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ranno dunque volentieri i circostanti la narrazione dell' andata d'Ulisse con la fanciulla al Sacerdote, de' sagrifizii fatti ad Apollo, e di tutte l'altre circostanze di quella invenzione; e rimarranno consolati quando udiranno, che il Nume ha fatta già cessare la pestilenza. Così andando a passo a passo, ritroverà l'accorto leggitore, che la mirabilità introdotta nel poema d'Omero è sempre un artifizio per preparare gli animi ad ascoltare volentieri il restante.

Quello, ch' io dico d' Omero, si può vedere esser vero anche di Virgilio, e di Dante. Quest' ultimo più facilmente di tutti gli altri può far comprendere la verità da me detta; imperciocchè la Religione da lui nel suo poema introdotta è quella che vive negli animi nostri, ed ha grandissima forza in essi. Egli con la magnificenza di quella rende attenti i suoi leggitori, e gli chiama a sè per poter poscia farsi ascoltare. Dello stesso artifizio si valse il Tasso, e gli riuscì. Ma non basta che di ciò si valessero i poeti Epici. Dove lascerò io una gran parte degli altri generi di poesia? Può ognuno esaminare da sè che cosa fossero le Tragedie de'Greci, che l'Ode, che gl' Inni : e si può ancora vedere oggidì, che di tutte le Tragedie del Signor di Voltere la Zaira, l'Alzira, e il Maometto hanno una forza a tutte l'altre di lui superiore. A quanto ho dunque detto fino al presente, credo di poter conchiudere che la Religione sia b 2

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stata sempre il più gagliardo mezzo usato da' Poeti, per chiamare gli animi a sè, e ridurgli in istato d'attenzione.

VISION E.

Un tempo bujo, e strano, sì ch'io n' andava per un cupo deserto vôto d' uomini, e d' animali senza sapere dov'io n'andassi, mi faceva temere il momento di rompermi il collo, cadendo giù da qualche altissimo dirupo, affogarmi in qualche pozzanghera, o lago, che innanzi agli occhi non m' apparisse. Per giunta alla caligine che m'ingombrava la vista, m'udia fischiare negli orecchi un orribile strepito di venti che percuotendomi anche nel restante del corpo, qua mi faceano aggirare, colà cadere con una mano in terra tanto che mi parea, che di sotto mi fossero quasi tronchi i nervi delle ginocchia; e non sapendo più che mi fatremandomi il cuore, come una foglia, mi posi a sedere sul terreno, attendendo che qualche raggio di luce apparisse. Fra tante calamità un solo conforto mi rinvigoriva l'animo, e diceva fra me: Egli mi sembra oggimai d'essere pervenuto al colmo de' mali miei; e quando la ruota di fortuna è giunta a segno tale, ch' essa non possa dar la volta allo ingiù, di necessità avviene, che il corso suo si muti alla fine e che coloro, i quali erano poco prima

re,

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vicini alla loro estrema rovina, a poco a poco titornino allo insù, o almeno non sieno per cadere nel minacciato precipizio. Mentre ch'io diceva così fatte parole nell'animo mio alquanto riconfortato, egli mi parve che la furia del vento cominciasse alquanto a cessare; quella grassa nebbia che poco prima tenevami gli occhi occupati si diradava alcun poco, e già avresti detto che fosse giunta quell' ora, in cui nè giorno si può dire che sia, nè notte, per modo ch'io potea, aguzzando le ciglia, qualche cosa scoprire. Chi potrebbe mai credere quello ch'io dirò? Non era la solitudine, in ch' io mi ritrovava, nè alpestra, nè incolta, come lo spavento me, l' avea fatta immaginare, ma un verde prato sotto a' piedi formava un tappeto di minutissime erbe, e di mescolati fiori d'ogni colore vario, e dilettevole a vedersi; ed essendo oggimai allargatasi intorno a me la luce; vedea che stendevasi la praterìa a lunghissimi confini, e qua e colà alzavansi con bellissimo ordine disposti molti arboscelli, poco più alti che la statura dell'uomo, da' quali così un poco alzando le mani, si potea cogliere ogni qualità di frutto, il cui odore, portato da soavi zefiri, incitava la voglia a spiccarne. Oh! diceva io allora Vedi che pure non era il caso mio cotanto disperato, quanto la conceputa paura me lo facea credere! Venuta è la luce; e comechè io mi ritrovi qui solo, avrò pure di che poter vivere

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vivere fino a tanto, che camminando esca fuori di qua, è ritrovi qualche abitato luogo, dov' io, oltre al piacere di rivedere le genti, avrò ancora quello di raccontar loro questa piacevole, e maravigliosa novella. Ma che? egli non fu anche vero fra poco, che quivi io mi ritrovassi solo, come mi parea d'essere; imperciocchè da ogni lato sbucarono uomini, e femmine, e si diedero qua, e colà chi a voler per lo prato ricogliere fiori, e chi alzando le mani tentava di spiccare dalle piante le colorite polpe delle frutte. Che pensar si può, che fosse di me, quand' io vidi che i poverelli tutti s'affaticavano invano, e che quando uno si chinava per cogliere un fiore, questo non altrimenti, che se fosse stato una picciola vescica ripiena d'aria, facea uno scoppietto, e svaniva; e se v' avea chi alzasse le mani per ispiccare o pera, o pesche, l'albero, che poco prima a pena oltrepassava l'umano capo, come se egli avesse avuta nel midollo l'energia d'una molla, dirizzavasi da sè stesso allo insù tant'alto, che non avrebbero più raggiunte le frutte quegli antichi, e favolosi Giganti, de' quali si raccon

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che movessero la guerra a Giove. Ansavano i miserelli popoli, e grondava loro la fronte di sudore; ma per tutto ciò non si stancavano mai di tentare la loro ventura, e benchè sempre si ritrovassero gabbati, ricominciavano la medesima tresca, senza mai darsi posa

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comechè ogni volta si ritrovassero ingannati, fatto prima un poco di mal viso come suol fa re chi viene truffato, poco stavano a ripigliare la consueta aria della faccia; e parea che dicessero: Non ci stanchiamo, che bene ce ne avverrà . Comechè la maraviglia mi tenesse parte impacciato, e parte il dolore, perciocchè quello che accadeva altrui, vedeva benissimo, che fra poco sarebbe a me medesimo accaduto, pure io non potea far a meno di non ridere, a vedere che tanto riusciva il tentativo vano a coloro, i quali senza pensiero s'avventavano a cogliere; quanto a molti altri, i quali studiavano prima infinite cautele, e misuravano i passi per giungere alla fine del desiderio loro. Finalmente stimolato anch'io dalla fame, mi levai in piè dal luogo, dove stava a sedere, e volli far prova, se la fortuna mia fosse stata migliore di quella degli altri. M' avvenne quello stesso, che a tutti gli altri. Io potei bene alzar le mani ora ad una ficaja, ora ad un susior ad un melo, che sempre n'andarono fino alle stelle; e quel che più strano mi parve, si fu, che fino un mellonajo, come s'esso avesse avuto l'ale, in un batter d'occhio s'alzò, e portò seco i poponi suoi in aria, sì che mi stavano molte braccia sopra il capo pendenti. O fosse la fame, o la novità di quella faccenda, che mi stimolasse; mi cadde in pensiero, che non sempre la dovesse essere a quel modo,

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