ecc. (a), che in mezzo, cioè, all'orribile guasto de' testi un solo Codice rimaneva, a tutti aperto ad ogni ora, ma da niuno degli editori del Convito giammai consultato, il Codice della Critica.

Perciò le nostre emendazioni sono di due maniere. Le prime derivano dai Codici, ovvero

(a) pag. IV.

dalle edizioni anteriori a quella del Biscioni (a). Le seconde ne furono suggerite dal contesto del discorso, cioè dalla ragione logica o gramaticale, dall' analogia che diversi passi di questo libro hanno fra di loro o con altri delle altre opere di Dante, dal consueto modo col quale egli esprime i proprii pensieri, e finalmente dal testo degli autori da lui allegati.

Seguendo in tal modo i precetti della sana Critica, ed essendoci posta una legge di non mutare che quelle lezioni dalle quali, dopo maturo e replicato esame, non risultava un senso ragionevole, le emendazioni in più luoghi ne si presentarono così sicure e spontanee, che niuna autorità di Testi ne potrebbe persuadere che non debbasi leggere secondo la nostra correzione. Con eguale franchezza ci siamo condotti nello espungere alcune di quelle postille o rubriche marginali che l'ignoranza de' Copiatori aveva introdotte nel testo, e che

(a) Firenze, 1490, pel Bonaccorsi.- Venezia, 1521, per Giovanni Antonio e fratelli da Sabbio.—Ivi, 1529, per lo Zoppino.-Ivi, 1531, pel Sessa. Le edizioni venete del Pasquali e dello Zatta, fatte nel secolo scorso, non sono che testuali ripetizioni di quella del Biscioni pei Tartini e Franchi.

e

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