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rà da qui in poi per quel restante che ancora t'avanza. Così detto, guardandomi con un'amorevole occhiata, la si disperse nell'aria, e se ne andò a'fatti suoi. Sono io ancora nel suo deserto? Veggomi io ancora intorno que' fiori, e que' frutti? Nol so. Ma dico bene che quantunque mi sembri ch' ella non favellasse affatto fuor di ragione, non sa l'animo mio appagarsi delle sue parole, e quanto più penso alla sua diceria, tanto più mi pare ch'ess' abbia del sofistico, e un certo che di voglia del darla ad intendere altrui, che non mi garba affatto. Ricordomi sempre di quel proverbio fringuello in man, che in frasca tordo: e vorrei piuttosto avere da Fortuna il fringuello, che correre dietro al tordo della Speranza. Ma che s' ha a fare? Ad ogni modo, come mi diss' ella, io son giunto con gli anni molto bene avanti e mangio, e vivo, e beo, e vesto panni. Molte volte ho avuto di che ridere anch' io, quanto un altro, e talvolta rido tuttavia; sicchè ad ogni modo è quel medesimo; voglio darmi degl' impacci del Rosso.

Meglio è

e now

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Manent opera interrupta, minæque
Murorum ingentes .

Virg.

Ecco quali edifizii, e quali alte muraglie vengono da me lasciate imperfette.

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Concedami la gentilezza, e umanità di tutti coloro, che hanno consuetudine di leggere questi fogli, ch'io, lasciati per oggi gli usati argomenti, ne' quali ragiono brevemente ora d' una cosa, or d' un' altra traendo il tutto ad un certo aspetto di facilità, e ad alcune immaginazioni di piacevolezza; compiaccia in qualche parte all'animo mio doglioso, e alla mestizia di molti de' miei buoni, e cordiali amici. E molto più siami di tanto liberale, ch' io possa, in quanto per me si può, fare onorevole ricor danza d'un egregio Giovane (a), rapito a questi giorni da morte, poco meno, che subitamente, alla conversazione degli ottimi amici suoi, ed in cui hanno perduta non piccola speranza le buoni Arti, delle quali egli era, con tutto l'animo suo, sviscerato amatore.

Chi può negare questo pio uffizio all'amicizia? Chi può non ricordarsi d' un giovane, il quale

(a) Don Giovannantonio Deluca Veneziano.

quale avea congiunte ad un nobile, e capacissimo ingegno, tutte quelle morali virtù, che rendono un uomo caro a chi lo conosce? Chi dimenticarsi d'uno, in cui di giorno in giorno si vedeano crescere belle, e nobili cognizioni, e sempre più purificarsi i costumi? E come potrò io non ragionarne particolarmente, che conosciutolo quasi da' primi, e più teneri anni suoi, vidi, si può dire, accendersi nell'animo suo le prime faville dell' intelletto, e quelle continuamente aumentarsi per modo, che fra pochi anni avrebbe dato di sè bellissime prove?

-Fin dalla sua più fresca età avea egli stabilito di rendersi Religioso; e comechè que' più fervidi anni, principalmente ne' giovanetti d'ingegno, sieno difficili a rattemperarsi, è cosa mirabile a dirsi in qual modo egli avesse già nel cuor suo determinato il metodo della sua vita. Mai non l'udii a ragionar d'altro, che d' adornare l'animo suo d'onesti, e virtuosi costumi; e quegli, in cui sapeva egli, che tali fossero, era da lui sottilmente osservato, e incontanente amato come fratello, essendo egli usato a dire, che non tanto era obbligato a'libri, quanto alle azioni d' un uomo dabbene; perchè là dove quelli a lungo, e con parole l' ammaestravano, questi con brevità gl' insegnava, gli lasciava più vivi stampati nel cuore gl' insegnamenti, aggiunti alle circostanze e da potersene più facilmente valere nel corso della i 2

sua

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sua vita. In questa guisa crescendo, egli era pervenuto a tale, che oltre all' essere di molte belle virtù fornito egli medesimo, ragionava con tanta acutezza, e penetrazione intorno agli animi umani, che peritissimo conoscitore si dimostrava; e quello, che più è, valendosi della dottrina sua la facea misura della sua vita. Conobbe, e pose ad esecuzione tutte le obbligazioni, che ha l'uomo onesto con la sua famiglia, di tutti i doveri dell' amistà fu maraviglioso osservatore; nè è fra quanti ebbero di lui conoscenza alcuno, che pure un menomo difetto nella custodia delle sue azioni gli potesse apporre. Quanto è alla coltivazione dell' intelletto nelle buone Atti, delle quali era ardentemente innamorato non si potrebbe dire con quanto fervore si desse tutto allo studio. E quello che non è degno di picciola ammiraziosi è, che uscito delle scuole, dove era stato guidato, lontano da quel vero sapore, che fa conoscere la bellezza negli scrittori, e allattarsi ne' buoni, e in quelli che profondamente conoscendo la natura, camminano per la dritta via; conobbe da sè solo l'errore, e per forza di suo intelletto, ritraendosi dal primo sentiero, e pel diritto avviandosi, fece in breve tempo tanto avanzamento, che se fosse piaciuto a Dio di concedergli più lunga vita, sarebbesi veduto uno de' migliori, e più perfetti sagri Oratori di questo secolo, e insieme uno de' più elegan

ne,

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ti, e giudiziosi Poeti. Datosi a queste due applicazioni, e principalmente alla prima, parea che gravi gli fossero tutte quelle ore che di necessità il sonno, o gli altri uffizii della vitagli toglievano allo studio; nè mai di sapere parea sazio. I primi Padri della Chiesa, e spezialmente i greci, erano il suo amore, e da quelli traeva il sugo delle dottrine, e insieme quella maschia, naturale, e vera eloquenza, che con giunge alla persuasione la sublimità convenevole agli argomenti divini, e al sagro Dicitore, che dall' alto ragionando, è maestro di grandi, ed importanti dottrine. Per la qual cosa non contento di leggere quegli antichi maestri, acciocchè più gli entrassero nella mente, e gli si con. vertissero in sugo, ed in sangue, prima anco

ra,

avea nuova ca

che ordinato fosse Sacerdote, avea già volgarizzate parecchie Orazioni d'essi Padri greci, dieci delle quali fra l'altre, stimolato dagli amici suoi pubblicò (a), dicendo, per ischerzo, d essere obbligato a chi gliele facea dare in luce, perchè correggendo la stampa, gione di leggere, e di studiare quell'opere. Per conforto poi dell'ingegno, e per ricreazione, trapassando da que' faticosi studii alla dolcezza della poesia, prese a tradurre in verso sciolto Ita

(a) Dieci Orazioni di tre eloquentissimi Padri greci volgarizzate da Giovannatonio Deluca. In Venezia appresso Paolo Colombani 1760. in 8.

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