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dice il chiarissimo Paolo Costa nella Vita, che in lui furono ardentissimi gli affetti; ma, per quanto è conceduto alla natura umana, rattemprati sotto l' impero della ragione. Da questi affetti sempre riaccesi nelle discordie civili, presero qualità le sue parole e i suoi versi. Non ultima frå le passioni sue fu quella d'amore, la quale per lui prese abito si gentile, che le amorose Canzoni, e le Prose del Convito, e della Vita Nuova gli animi giovanili stogliendo dall' appetito sensuale, gli accendono di amore casto e purissimo ». Se Francesco Stabili, conosciuto sotto nome di Cecco Ascolano, gli mosse vile e pazza guerra; aveva però dapprima ambita la sua amicizia ed ottenutala; e si fu per sola invidia, che in seguito cangiossi in suo morditore. Pare, che, se vero fosse quanto assevera il Pelli, essere cioè state le tristi vicende, alle quali andò soggetto, conseguenza deł suo inquieto e torbido genio; la storia n' avrebbe dato contezza d' alcuno altro suo contemporaneo venuto a nimicizia con lui, e provocato da' suoi supposti aspri modi in alcuno de' tanti luoghi da lui visitati nella sua peregrinazione. Non erano già Ghibellini,. com' egli, tutti que' Principi italiani, ai quali l'esilio, accompagnato sempre da ogni. maniera di patimenti, il costringeva ad avere ricorso. Ebb' egli quindi a dire: « conciossiacosachè io mi sia quasi a tutti gl' Italici appresentato, fat-,

to mi sono più vile forse, che 'l vero non vuole». Taluno però potrebb' anzi argomentare sottilmente, ch' egli fosse in famigliarità ed in amorevolezza di molti, anche solo in osservando, che di Durante, com' era suo nome, sempre fu detto Dante, con quel vezzo, con che di Guittoncino, diminutivo di Guittone, quegli de' Sinibuldi da Pistoja fu detto Cino. Ma già le altrui ingiustizie,

Calcando i buoni, e sollevando i pravi,

in. XIX. 105.

giungono ad alterare in noi le bontà della stessa natura, e fanno inclinare a misantropia, almeno nell' apparenza de' costumi, i migliori amici dell'umanità: nè il buono Alighiero quindi seppe dissimulare l'odio fazionario, da cui finalmente fu il suo spirito amareggiato. E basti bene a prova re, che sempre nobile si fu la sua alterezza, il non aver egli voluto, al prezzo di comparire col→ pevole, nè il retaggio paterno, nè la patria pur. tanto da lui lacrimata. Si contentò più presto di girne ramingo, ed incerto dove posar le sue ossa, che vivere agiato, col dichinare a viltà.

Dante parve disdegnoso anche perchè non seppe dissimulare, come conoscesse i proprj meriti, e i diritti reali, che aveva alla pubblica stima, e quindi come a fronte degli altri sentisse altamente di sè. Quando si trattò d'inviarlo a Bonifazio

VIII, mentre pur era de' Priori, disse agli amici s'io vo, chi resta? e se io resto, ehi va? Ma queste parole, che imputar voglionsi ad arroganza, potrebbonsi meglio attribuire alla conoscenza delle proprie virtù, ed a' sentimenti di carità e di fede verso la patria. Nessuno può revocare in dubbio, che governando lo Stato coll'autorità de' Priori, magistrato supremo nella Repubblica, benchè appena dal 15 di giugno al 15 d'agosto, essendo Gonfaloniere Fazio da Micciola, portato non si fosse molto sinceramente, e con ogni grandezza d'animo. Dante sembra orgoglioso, quando invoca la propria mente, come la migliore Deità, che possa venirgli al soccorso in tanta impresa; ma prova in effetto poi con quanta maggior ragione la invochi egli,

Che sopra gli altri com' Aquila vola,

Inf. IV. 96.

di quella che abbiansi tant' altri poeti nell' invo care la Musa. Nel decimoterzo Canto del Purgatorio, trovandosi tra gl' invidiosi, dice: qui pure a me saranno cuciti gli occhi, ma per poco tempo, perocchè poca è l'offesa da me fatta a Dio col mirare invidiosamente l' altrui bene. Maggiore assai è la paura del tormento, che si dà ai superbi nel balzo inferiore, per cui l'anima mia è, in apprensione talmente, che già fin d'ora parmi d' avere indosso i pietroni di laggiù.

Troppa è più la paura ond è sospesa›
L'anima mia del tormento di sotto:
Che già lo incarco di laggiù mi pesa.
Purg. XIII. 136.

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Ma doinandato nel Canto susseguente da Messer Guidò del Duca da Brettinoro e da Messer Ri-. nieri da Calboli di Romagna a dir chi egli si fosse, risponde modestissimo:

Dirvi chi sia, saria parlare indarno;

Che 'l nome mio ancor molto non suona...

Purg. XIV. 20.

» Dante, scrive il Doni nella Zucca, chè ragionò di cose si profonde e si alte, non pose un nome altissimo al suo libro, come sarebbe stato, Idea della Divinità, dove si dà cognizione dei Cieli e degl' Inferni del mondo: anzi disse Commedia ; alla barba di coloro, i quali d' una semplice imbrattatura di quattro fogli fanno una macchina più alta, che la torre di Nembrotto ».

Dante, comechè di mezzana statura, uomo essendo di validé membra, di volto lungo, di grandi occhi ed acuti, di naso aquilino, e di larghe mascelle, col labbro inferiore sporto e più grosso che quello di sopra, e di color bruno con barba e capegli crespi e spessi, attirava a sè gli sguardi curiosi de' circostanti. Camminava egli grave e mansueto, d'onestissimi panni vestito. Franco Sacchetti,

nato due lustri appena dopo mancato l' Alighiero, una fiata, Nov. 115; ne lo dipinge coll' armadura alla gola, detta gorgiera, e coll' armadura al braccio, detta bracciajuola, come allora era usanza, ben anche mentre se ne andava per suo diporto in alcuna parte per la città di Firenze. Parlava rade volte, ed attendeva di essere domandato, e rispondeva pensatamente con voce convenevole, dopo essersi ben bene seco stesso consigliato: non pertanto facile nella prolazione, sottile nelle risposte, fu eloquentissimo dove si richiedeva. Fu polito e di grato aspetto, comunque pieno di gravità: fu ordinato e composto ne' costumi, moderato nel vitto, assiduo e vigilante negli studj. Perduto avendo nella puerizia il padre suo Alighieri, egli confortato dalla madre, chiamața Bella, e guidato dal proprio senno, trovossi valoroso ed avveduto ad ogni onesto giovenile esercizio, e ad ogni allettamento della vita, giusta le forze del suo patrimonio, sufficiente a vivere con onore nelle sue possessioni in Camerata, nella Piacentina, ed in Piano di Ripoli, e nelle case assai condecenti, ed in suppellettile abbondante e preziosa. Quantunque poi si dilettasse, col crescere degli anni, d'essere solitario e rimoto dalle genti, e di fuggir sempre la vulgar turba; e l'abituatezza alla contemplazione gli facesse contraere un contegno austero ed astratto, non senz' alcun' ombra d'aspe

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