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grandissimo ordine tra le umane faccende. Dappoichè il Librajo mi disse tutte queste qualità, e che in effetto vidi, che l'amore posto dall' universale a' Lunarj piuttosto, che agli altri libri, è ragionevole ; deliberai di dimenticarmi quanto avea letto prima, e di non leggere altro da qui in poi fuorchè questo, accordandomi

con l'usanza comune.

Ecquem esse dices in mari piscem meum? Quos cum capio, siquidem cepi, mei sunt, habeo pro meis.

Plaut. in Rud.

Vorrestu dire che in mare vi sieno pesci ch' io non possa chiamare miei proprii?

Quando gli prendo, sono miei, e per tali gli tengo.

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Non saprei comparare l'ampiezza di questo mondo ad altro che ad un gran mare. Quest' aria che ci stà dintorno immagino che la sia le acque sue, nelle quali nuotano innumerabili pesci di varie ragioni. Le ricchezze, per esempio, sono un pesce grande, badiale, sopra tutti gli altri, come chi dicesse la Balena. Nuotano a schiere i diletti di diversi generi, qualii grossi, quali minuti, e altre qualità di pesci, che vengono giudicati beni. Ma è comune opi nione, che la maggior quantità sieno i mali. Noi altri uomini siamo come i pescatori, stiamo con la canna in mano, e senza vedere quel lo che corra all'amo, desiderosi di far buona preda, ci stiamo pescando giorno, e notte; et quando ci avvediamo che ci venga dato d'urto alla funicella, la caviamo fuori, e guardiamo di subito, che è quello che guizza. Chi ha la fortuna amica s'abbatte quasi sempre, se nom adi

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ad un pesce grosso di buona qualità, almeno a qualche pesciolino di buon sapore, o tale, che mangiandolo, se non solletica il palato, almeno non gli fa nè bene, nè male. All'incontro colui che l'avrà contraria, s'abbatte quasi sempre a tirare alla riva qualche pesce, che non è altro che lische, squame, puzzo, abbominazione della pescheria e d'ogni uomo. Cala un' altra volta l'amo, gli viene quel medesimo; tenta di nuovo, non c'è mezzo di scambiare. Che diavol sarà? Non è questo forse un mare comune? Non siamo forse tutti pescatori? E perchè ci ha ad essere cotanta diversità di buona, e di mala ventura; che i buoni, e saporiti pesci corrano tutti ad ingojare l'esca d'alcuni uomini solamente; e i tristi d'alcuni altri? E per giunta quegl' infelici, che sono alle mani con la mala fortuna hanno anche intorno le genti, che si fanno beffe di loro, e dicono che sono goffi, che non sanno far bene l'ufficio loro, che manca loro l'arte, e altre somiglianti barzellette, le quali, oltre al danno, gli fanno anche disperare. Chi può vedere quello che gli corre all' amo? Ogni uomo va a fare. la sua pescagione, con intenzione di trarne buon frutto; ma non può vedere i pesci, se prima non gli sono capitati alle mani. Allora solamente può capire di che qualità sieno. Qual arte ci potrebbe egli essere? Io veggo alcuni che se ne vanno come trasognati, e quasi fuo

,

ri di sè, e pescano con una negligenza, che tu diresti costoro gittano il tempo; e tuttavia ritornano co' canestri ripieni. All'incontro ne veggo infiniti che se ne vanno con tanto giudizio, che il fatto loro è una prudenza; e tuttavia o se ne ritornano co' canestri vôti per non avere pigliato nulla, o scontenti d'aver fatto una preda, per la quale hanno insanguimate, e squarciate tutte le mani.

Tali considerazioni faceva io tra me medesimo traportato dalla fantasia; e parea, che non potessi darmi pace; quando non so in qual modo mi si crollò di sotto a' piedi il pavimento, le travi di sopra parea, che uscissero delle muraglie, i vetri delle finestre fecero un subito suono; e altre maraviglie m'apparirono, non altrimenti che a' personaggi delle Tragedie Greche, quando talora fanno la narrazione d' un sogno. Quale io restassi, non ho parole, che mi bastino a poterlo significare; perch' io avea la lingua immobile, il mento mi danzava su' gangheri, la pelle mi s'era tutta coperta di minutissimi granellini, e non avea pelo in capo, che non mi si fosse arricciato. Non ardiva d' alzare gli occhi; ma, chinato il capo, guardava così per canto ora di qua ora di là un pochetto, temendo sempre, che mi si rovesciasse addosso la stanza dove io era e già mi parea, che lo spirito dicesse addio allo schiacciato corpo, e fuori se ne volasse. Quando io credea

che

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che l'ultimo sterminio mi fosse più da vicino, eccoti in un tratto consolidarsi tutto quello, che intorno poco prima mi vacillava con grandissimo tremito; e quello, che più mi parve strano, udii un altissimo ridere o piuttosto uno smoderato sghignazzare che si facea di fuori, e poco andò, che spalancatosi l'uscio da sè, entrò una femmina con un aspetto cotanto gioviale, e di presenza così lieta, e ridente, che in un subito tutto il mio passato timore si scambiò non solo in sicurezza, e quiete, ma in una non più sentita consolazione. Colei, senza altro dire, nè fare, si pose a sedere in faccia a me, e dopo d'avere alquanto riso ancora, quasi volesse compiere la risata, che avea cominciata di fuori, incominciò a parlare in questa guisa: Nonavresti tu forse creduto all' udire poco fa cotanto romore, e al vedere tante strane maraviglie, che dovesse venir finimondo che ti cadessero addosso le stelle? che gli elementi si mescolassero nella loro antica confusione? E infine che ti pare? sono io però così mala cosa, comechè ti sia stata annunziata da così fatto fracasso ? Quasi io non sapea, che rispondere, tanto era sopraffatto dallo stupore; ma finalmente animato dall' aspetto di lei, le dissi: Chiunque tu ti sia, che ti degni di venire alla mia stanza, io mi ti professo grandemente obbligato ; ma ti confesso ch'io non saprei veramente come sì leta e graziosa femmina qual veggo che tu

sei.,›

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