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IV.

NELLE NOZZE DELLA SORELLA PAOLINA.

Poi che del patrio nido
I silenzi lasciando, e le beate

Larve e l'antico error, celeste dono,
Ch' abbella agli occhi tuoi quest' ermo lido,
Te nella polve della vita e il suono
Tragge il destin; l'obbrobrïosa etate
Che il duro cielo a noi prescrisse impara,
Sorella mia, che in gravi

E luttuosi tempi

L'infelice famiglia all' infelice

Italia accrescerai. Di forti esempi
Al tuo sangue provvedi. Aure soavi
L'empio fato interdice

All'umana virtude,

pura in gracil petto alma si chiude.

O miseri o codardi

Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
Tra fortuna e valor dissidio pose
Il corrotto costume. Ahi troppo tardi,
E nella sera dell' umane cose,

Acquista oggi chi nasce il moto e il senso.
Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda
Questa sovr' ogni cura,

Che di fortuna amici

Non crescano i tuoi figli, e non di vile

Timor gioco o di speme: onde felici
Sarete detti nell' età futura:
Poichè (nefando stile

Di schiatta ignava e finta)

Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.
Donne, da voi non poco

La patria aspetta; e non in danno e scorno
Dell' umana progenie al dolce raggio
Delle pupille vostre il ferro e il foco
Domar fu dato. A senno vostro il saggio
E il forte adopra e pensa; e quanto il giorno
Col divo carro accerchia, a voi s' inchina.
Ragion di nostra etate

Io chieggo a voi. La santa

Fiamma di gioventù dunque si spegne

Per vostra mano? attenuata e franta
Da voi nostra natura? e le assonnate
Menti, e le voglie indegne,

E di nervi e di polpe

Scemo il valor natio, son vostre colpe?

Ad atti egregi è sprone

Amor, chi ben l' estima, e d'alto affetto
Maestra è la beltà. D'amor digiuna
Siede l'alma di quello a cui nel petto
Non si rallegra il cor quando a tenzone
Scendono i venti, e quando nembi aduna
L'Olimpo, e fiede le montagne il rombo
Della procella. O spose,

O verginette, a voi

Chi de' perigli è schivo, e quei che indegno
È della patria e che sue brame e suoi

Volgari affetti in basso loco pose,
Odio mova e disdegno;

Se nel femmineo core

D'uomini ardea, non di fanciulle, amore.
Madri d'imbelle prole

V'incresca esser nomate. I danni e il pianto
Della virtude a tollerar s'avvezzi

La stirpe vostra, e quel che pregia e cole
La vergognosa età, condanni e sprezzi;
Cresca alla patria, e gli alti gesti, e quanto
Agli avi suoi deggia la terra, impari.
Qual de'vetusti eroi

Tra le memorie e il grido

Crescean di Sparta i figli al greco nome;
Finchè la sposa giovanetta il fido
Brando cingeva al caro lato, e poi
Spandea le negre chiome

Sul corpo esangue e nudo

Quando e' reddía nel conservato scudo.

Virginia, a te la molle

Gota molcea con le celesti dita
Beltade onnipossente, e degli alteri
Disdegni tuoi si sconsolava il folle
Signor di Roma. Eri pur vaga, ed eri
Nella stagion ch'ai dolci sogni invita,
Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe
Il bianchissimo petto,

E all' Erebo scendesti

Volonterosa. A me disfiori e sciogli

Vecchiezza i membri, o padre; a me s'appresti, Dicea, la tomba, anzi che l' empio letto

Del tiranno m'accoglia.

E

se pur

vita e lena

Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena.

O generosa, ancora

Che più bello a' tuoi di splendesse il sole
Ch' oggi non fa, pur consolata e paga

È quella tomba cui di pianto onora L'alma terra nativa. Ecco alla vaga Tua spoglia intorno la romulea prole Di nova ira sfavilla: ecco di polve Lorda il tiranno i crini;

E libertade avvampa

Gli obbliviosi petti; e nella doma
Terra il marte latino arduo s' accampa
Dal buio polo ai torridi confini.
Così l'eterna Roma

In duri ozi sepolta

Femmineo fato avviva un'altra volta.

V.

A UN VINCITORE NEL PALLONE.

Di gloria il viso e la gioconda voce,
Garzon bennato, apprendi,
E quanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude. Attendi attendi,
Magnanimo campion (s' alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi, e il core
Movi ad alto desio. Te l' echeggiante
Arena e il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore;
Te rigoglioso dell' età novella
Oggi la patria cara

Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
Del barbarico sangue in Maratona

Non colorò la destra

Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
Che stupido mirò l' ardua palestra,
Nè la palma beata e la corona

D'emula brama il punse. E nell' Alfeo
Forse le chiome polverose e i fianchi

Delle cavalle vincitrici asterse

Tal che le greche insegne e il greco acciaro

Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi

Nelle pallide torme; onde sonaro

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