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Siete pur voi quell'unica
Luce de' giorni miei?
Gli affetti ch'io perdei

Nella novella età?

Se al ciel, s'ai verdi margini, Ovunque il guardo mira, Tutto un dolor mi spira,

Tutto un piacer mi dà.

Meco ritorna a vivere

La piaggia, il bosco, il monte;
Parla al mio core il fonte,
Meco favella il mar.

Chi mi ridona il piangere

Dopo cotanto obblio?
E come al guardo mio
Cangiato il mondo appar?

Forse la speme, o povero
Mio cor, ti volse un riso?
Ahi della speme il viso
Io non vedrò mai più.

Propri mi diede i palpiti
Natura, e i dolci inganni.

Sopiro in me gli affanni

L'ingenita virtù ;

Non l'annullâr: non vinsela

Il fato e la sventura;

Non con la vista impura

L'infausta verità.

Dalle mie vaghe immagini

So ben ch'ella discorda:

So che natura è sorda,

Che miserar non sa.

Che non del ben sollecita Fu, ma dell'esser solo; Purchè ci serbi al duolo,

Or d'altro a lei non cal.

So che pietà fra gli uomini
Il misero non trova;

Che lui, fuggendo, a prova
Schernisce ogni mortal.

Che ignora il tristo secolo
Gl'ingegni e le virtudi;
Che manca ai degni studi
L'ignuda gloria ancor.

E voi, pupille tremule,
Voi, raggio sovrumano,
So che splendete invano,
Che in voi non brilla amor.

Nessuno ignoto ed intimo

Affetto in voi non brilla:
Non chiude una favilla
Quel bianco petto in se.

Anzi d'altrui le tenere
Cure suol porre in gioco;
E d'un celeste foco
Disprezzo è la mercè.

Pur sento in me rivivere Gl'inganni aperti e noti;

E de' suoi propri moti

Si maraviglia il sen.

Da te, mio cor, quest'ultimo

Spirto, e l'ardor natio,

Ogni conforto mio

Solo da te mi vien.

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Sedevi, assai contenta

Di quel vago avvenir che in mente avevi.

Era il maggio odoroso: e tu solevi

Cosi menare il giorno.

lo gli studi leggiadri

Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo

E di me si spendea la miglior parte,
D'in su i veroni del paterno ostello

Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce

Che percorrea la faticosa tela.

Mirava il ciel sereno,

LEOPARDI. Opere. — 1.

10

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Le vie dorate e gli orti,

E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice

Quel ch'io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,

Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia

La vita umana e il fato!

Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme

Acerbo e sconsolato,

E tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,

Perchè non rendi poi

Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?

Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;

Non ti molceva il core

La dolce lode or delle negre chiome,
Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai di festivi
Ragionavan d'amore.

Anche peria fra poco

La speranza mia dolce: agli anni miei

Anche negaro i fati

La giovinezza. Ahi come,

Come passata sei,

Cara compagna

dell'età mia nova,

Mia lacrimata speme!

Questo è quel mondo? questi

I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi

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