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§ I.

Contra

Maestri di G. Leopardi Sua felice fanciullezza e generosi istinti sto fra lui e la società, fra il suo spirito e il suo corpo Onanismo Sua bieca educazione domestica e letteraria Ignora la sua vocazione poetica A mezzo della sua breve vita reagisce contro la cattiva educazione Si eleva in onta alla natura avversa, alla pa

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Fanatismo e pedanteria

tria e alla famiglia — Oscura lista de' suoi lavori giovanili

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Saggio sugli Lettere della sua famiglia a Giacomo La zia Ferdinanda Vigilanza severissima de' parenti.

errori popolari
Carlo e Paolina

Giacomo Leopardi deve tutto a se stesso. Fino a dieci anni fu abbandonato all'istruzione di un prete così capace, che manifestò non sapere, caso stranissimo, che più insegnargli. Per quanto di precoce e straordinario ingegno, un fanciullo di quell'età ha molto da imparare, e se i suoi maestri preti aveano vuotato tutto il sacco, vuol dire che in quel sacco non ci era molta farina. Tanta prova di sapienza da parte loro mostra pure che il conte Monaldo avendogli proposti dispensieri di scienza a' suoi figli, non

ne stava lui stesso meglio de' preti, onde gli elogi che fanno della sua dottrina certi biografi, mostrano che tanto il Conte, quanto i maestri de' suoi figli ed essi biografi sono tutti quanti della medesima risma.

Or questo fanciullo che a dieci anni vinse la stessa presunzione di maestri i quali come ecclesiastici e pedagoghi non sogliono esser molto famigliari con la modestia, era nato non solo d'ingegno, ma ricco de' più bei doni fisici e morali. Era nato sano, instancabilmente pronto a' giuochi fanciulleschi, tutto moto e riso, ebro di vita, di libertà, avido di gloria. Non si vide mai vitalità più piena ed esuberante, massime se si consideri l'educazione fratesca e mortificata che in Italia allora si dava a' ragazzi, e più se di famiglia aristocratica e per giunta chiericale, educazione tanto lontana da quella liberissima svizzera ed inglese. Ma questi era un contino poco savio, niente grave, anzi un vero diavoletto. La più rosea aurora precedè in lui una funebre giornata. Quell'aurora fu un punto solo, d'eterna memoria. E poi venne una bufera infernale raramente rischiarata da raggi rapidissimi di luce celeste. Quante volte il Pocta tornerà su quelle prime ore non si tosto apparse che perdute.

« La fanciullezza di Giacomo passò fra giuochi e

capriole e studj, diceva suo fratello Carlo; studj per la sua straordinaria apprensiva incredibili a quell'età. Mostrò fin da piccolo indole alle azioni grandi, amore di gloria e di libertà ardentissimo (1). »

Questo amor di gloria lo accompagnò lungamente. Fin nel 1817, in età di 19 anni, ancora inesperto che la gloria in Italia non si concede che a' morti o a' vivi mediocri, scriveva al Giordani: « La mediocrità mi fa una paura mortale.... Io voglio alzarmi e farmi grande ed eterno. » E l'anno 1819 al padre, nella lettera scritta quando disegnava fuggir di casa: «< .... Voglio piuttosto esser infelice che piccolo. »

Amor di gloria e di libertà! Dite meglio amor di gola, di sonno, di servitù, di raggiri, d'ipocrisia, ecco gl'idoli onorati, ecco la via che qui mena alla felicità; e chi non vuole intendere, tanto peggio per lui. In fatti Giacomo Leopardi fu infelice, grande soltanto dopo la morte e particolarmente per opera de' Tedeschi.

De' Tedeschi come Bunsen, De Sinner, Niebuhr primamente lo distinsero dal volgo de' letterati italiani e si adoperarono tanto per ottenergli da vivere, pena tutta inutile presso il Governo pontificio: onde

(1) Appendice all'Epistolario, ecc., per cura di P. VIANI, p. 32.

il barone Carlo Bunsen scriveva in un impeto di collera e di disprezzo: «Oh se fossi io ricco, Leopardi fra un mese passerebbe le Alpi (1). » Altri stranieri dopo la morte lo han reso noto a tutto il mondo e rinverdita la sua memoria, ciò che egli non poteva mai aspettarsi dalla sua patria.

« Non poteva soffrire alcun disprezzo, continua Carlo sulla fanciullezza del fratello. Sdegnavasi fortemente e piangeva se alcuno della famiglia cedeva in cose d'onore. Ne' giuochi e nelle finte battaglie romane che noi fratelli facevamo nel giardino, egli si metteva sempre primo. Ricordo ancora i pugni sonori che mi dava (2), »

Troppo lieta ed eroica fanciullezza a chi era destinato a trascinare una vita miserabile per tutti i versi. Quindi il suo grande amore e il sospirar continuo al passato.

Il plangere ancor bambino quando altri cede in cose d'onore, il mettersi sempre primo « nelle battaglie romane » sono istinti che mal si accordano con gli spiriti cauti e materialisti dominanti generalmente nel suo paese. Il disaccordo è troppo grave.

B come se questo disaccordo non bastasse fra se e la società, fra se e la famiglia, ne sorge un altro

1) Ware is read, or slide in einem Monat über den Alpen sein.

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immenso fra il suo spirito e il suo corpo; e cielo e inferno si urtano in lui. Oramai ci è svelata l'origine de' primi suoi mali fisici. La natura come pentita d'avergli largito tanti doni, a un tratto se ne vendicò infrangendo quel vigoroso corpicino de' cui « pugni sonori » sempre si ricordava il robusto Carlo. La provvida natura disfece brevissimamente quel corpo, lo colpi fra' sette e gli otto anni improvvisamente d'onanismo. Il povero Leopardi dunque, offeso nella prima fanciullezza da onanismo, questa è la più dolorosa novità recataci dall'Appendice all'Epistolario ed agli scritti giovanili di Giacomo Leopardi, per cura di Prospero Viani.

«Provò funestamente precoce la sensibilità della natura. Anticipò quattro o cinque anni l'età dello sviluppo. Indi, com'egli mi confessò poi, tutti i mali fisici della sua vita (1). »

Questi i pochi frammenti che ci restano sulla fanciullezza straordinaria di Giacomo Leopardi. Giovane * uomo, fu storico perfetto a se stesso nelle opere che ha lasciato.

Ma se i preti non avevano più nulla da însegnargli in latino e in greco, i germi d'educazione infusi nel fanciullo da loro e dalla famiglia dovevano por

(1) Appendice all'Epistolario, ecc., p. 33.

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