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vuole, scriverò all'Osservatore, e gli scriverò per modo, che se non è in agonia, spero che mi risponderà. Vi manderò la risposta sua, e quando altro non vi fosse, fra voi, me, e lui voglio, che sia empiuto un foglio. Lasciatemi fare. Apparecchiate la carta bagnata, e fate snudare le braccia a' tiratori de' Torchi, che certamente sabbato dee essere pubblicato un foglio.

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ALL' OSSERVATORE

PAOLO COLOMBANI.

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L'aver compassione agli afflitti è umana cosa; ma la carità comincia da sè medesimo, dice il proverbio. Ho presa una bilancia colla fantasia, e dall' una parte ho posto la Signoria vostra, e dall' altra Paolo Colombani, cioè me. Ho veduto, che la parte mia pesa più, onde mi debbo considerare qualche cosa . Se questo pare un enimma ecco la spiegazione. Mi vien riferito, ch'ella non sia affatto affatto in buona salute, e me ne rincresce. Ma non so, se venga riferito all'incontro a lei, che mi trovo in uno stato forse peggiore del suo. Sa ella, ch'io non posso più affacciare il viso al mio finestrino a sinistra, e che a pena posso più stare in bottega? Il Mercoledì, e il Sabbato, giornate assegnate con un cartello appiccaTomo VI.

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to ad un pilastro della bottega mia al suo foglio, da tutti i lati vengono le genti a chiederlo, e io sono obbligato a rispondere, che non l'ho. Chi mi dice una cosa, chi un' altra, questi mi motteggia, quell' altro mi fa il viso dell' arme; ond' io sono obbligato a difendermi per sua cagione, e trovomi il più impacciato uomo del mondo. Se la Signoria vostra non è dunque già sotterrata, che spero di no, mi faccia il favore di scrivere qualche cosa, e mi liberi da questo travaglio, contro al quale l'animo mio non può più durare. Son certo, ch'ella mi farà questo piacere, quando le rimanga ancora un poco di spirito nel corpo; e desideroso di risposta, fo fine, raccomandandomi alla sua grazia, al suo calamajo, e alla sua penna.

L'OSSERVATORE

A PAOLO COLOMBANI.

Io credeva a questo mondo di poter almeno avere la libertà d'ammalarmi, e m'avveggo, che per vostra cagione m'è tolta anche questa. Pazienza dunque anche di ciò, come di tante altre cose, che non vogliono andare a modo mio. A poco a poco vo conghietturando, che non mi gioverà anche l'uscire del mondo che passato di là, dove non mi potranno giungere le vostre lettere, mi saranno tolti gli orec

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chi dalle vostre voci, e da quelle del collega vostro Valvasense, e del suo garzoncello, che a questi dì ho avuto intorno, come una mosca. Conosco tuttavia che avete ragione perchè dovete ragionevolmente amare piuttosto voi medesimo, che me, onde sia in quale stato si voglia il corpo mio, non me ne curo punto: prendete quello, che vi mando, e fatelo stampare. Addio.

AL VALVA SENSE

PAOLO COLOMBA Nr.

Prendete, stampate. L'Osservatore ha scritto in breve. La materia sua non basta ad empiere un foglio. Vi mando la vostra lettera, la mia, la sua, questo biglietto. Pubblicate ogni cosa. Ciò mi sarà anche di scusa appresso alle genti. Fate ch' io abbia il foglio Sabbato per tempo. State sano.

L'OSSERVATORE.

Trovandomi io a questi passati giorni soletto nella mia stanza, e pensando, come sono avvezzo, a varie cose, che appunto è indizio di non pensar a nulla, perchè chi ha un vero, ed efficace pensiero, non ha tempo d'andar vagando qua e colà col cervello; internandosi prin

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cipalmente nella sua unica intenzione, in essa stà fermo, e saldo; trovandomi io dunque, quale cominciai a descrivermi, egli mi parve in un subito di sentire un certo sordo stroppicciar di piedi fuori della stanza mia, ond' io curioso di saper chi fosse, dissi: Chi è là fuori? Ma crescendo tuttavia quel romore, qualunque si fosse, e non udendo risposta veruna, mi levai su di là dov'io sedeva, e aperto l'uscio, m' affaccio a quello per veder chi era. Vidi una femmina co' capelli tutti sparpagliati, che non solamente le cadevano sulle spalle di dietro, ma anche intorno alle tempie, ed agli occhi, coperta con un certo vestito logoro, da cui si spiccavano molti cenci, sicchè qua, e colà per le fessure le si vedeano le carni, benchè la fosse però, quanto al corpo suo, grassotta, e colorita in viso come una rosa damaschina, e l'avesse un'aria di sanità, che facea innamorare a vederla. Due volte aperse costei la bocca per favellare, ed altrettante in iscambio di parole, le uscì uno sbadiglio, e la cominciò anche a prostendere le braccia, con un oimè lungo e rotondo, che non avea mai fine come suol fare chi si risveglia dal sonno, ferito dal Sole, ch'entra per le finestre. Ad ogni modo io la sollecitava pure a dirmi chi ella fosse; ma non fu mai possibile, che profferisse parola ; nè si movea punto di là, nè parea che sapesse che fare. Se non che finalmente

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adagio

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adagio la si pose una mano in tasca, e ne trasse fuori un foglio con sì gran fatica, che avreste detto, che la ne cavasse fuori piombo; e come se non avesse potuto sostenerlo, lo lasciò cadere in terra, e guardandolo, si grattò il capo quasi disperata di poternelo più rilevare, onde con le lagrime agli occhi diede la volta indietro, con tanta lentezza, come se l'avesse avuto i piè cotti; ed io fra il guardar così strana figura, e lo star mezzo chino per prendere il foglio, e il ridere di così nuovo atto, stetti un pezzo, e tanto, che non vidi più la femmila quale quando piacque al cielo, m' uscì di vista. Allora, senza punto sapere quel, ch' io mi facessi, nè chi ella si fosse, ricolsi il foglio, e leggendo il titolo, che portava in fronritrovai, che questa era la sostanza della

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LE LODI

DELLA INFINGARDAGGINE.

Non attendete, o ascoltatori, che parlando di me, che sono l' Infingardaggine, vi faccia periodi brevi, sugosi, o con sostanza di troppo grave, e profonda materia; imperciocchè il parlare stringato arreca soverchia fatica, come quello che tosto finisce un senso, e vuole entrare in un altro subitamente La rotondità del

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