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ta forza, per lodare un ritratto di scultura o di pittura; che io non credo, che fosse quasi possibile trovare le più a proposito, e le più atte».

Contrasse Dante amicizia in Bologna con quell'Odorigi da Gubbio, che nel 1298 fu da Bonifazio VIII chiamato a Roma con Giotto, ed impiegato a miniar libri. Questo Odorigi uscito dalla scuola di Cimabue era stato il maestro di quel Franco Bolognese, dal quale confessa nella Divina Commedia essere stato superato appunto, come Cimabue da Giotto. Nell' undecimo Canto del Purgatorio Dante si fa dare il titolo di fratello da questo famoso miniatore, probabilmente per farsi annunciare di lui condiscepolo nello studiar l'arte del disegno.

E videmi, e conobbemi, e chiamava,
Tenendo gli occhi con fatica fisi

A me, che tutto chin con loro andava.
O, dissi lui, non se' tu Oderisi,

L'onor d'Agobbio, e l'onor di quell' arte,
Ch' alluminare è chiamata in Parisi?

Frate, diss' egli, più ridon le carte,

Che pennelleggia Franco Bolognese:
L'onore è tutto or suo, e mio in parte.

Pur. XI. 76.

A fissar finalmente il grado, in che Dante fosse pittore, basti, che il gran Michelangelo formossi,

per così dire, alla scuola di sì gran maestro, e ne adotto nelle sue composizioni l'oscura profondità: dipingendo il Giudicio universale nella Cappella Sistina, rappresentò l'Inferno della Divina Commedia. Nell' edizione de' Classici Poeti nostri intitolata Parnaso italiano leggesi un paragone fra Dante e Michelangelo Buonarotti, il cui principio è di tal modo: «Entrambi coltivarono le Bell' Arti, e ne sentirono quindi l' affinità, entrambi offrirono l' esempio d' una lega difficile tra la riflessione e la fantasia. Le figure terribili del pittore sono poetiche, come gli atteggiamenti dell' altro sono pittoreschi: le voci e lo stile di questo sono robusti, come le tinte di quello. Sembrarono un'anima sola, che spieghi la stessa immagine con istromenti diversi, e rinnovasi per loro l'antico esempio, onde si disse, che omerizzavano Fidia ed Apelle». Anche Vincenzo Borghini, che somministrò i pensieri per la pittura della gran Cupola in Firenze, ricavò dall' Inferno di Dante la figura di Lucifero, aggiungendovi soltanto le corna, o perchè le reputò al Demonio spettanti de jure, o perchè le vide in capo al Diavolo, nel restante somigliantissimo, che ne fa vedere il Romanzo intitolato il Meschino, al capo 175 dell' edizione di Venezia, data nel 1553 da Agostino de' Biondoni in 8. Un tanto amico dell' Arti Belle poteva egli mai serbarsi ritroso agl' inviti d'Amore?

Udiamo le confessioni di Dante nel suo Libro intitolato: la Vita Nuova. Altro non è questo suo scritto, che una Storia de' suoi giovanili amori distesa in forma di Comento ad alcuni poetici componimenti fatti da lui in occasione degli stessi amori. Due anni dopo la morte della sua donna ordinò in libro quelle Rime scritte prima d' entrare nella sua gioventù. Diremo in compendio come racconti in quella prosa gli amorosi accidenti a lui occorsi,

CAPO III

Passando

assando Beatrice una fiata per una via, vestita di colore bianchissimo in mezzo di due gentili donne, guardò Dante e il salutò, ed egli prese tanta dolcezza di quel suo dolcissimo salutare, che come inebriato si partì dalle genti, per irsene solingo a pensare di questa cortesia. Signoreggiando Amore l'anima sua, ei divenne di si frale e debole condizione, che a molti amici il vederlo in tale stato incresceva; ma quando il domandavano, per qual donna Amore lo avesse così disfatto, egli sorridendo li guardava, e nulla diceva. In un tempio, mentre si cantavano le lodi di Maria Vergine, trovossi egli in luogo, d' onde poteva mirare la sua Beatrice: una gentil donna di molto piacevole aspetto, situata nel mezzo della distanza, credendo ch' egli a lei sguardasse, lui pure andava adocchiando. Gli amici pensarono essere questa l'oggetto della sua passione; ed egli amò confermarli in tale credenza, onde farne schermo alla verità. Alquanti anni e mesi tenne i più in tale avviso coll' accorgimento di scrivere eziandio a quando a quando versi in lode di quella gentil donna. Frattanto prese ardimento di comporre una

Epistola, nella quale, lodando le sessanta più bel le donne della città, collocò in sul numero nono il nome della sua donna, e con ciò corse gran rischio di far palese il suo segreto. Colse egli occasione dall' essere la mentovata gentil donna partita della città, onde farne poetica lamentanza in que' termini:

O voi, che per la via d'amor passate,
Attendete, e guardate

S' egli è dolore alcun, quanto 'l mio grave. e così potè rispingere i curiosi nel pristino errore. Gli avvenne poi di vedere in mezzo di molte donne, che piangevano assai pietosamente, morta una giovanetta, e ricordando d' averla vista d'aspetto molto gentile e graziosa assai far compagnia alla sua Beatrice; non potè frenare le lagrime, ed espresse la sua condoglianza in due Sonetti. Prese egli in seguito a simulare amore per altra donna, onde maggiormente occultare la sua vera fiamma; ma troppa gente ebbe a ragionarne oltre i termini della cortesia, in guisa che pareva ridondargliene alcuna diminuzione di buona fama. Ne fu egli dolente assai; imperciocchè, per cagione di tali voci disonorevoli, la gentilissima distruggitrice de' vizj, e reina delle virtù, passando per alcuna parte, gli niegò il suo dolcissimo salutare, nel quale tutta stavasi la sua beatitudine. Questo

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