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avergli niegata la grazia del saluto lo

pose in

gra

ve temenza, ch' ella o non conoscesse appieno l'amore ardentissimo, ch' egli per lei nodriva, o fosse verso di lui adirata. Deliberò pertanto di troncare ogni simulazione, e studiossi anzi di farle comprendere cogli amorosi suoi versi, com'egli tutto a lei si fosse dedicato fino dalla sua fanciullezza, e come non doveva ella entrare in suspicione veruna, per quanto guardato avesse ad alcun' altra, mentre non aveva egli mai mai mutato cuore. Tanto era di fatti il dominio ch' esereitava sopra di lui l'aspetto di Beatrice, che qualunque volta gli avveniva di vederla; chi avesse voluto conoscere amore, far lo potea, mirando il tremore degli occhi suoi. Anzi bastava, ch' egli si trovasse in luogo, ove, senza di lui saputa, fosse pur Beatrice; ch' egli n' avea un prodigioso avviso dal repentino palpitar del suo cuore. Un amico il condusse ad una festa per nozze, dove molte belle donne, secondo il costume, adunate facevano compagnia al primo sedere a mensa della Sposa nella casa del Marito. Di subito egli sentissi preso da tale tremore, che dovette appoggiarsi al muro, senza conoscere di ciò la cagione; ma levando gli occhi s' avvide, ciò provenire dalla presenza di Beatrice, che tra quelle donne si ritrovava; e dovette partirsene, e ritornarsene nella camera delle lagrime.

Dante ci racconta di sè medesimo, che considerando egli nell' oggetto amato un modello di perfezioni, si elevarono eziandio le sue idee, e si posero con esso a livello: sentì un totale cangiamento in sè stesso, nè più trovò l'uomo di pria: sublimandosi le sue idee, le sue affezioni altresì perdettero quanto avevano di terrestre, ed acquistarono spiritualità e purezza, e la sua volontà, rettitudine ed energia. « Questa improvvisa rivoluzione dell' interna parte di Dante, scrive il Corniani nei secoli della Letteratura italiana, ci richiama al pensiero quell' altra simile, che Gio. Giacomo Rousseau asserisce essere avvenuta a lui stesso in una sua gita a Vincennes. Si potrebbe affermare, che alcuni spiriti elevati vanno soggetti alle medesime modificazioni o piuttosto ai medesimi trasporti di fantasia ».

Leggendo le Canzoni e i Sonetti dell' Alighiero, avviene con sorpresa di rilevare, che varie figure di stile, e molte maniere passionate, le quali si credevano create dal Petrarca, erano state dettate all' Alighiero da un dolore forse più profondo, e da un amore non meno verace.

; Allegro mi sembrava Amor tenendo

Mio core in mano, e nelle braccia avea
Madonna involta in un drappo dormende;

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Poi la svegliava, e d'esto core ardendo
Lei paventosa umilinente pascea,

Appresso gir lo ne vedea piangendo.

SONETTO

Tanto gentile, e tanto honesta pare

La Donna mia, quand' ella altrui saluta,
Ch' ogni lingua diven, tremando, muta,
E gli occhi non ardiscon di guardare.
Ella sen va, sentendosi laudare,
Benignamente d'humiltà vestuta:

E

par che sia una cosa venuta

Di cielo in terra, a miracol mostrare.
Mostrasi si piacente a chi la mira;

Che dà per gli occhi una dolcezza al core,
Che 'ntender non la può, chi non la prova:
E par, che de la sua labbia si mova

Un spirito soave, e pien d' amore, - Che va dicendo all' anima: sospira.

Lionardo Bruni detto Aretino così si espresse nel➜ la Vita: « Le Canzone sue sono perfette e limate e leggiadre, e piene d' alte sentenze, e tutte hanno generosi cominciamenti ». Se ne compiacque lo stesso Dante, citandolé nel suo Libro de Vulgari Eloquio, e facendole nella Commedia ricordare da Bonagiunta da Lucca, ed anche dal

musico Casella, che nel Purgatorio gli canta una delle sue Canzoni.

Amor che nella mente mi ragiona,
Cominciò egli allor si dolcemente,

Che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Purg. 11. 112.

In effetto quelle rime sono dettate in una manie-
ra di favella nobile e purgata, e sono tessute di nobili
e d'alti concetti con lirica abbondanza e pindarica
rapidità. Il Ginguené, infaticabile e giudicioso ana-
lizzatore delle opere tutte di Dante, presago, per dir
così, nello avvisare col Perticari, che chiunque dà
sentenza d' un'opera, deve dimenticarsi del pro-
prio secolo, e collocarsi in quello dell' Autore, e
di colà giudicarne; dopo aver considerato, che in
quel secolo il gusto non era nato ancora, ebbe
nullameno a pronunciare il seguente giudicio: « Il
merito particolare delle Canzoni di Dante consi-
ste in una forza, in una elevatezza fino al suo
tempo mal conosciute: esse sono insieme d'un
filosofo e d'un poeta: vi si scorge una forza, una
grandezza, una chiarezza di pensieri, un' abbon-
danza d'immagini, di similitudini, in una parola,
di poesia, assai superiori a quelle, che si riscon-
trano ne' versi de' suoi contemporanei. Quando
bene non avess' egli composto il Poema divino;
sarebbe tuttavia nel primo rango tra i poeti della

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sua età». Il Petrarca fece molto studio sopra quelle rime, e ne imitò parecchi concetti ed assai guise di dire. Ma dai varj modi negli scritti del Petrarca e del Dante simiglianti puossi poi dedurre, che nè l' uno nè l' altro sdegnasse d'imitare i Trovatori provenzali, de' quali possedevano entrambi la lingua. Abbiamo bensì poesie provenzali anteriori di due secoli ai tempi di Dante; ma la poesia provenzale non cominciò ad essere conosciuta e protetta in Italia, se non dopo la metà del secolo decimosecondo. Il più antico Italiano, che poetasse in provenzale, al riferire det Tiraboschi, fu il Marchese Alberto Malaspina. Nel Cante, vigesimosesto del Purgatorio Dante si fa dire dal bolognese Guido Guinicelli, che in Proyenza, non già in Italia, era chi poteva dirsi perfetto fabro del materno parlare e questi era Arnaldo, il quale

Versi d'amore e prose di romanzi

Soverchiò tutti

Purg. XXVI. 118.

Così mostrò Dante la miglior condizione, in che stavasi la provenzale eloquenza, e volle significare, essersi gl' italiani poeti perfezionati coll' imitare i provenzali.

Fra tutti il primo Arnaldo Daniello
Gran maestro d' amor.

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