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E ch'ebbe al ferro, all'aste ed alla face
Che il furor ministrò, le man sì pronte.

Tuono.

E fuggio, come tuon che si dilegua, Se subito la nuvola scoscende.

Sento venir per allegrezza un tuono Che fremer l'aria e rimbombar fa l'onde.

-

Tasso, viii. 82.

Purg. xiv. 134.

Ariosto, XLVI. 2.

V. Affanno (p. 22.) - V. Paura (p. 557.)

Turbamento

Perchè se' tu si smarrito?

Perch'io tutto smarrito m'arrestai.

Diventai smorto,

Come fa l'uom che spaventato agghiaccia.

Turbine - V. Vento.

Ma ecco intanto uscire una tempesta
Che struggea i fiori ed abbattea le piante.
Non se ne suol veder simile a questa
Quando giostra Aquilone, Austro e Levante.
Come d'oscura valle umida ascende

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Nube di pioggia e di tempesta pregna,
Che più che cieca notte si distende

Per tutto il mondo, e par che 'l giorno spegna.
Dagli occhi de' mortali un negro velo

XI. 35.

Rapisce il giorno e il Sole, e par ch'avvampi
Negro vie più ch' orror d'inferno il cielo;
Così fiammeggia infra baleni e lampi.
Fremono i tuoni; e pioggia accolta in gelo
Si versa, e i paschi abbatte, e inonda i campi:
Schianta i rami il gran turbo, e par che crolli
Non pur le querce, ma le rocche e i colli. Tasso, vii. 115.
Nè quivi ancor dell' orride procelle

Ponno appieno schivar la forza e l'ira:
Ma sono estinte or queste faci, or quelle,
E per tutto entra l'acqua, e il vento spira:
Squarcia le tele, e spezza i pali, e svelle
Le tende intere, e lungi indi le gira;

La pioggia ai gridi, ai venti, ai tuon s' accorda
D'orribile armonia che il mondo assorda.

VIL. 122.

Tutto.

E non lassa in me dramma

Che non sia foco e fiamma.

La luce

Petrarca, Canz. x. 1.

Son. 14.

Che m'arde e strugge dentro a parte a parte.

Ubbidire.

Tanto m'aggrada il tuo comandamento,
Che l'ubbidir, se già fosse, m'è tardi;
Più non t'è uopo aprimi il tuo talento.

Tanto m'è bel, quantò a te piace:
Tu se' signore, e sai ch'io non mi parto
Dal tuo volere, e sai quel che si tace.

Or va, chè un sol volere è d'ambedue.

Inf. 11. 79.

Inf. xix. 37.

Inf. II. 139.

(Tre maniere ad esprimere l'atto d'una volonterosa e affettuosa ob

bedienza, una sopra l'altra bellissima e gentilissima. Ranalli.)

Del suo voler... Fan sacrificio a te.

D'ubbidir desideroso.

Purg. XI. 18.

Inf. x. 43.

(D' ubbidire desiderosa. Boccaccio, Gior. vii. nov. 8.) Ogni tuo dir d'amor m'è caro cenno.

Ed io che tutto a' piedi

De' suoi comandamenti era devoto.
In la sua volontade è nostra pace.
Il trapassar del segno. (disobbedienza)
Ubbidisti tosto Alle...

Ubbriaco.

Con le gambe avvolte,

Purg. xxi. 27.

Purg. xxxii. 106.

Par. 11. 85. Par. xxvi. 117.

Inf. 11. 133; Par. xxi. 22.

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UCCIDERE.

Che su nel mondo la morte ti porse.
A morte dienno...

Dalle braccia fiere di... ebbe la morte.
Quivi fu' io da quella gente turpa
Disviluppato dal mondo fallace.

Inf. xu. 18. Inf. xviii. 90.

Purg. vi. 13.

Par. xv. 145.

Che fecer di Montagna il mal governo. Inf. xxvi. 47.

( uccisero crudelmente)

Che questo è 'l colpo di che Amor m'ha morto.

Petrarca, Canz. vIII. 6.

(Morire, usato attivamente con eleganza in luogo di uccidere.) Poscia gli ancide come antica belva. Purg. xiv. 133. 60; xv. 107; xvi. 12; xx. 90, 115; xxxi. 44. Egli alza ad or ad or la mano, e sfida La debole mia vita esto perverso, Che disteso e riverso

Mi tiene in terra d'ogni guizzo stanco.
E vide in mezzo star con viso smorto
Il giovine dannato ad esser morto.

Canz. IX. 4.

Ariosto, xxv. 8.

Ma pria che l'alma dalla carne sleghi.
Piacciati questa afflitta anima sciorre
Dalla sua scorza ormai putrida e rancia.
E in terra il manda a dar l'ultimo crollo.

IV. 26.

IV. 34.

IX. 80; xiv. 122; xv. 87.

Nè d'accecarlo contentar si volse
Il colpo fier, s'ancor non lo registra
Tra quegli spirti che con suoi compagni
Fa star Chiron dentro ai bollenti stagni.

Grida Aquilante, e fulminar non resta,
E la spada gli pon dritto alla strozza:
E giurando minaccia che la testa
Ad Orrigille e a lui rimarrà mozza.

Mette su l'arco un de' suoi strali acuti,
E nascoso con quel sì ben lavora,
Che fora ad uno Scotto le cervella,
E senza vita il fa cader di sella.

Volgonsi tutti gli altri a quella banda,
Ond' era uscito il calamo omicida...
Lo strale arriva, e gli passa la gola,
Egli taglia pel mezzo la parola.

XIII. 36.

XVII. 81.

XIX. 8, 9.

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Vocem

(Quivi perdei la vista, e la parola Nel nome di Maria finì, e quivi Caddi. Purg. v. 102 E gli levò la vita e la parola. Ar. ix. 61 animamque rapit. En. x. 347 Ov. Met. vi. 7. )

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Cum verbis guttura Colchis Abstulit.

Poi con la spada dalla immonda scorza
Sciogli lo spirto immaculato e bianco,
E le mie luci eternamente ammorza.

Con esso un colpo il capo fesse e il collo,
Ch'elmo non v'era, e non vi fu riparo.
Pervenne Argeo, senza pur dare un crollo,

XXI. 23.

Della misera vita al fine amaro. XXI. 49. V. xxi. 59, 60, 61.
Del capo lo scema. (gli dispicca la testa)
Dardinello il cima.

Gli levò dal busto il capo netto.
Lo... spaccia.

Giunge più innanzi, e ne ritrova molti
Giacere in terra, anzi in vermiglio lago

Nel proprio sangue orribilmente involti,...
E vede dagli busti i capi sciolti,

E braccia e gambe ton crudele imago.

Chi fugge l'un pericolo, rimane
Nell'altro, e paga il fio d'ossa di polpe.

E due e tre volte nell'orribil fronte,
Alzando, più che alzar si possa, il braccio
Il ferro del pugnale Rodomonte
Tutto nascose, e si levò d'impaccio.
Alle squallide rive d'Acheronte,

Sciolta dal corpo più freddo che ghiaccio
Bestemmiando fuggì l'alma sdegnosa,

XXIV. 5.

XVIII. 52.

XXIII. 60.

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XXVII. 21.

XXVII. 27.

Che fu si altiera al mondo e sì orgogliosa.

XLVII. 140.

(Ferrum adverso sub pectore condit Fervidus: ast illi solvuntur fri

gore membra, Vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras. Virg. En. xii. 950.)

Sciolto era l'elmo, e disarmato il collo, Si che lo tagliò netto come un giunco. Cadde, e diè nel sabbion l'ultimo crollo Del regnator di Libia il grave trunco. Corse lo spirto all'acque, onde tirollo Caron nel legno suo col graffio adunco. Con la spada

XLII. 9.

Fa che scemo del capo a terra vada.

In guisa lor ferì la nuca e il tergɔ, Che ne passò la piaga al viso, al petto: E per sua mano ancor del dolce albergo L'alma uscì d'Amurate...

Spinge egli il ferro nel ben sen di punta, Che vi s'immerge, e il sangue avido beve.

(Hasta sub exserta donec perlata papillam Haesit, alte bibit acta cruorem. Virg. Æn. xi. 803.)

Alfin così improvviso a lui si volta,
E di tanto rovescio il coglie al fianco,
Che dentro il ferro vi s'immerge, e tolta
È dal colpo la vita al duce Franco.

Cade; e gli occhi, ch'appena aprir si ponno,

Tasso, III. 43.

mi. 44.

XII. 64.

virgineum que

Dura quiete preme e ferreo sonno. III. 45; V. IX. 32, 33, 38. Tratta anco il ferro, e con tremanti dita

Semiviva nel suol guizza la mano.

1x. 69.

(Semlanimesque micant digiti, ferrumque retractant. Virg. Æn. x. 396.)

Uccidersi.

L'altra è colei che s'ancise amorosa.

lo fei gibetto a me delle mie case. (m' impiccai)

Perchè per ira hai voluto esser nulla? Ancisa t'hai.

Puote l'uomo avere in sè man violenta. Qualunque priva sè del vostro mondo. L'animo mio, per disdegnoso gusto, Credendo col morir fuggir disdegno, Ingiusto fece me contra me giusto.

Quando si parte l'anima feroce

Dal corpo ond' ella stessa s'è disvelta.

Inf. v. 61. Inf. xu. 151.

Purg. XVII. 36.

Inf. xi. 40.

Inf. xi. 43.

Inf. xii. 70.

Inf. XIII. 94.

(I suicidi non rendon l'anima morendo ma la gettan via: il perchè Virgilio: Lucemque perosi Projecere animas. Æn. vi, 435.)

Con le mie mani avrei già posto in terra
Queste membra noiose e questo incarco.

Amor Sol mi ritien ch'io non recida il nodo.
Ma, se maggior pena,

Non m'affrenasse, via corta e spedita

Petr. Son. 23.

Canz. 1. p. 2.

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